Brulotti

A ciascuno secondo i propri bisogni, da ciascuno secondo le proprie sottomissioni

Lilith Jaywalker
 
«Finii il secondo bicchiere, me se servii un terzo. Dalla finestra vedevo il sole tramontare sull'arena; il silenzio cominciava a farsi un po' imbarazzante. Bene, lui voleva scoprire le carte, e allora anch'io.
“Comunque c'è una condizione... — dissi prudentemente — Una condizione non insignificante”.
Annuì lentamente.
“Secondo lei... secondo lei sono uno che può convertirsi all'islam?”.
Chinò la testa come per sprofondare in intense riflessioni personali; poi, rialzando lo sguardo su di me, rispose: “Sì”.
Dopo un istante, ecco di nuovo il suo grande sorriso luminoso, candido. Era la seconda volta che ne beneficiavo, lo choc fu un po' meno forte; ma quel sorriso continuava a essere terribilmente efficace. Comunque adesso toccava a lui parlare. Trangugiai una dopo l'altra due focaccine, ormai tiepide. Il sole sparì dietro i gradoni dell'anfiteatro, la notte invase l'arena; era incredibile pensare che lì, duemila anni prima, si fossero davvero svolti combattimenti di gladiatori e belve feroci.
“Lei non è cattolico, cosa che avrebbe potuto costituire un ostacolo...” — riprese lui, sommessamente.
No, infatti; quello proprio no.
“E penso che lei non sia neanche realmente ateo. I veri atei, in fondo, sono rari”.
“Dice? Io invece ero convinto che nel mondo occidentale l'ateismo avesse una diffusione universale”.
“Secondo me soltanto in superficie. Gli unici veri atei che abbia conosciuto erano dei ribelli; anziché limitarsi a constatare freddamente la non-esistenza di Dio, quell'esistenza la rifiutavano, alla maniera di Bakunin: ‘E anche se Dio esistesse, bisognerebbe disfarsene...’ insomma erano degli atei alla Kirilov; rifiutavano Dio perché al suo posto volevano mettere l'uomo, erano umanisti, avevano un alto concetto della libertà umana, della dignità umana. Immagino che non si riconosca neanche in questo ritratto, vero?”.
No, infatti, neanche in quello; già solo la parola umanesimo mi metteva una leggera voglia di vomitare, ma forse erano le focaccine, avevo esagerato pure con quelle; presi un altro bicchiere di Meursault per farmela passare».
(Michel Houellebecq, Sottomissione)
 
È affliggente, ma sintomatico dell'epoca formidabile che attraversiamo, scoprire sotto la penna di un Houellebecq che interpreta i visionari, ciò che tanti anarchici sembrano aver dimenticato: non si scherza con «l'Onnipotente»; o ci si rimette a lui o vi si piscia sopra.
Non è sufficiente non averlo trovato nel Dixan per essere convinti della sua inesistenza, gli scettici non sono più atei di un san Tommaso. Quanto ai tolleranti secondo cui ognuno fa-fa-fa ciò che gli pia-pia-piace, o ciò che può-può-può con la propria cultura e le proprie tradizioni, e che alla fine ci si ritroverà tutti-uniti-nella-lo-lo-lotta, si ficcano il dito vendicatore di «Dio» nell'occhio. Non ci sarà mai il minimo bigotto o altri adepti dalla stoffa oscura e avviluppante in una lotta che mira a distruggere il mondo mercantile per porre la realizzazione dell'Uomo al centro delle preoccupazioni. Semplicemente perché si accomodano assai bene nella merce e se ne fregano dell'uomo, per non parlare della donna.
Per noi, è adesso o mai che ciò si gioca, che ciò si vive.
Per loro, la sottomissione nel corso della vita apre le porte del paradiso.
Eppure è semplice, caspita!, se persino Houellebecq lo ha capito!
 
 
[27/8/2015]