Contropelo

Il grande saccheggio

Inchiesta su una passione moderna

 
Laboratoire des frondeurs
 
Nel corso degli ultimi venti anni si è affermata una tendenza della sommossa moderna che radicalizza la critica della merce procedendo ai saccheggi sistematici dei siti commerciali. Senza preavviso, furti, distruzione di merci, saccheggi di negozi e di edifici pubblici, si propagano di quartiere in quartiere all'insieme di una città che sovente è la capitale di uno Stato. Manifestandosi sempre in maniera inattesa, il grande saccheggio s'interrompe di colpo senza farne conoscere la sostanza. È una imponente festa in cui i partecipanti fanno un grande uso del fuoco e di eccitanti vari. Davanti alla molteplicità di fronti dell'offensiva, lo Stato non ha altra scelta che attendere che i saccheggiatori abbiano terminato la loro opera: il grande saccheggio è un momento che si impone all'ordine dominante. È durante l'assalto del 1988-1993 che queste forme di rivolta si sono palesate con chiarezza. Da allora il grande saccheggio si afferma sempre più come una pratica negativa che continua a sfuggire alla coscienza degli individui e traccia un'ampia critica pratica di questo mondo.
I saccheggi costituiscono ormai una genealogia impressionante: dicembre 2001 a Buenos Aires, maggio 2003 a Baghdad, febbraio-marzo 2004 a Port-au-Prince, marzo 2005 a Biček, aprile 2006 a Honiara, novembre 2006 a Nuku'alofa e gennaio 2009 nel Madagascar. Questi atti negativi calunniati ed occultati dall'informazione dominante, repressi dagli Stati e spesso negati a posteriori dai saccheggiatori, rimangono privi di un discorso. Al punto che non si sa dire quale parere sul mondo e quale posizione essi esprimano. E ancor più che la sommossa, l'impensato del grande saccheggio rivela l'abisso che si costruisce fra il movimento effettivo del pensiero e la rachitica coscienza che fa da realtà. Per restituire questo mondo alla conoscenza di se stesso così come i saccheggiatori del mondo intero l'hanno sviluppata, è ora di esaminare in cosa i grandi saccheggi siano momenti decisivi del dibattito del mondo. Giacché è proprio sul terreno aperto dal saccheggio che cresce ormai il pensiero più sfrenato, e avvengono le prime verifiche pratiche che sottopongono questo mondo alle esperienze più radicali.
Primi scenari dell’atmosfera di un grande saccheggio nel mezzo dell’insurrezione haitiana, il 29 febbraio 2004 a Port-au-Prince:
«La più grande prigione del paese, il Penitenziario nazionale, è stata presa d'assalto in mattinata da saccheggiatori che hanno permesso a centinaia di detenuti di evadere»; «La popolazione di Port-au-Prince apprende dalla radio che il presidente Jean-Bertrand Aristide ha lasciato Haiti. Alcuni iniziano a marciare lentamente verso il palazzo presidenziale, e un raduno sempre più gioioso si forma sul Campo di Marte, un parco accanto al palazzo. Vedendo che la polizia ha disertato la caserma, la folla pacifica si trasforma rapidamente in un'armata di saccheggiatori. Gli uomini vanno in cerca di attrezzi con cui sfondare inferriate e saracinesche dei negozi, poi sacchi e carriole per trasportare le mercanzie. Alcuni bambini entrano nel commissariato e iniziano a portar fuori mobili e materiale informatico. (...) Nessuno sembra curarsi del palazzo nazionale, vuoto e silenzioso».
«Nella capitale haitiana, la parola del giorno è dechoukaj. È su tutte le bocche e in tutte le conversazioni. Per i poveri, ha il sapore magico del frutto proibito. Ai ricchi, fa paura. A Pétion-Ville, i bei quartieri di Port-au-prince, il bersaglio del dechoukaj è il grande commissariato. Uomini, donne e ragazzine, a decine hanno intrapreso il saccheggio sistematico degli edifici, non appena aver saputo della caduta del presidente Jean-Bertrand Aristide. Portano via tutto, perfino le mattonelle, esclama un tassista. Tutto va bene da prendere: il mobilio, i computer, i manganelli, i caschi e le camicie dei poliziotti, ed anche i giubbotti anti-proiettili che certi dechouker indossano come se si trattasse di semplici maglie. Ma è un saccheggio gioioso, una follia mattutina di buon umore, con poca violenza, anche quando diversi saccheggiatori si contendono lo stesso bottino. Al primo piano, un adolescente si è infilato un pesante casco sul berretto e si è messo a ballare davanti alla folla. Un uomo, che porta un frigorifero, ammette: Non ho elettricità in casa, ma che importa».
Il grande saccheggio è un grandioso prolungamento della sommossa: il gioco e la festa, l’emozione, la gioia, la vendetta, l’humour e soprattutto il desiderio di consapevolezza guidano gli atti e sono in tutte le teste; i saccheggiatori non obbediscono a nessuna organizzazione pianificata, a nessun capo. Come spesso nella sommossa, nessun discorso articolato, cosciente, si reclama negli atti negativi del saccheggio. Il grande saccheggio vive ancora clandestinamente ai margini della coscienza, malgrado la pubblicità che ne fanno assai regolarmente i saccheggiatori del mondo intero.
Il grande saccheggio è spesso un momento adatto, parte avvincente di una insurrezione. Quando comincia l’insurrezione, è il suo fermento e costituisce la prima apertura dei dibattiti, come in Argentina o in Madagascar. Quando finisce l’insurrezione, è la sua straordinaria apoteosi e la sua maggiore critica di questo mondo, come ad Haiti o in Kirghizistan. Ma sempre, il grande saccheggio è una offensiva contro lo Stato: saccheggiando le merci, gli insorti rompono le regole dello scambio e distruggono l’ordine che sta a fondamento dello Stato moderno.
A Biček, i saccheggiatori nel marzo 2005 partono con l'attacco al parlamento: «Una calca di manifestanti irrompe nell'edificio (...) Ne consegue un saccheggio frenetico. Nello spazioso ufficio del primo ministro Nikolai Tanayev, i manifestanti distruggono gran parte dell'arredamento. Molti portano fuori tutto ciò che riescono a portare: computer, telefoni, quadri, persino cumuli di enciclopedie in russo. Un uomo, visibilmente ubriaco, barcolla per tutto l'ufficio del primo ministro con un bicchiere di cognac del primo ministro». «Viene descritto il saccheggio a Biček di negozi e di edifici, alcuni dei quali noti per essere di proprietà di Akaev e dei suoi parenti». Il saccheggio e l'incendio dei negozi del centro cittadino durano per tre giorni in una festa orgiastica.
Nel gennaio 2009, nelle grandi città dell’isola di Madagascar, ad Antananarivo, Fianarantsoa, Toamasina, Mahajanga, Toliara, Antsirabe, Sambava, Antsohihy, gli insorti saccheggiano e incendiano depositi e supermercati, attaccando soprattutto quelli di proprietà del presidente Ravalomanana.
A Honiara, capitale delle Isole Salomon, il 18 e 19 aprile 2006 gli insorti si ribellano contro l'elezione di un primo ministro odiato perché corrotto, poi saccheggiano e attaccano imprese e negozi, specialmente fra i sostenitori del governo, occidentali soprattutto. «Gli insorti hanno dato fuoco ai magazzini e hanno minacciato di continuare i saccheggi se non otterranno, prima delle ore 18, le dimissioni del capo del governo eletto martedì Snyder Rini». «Centinaia di ribelli irrompono nei negozi cinesi, saccheggiano e li radono al suolo (...) Lungo l'autostrada Kukum, il lussuoso Pacific Casino Hotel da 60 milioni di dollari, casa delle élite e dei ricchi stranieri, compresi gli ufficiali RAMSI, è ridotto in macerie».
A Nuku'alofa, capitale delle isole Tonga, il 16 e 17 novembre 2006, gli insorti attaccano gli uffici del primo ministro, il parlamento, il palazzo di giustizia e il ministero delle finanze, poi saccheggiano e incendiano i negozi e le imprese: «Diversi edifici di uffici, fra cui quelli di una telefonia mobile (Tonfon) e di una compagnia elettrica (Shoreline) il cui azionista di maggioranza è il nuovo re George Tupon V [vengono saccheggiati e incendiati]». «Tutto è cominciato col centro commerciale di proprietà del primo ministro. La gente lo ha saccheggiato, hanno iniziato a bere birra, e mentre saccheggiavano quel negozio nessuno poteva controllarli. Da lì si sono spostati al negozio Leiola Duty Free iniziando a bere qualcosa di più alcolico, hanno preso il denaro e lo hanno distribuito alla gente, e a quel punto il fuoco ha cominciato a diffondersi di blocco in blocco».
Cominciando coi furti di massa nei supermercati e nei negozi, il grande saccheggio si alimenta con l'incendio dei negozi. «Immense nuvole di fumo nero» volteggiano subito sulle città, se si dà credito ai cacainchiostro impauriti che si tengono ben alla larga dagli insorti. Perché i saccheggiatori in festa distruggono interi quartieri delle città. Il 29 febbraio 2004, a Port-au-Prince: «Diversi edifici sono in fiamme così come una stazione di servizio nel centro cittadino. Davanti al palazzo presidenziale, un grande fabbricato bianco circondato da recinzioni, viene incendiato un edificio (...) Numerose succursali delle banche principali sono attaccate e saccheggiate».
Il 19 aprile a Honiara: «... “Osservando la coltre di fumo che si alza, è proprio un incendio aggressivo. Mi trovo a circa tre chilometri di distanza, il fumo è parecchio nero ed ha completamente macchiato il cielo... È letteralmente un incendio enorme” dice il portavoce. “Chinatown sembra essere completamente distrutta. Lungo la strada principale, il negozio accanto al motel è bruciato... tutto è stato saccheggiato”».
Il 16 novembre 2006 a Nuku'alofa: «Una folla in rivolta ha devastato le proprietà nel centro di Nuku'alofa lasciando il supermercato centrale Molisi Tonga in un caos di vetri infranti e le strade emanano un odore di birra versata, mentre i saccheggiatori si uniscono agli insorti nella baldoria distruttiva poco dopo le 3.30 di oggi pomeriggio. Nel frattempo, verso le 4, le cronache raccontano di incendi sia nell'edificio di Shoreline che al Pacific Royal Hotel. Viene confermato che gli uffici della Shoreline sono stati sventrati ma la situazione al Pacific Royal deve essere ancora confermata».
Ogni grande saccheggio è un tentativo per costruire un nuovo terreno di gioco sui resti di quello vecchio, instaurando nuove regole, per aprire un dibattito sul mondo, per porre la questione della totalità. Gli insorti devastano la propria città e noi non conosciamo affatto le ragioni dei loro atti. I loro discorsi, i loro dibattiti ci sono ignoti. I loro atti negativi evidenziano la cristallizzazione di un pensiero alienato (che sembra emergere alla coscienza a cose fatte). Questi atti — che a priori non sono sostenuti da alcun discorso sulla merce con un livello di generalità paragonabile alla critica effettiva che manifestano — esprimono le opinioni degli insorti. Tuttavia, nessuna parola articolata esplicita tali opinioni dopo il saccheggio. Sembra che negli insorti, purtroppo, il coraggio della parola pubblica e del pensiero cosciente non sia pari a quello degli atti. Così i discorsi che i saccheggiatori fanno alla fine sulle proprie azioni, quando vengono interrogati dai cacainchiostro, sono assai stupefacenti: ricalcano i peggiori argomenti ripetuti dall'informazione dominante. Come se il loro pensiero pratico fosse andato talmente al di là del loro pensiero cosciente da non sapere più molto bene come rifare il cammino nel senso inverso. Ad esempio, è il pretesto iniziale dell'attacco che predomina nella ragione enunciata del saccheggio: così un ex-insorto racconta di aver saccheggiato i negozi per vendicarsi di un governatore odiato, come a Port-au-Prince... dove tuttavia nessuno si è preoccupato di attaccare il palazzo presidenziale mentre i saccheggi si diffondevano nel centro cittadino. In altri casi, gli ex-saccheggiatori raccontano di aver saccheggiato i negozi spinti dalla fame e dal bisogno di mangiare. Questa favoletta la ritroviamo in bocca agli insorti argentini del 2001, che ripetono gli argomenti dell'informazione dominante e dei partiti peronisti, i quali differenziavano i saccheggiatori buoni, quelli che rubavano cibo, da quelli cattivi, i delinquenti che rubavano televisori e computer...  Ma il saccheggio non risponde a nessuna necessità se non a quella di ottenere tutto. È una critica in atti di un ordine della comunicazione e dei limiti del pensiero cosciente istituito dallo Stato e dalla merce. La disapprovazione del saccheggio è commisurata allo shock morale e all'emozione pubblica che esso suscita. Al termine di un grande saccheggio, l'inassumibile rimane inassunto, occultato e falsificato dall'informazione dominante, negato e rimandato all'oblio dell'alienazione (che prosegue il suo movimento fuori da ogni coscienza), mentre la ragione ragionante, quella del piccolo popolo dell'informazione dominante che è la classe media, si impone provvisoriamente. Perché la classe media è la comunità della disapprovazione.
 
Una posologia adattata ai disturbi dell’esistenza
In questo mondo, le merci sono il principale orizzonte di realizzazione dato agli individui dalla società. Le merci promettono realizzazioni future, mobilitano i desideri e delineano obiettivi da raggiungere mentre la sommossa si propone, più in generale, di iniziare a realizzarli subito. La musica, i programmi televisivi, il cinema e i viaggi sono le nuove merci che ereditiamo dal XX secolo, dove la vita e le passioni sele-se-zionate si estendono a misura della loro povertà e della loro assenza effettiva nel letamaio che in mancanza di un altro termine si chiama quotidianità. D'altronde è notevole che musica e cinema siano due generi di merce il cui consumo induce a far provare individualmente una emozione preconcetta ed a far trovare dei modelli per sé. Grandi adulatori di nevrosi, i commercianti esasperano e canalizzano le emozioni utili, le altre, negate, fioriscono attraverso altri mezzi, in cui la coscienza ha poco spazio.
Anche se il suo potere di attrazione varia nel corso del tempo (fonte di crescente preoccupazione per i commercianti), la merce resta ciò verso cui tendono gli individui: essa incarna la ricchezza e cristallizza l'emozione. È ciò che fa correre i poveri moderni, ciò che li tiene in vita. E non esiste un al di fuori, un extra dalla merce. La merce è una forma patologica di non-realizzazione di sé attraverso un sovrappiù di rappresentazione della realizzazione: la realizzazione è sempre a venire dopo che... E il possibile rappresentato è separato dalla sua realizzazione. Il saccheggio è una posologia adattata a questi disturbi dell'esistenza, una passione nuova in cui l'emozione si sfoga liberamente e si comunica fra gli individui, dissolvendo i loro confini, e dove la critica sottopone l'esistente alla prova della verifica pratica.
I poveri moderni soffrono oggi di una mancanza di obiettivi, è una delle cause all'origine delle assemblee argentine e il tema dei loro dibattiti permanenti. Presso i nostri nemici è anche una delle ragioni per cui le merci faticano ad attivare credenze, e a mobilitare i desideri dei poveri moderni. Nei reparti delle realizzazioni possibili che vengono costantemente rappresentate dai pubblicitari e dagli esperti di mercato, poche sono oggi considerate desiderabili dagli individui: le rappresentazioni delle vecchie realizzazioni si sono logorate. Vivendo da parassita sul mondo esistente, la merce non può offrire nuovi possibili. Azzardiamo una ipotesi: il grande saccheggio di Buenos Aires e l'attacco contro il governo hanno aperto un vasto campo al pensiero cosciente dove le assemblee di strada si sono sviluppate. È ciò che rivela il grande saccheggio: il possibile indefinitamente respinto delle merci è il nemico della verifica pratica del pensiero qui ed ora. La verifica pratica distrugge il possibile e le merci trovano alla fine fondamento sulle grandi fiamme del saccheggio.
 
Le frontiere della coscienza esplodono con l’incendio dei supermercati
Due fasi caratterizzano il grande saccheggio: il furto di merci e la distruzione con il fuoco; la seconda fase raggiunge di solito proporzioni molto più vaste della prima. Questa distruzione di massa che si manifesta come stadio supremo del furto suscita lo stupore dei conservatori del mondo intero: cosa?! La ricchezza mercantile non viene sottratta ma negata e distrutta. Scandalo, quei saccheggiatori affermano attraverso le loro azioni che la ricchezza è altrove, suggerendo di averne scoperto la fonte!
La cattiva teoria, che si trova al tempo stesso nei giornalisti in forma spontanea e presso i teorici della critica, considera in generale il desiderio inappagato e la frustrazione dei poveri moderni che non hanno accesso alle merci la causa del saccheggio. Il gusto smodato per la merce o, peggio, la sua mancanza assoluta, sarebbe il pretesto del furto di merci. Il furto è innanzitutto la semplice negazione della proprietà, è una reazione contro l'ingiustizia. L'interpretazione in vigore da Marx all'Internazionale Situazionista afferma che durante il saccheggio-furto le merci il cui valore di scambio è negato sono restituite al loro valore d'uso; di solito una inoffensiva teoria del potlatch completa il tutto. I saccheggiatori «Vogliono subito tutti gli oggetti che vengono mostrati e astrattamente disponibili, poiché ne vogliono fare uso. Perciò ne rifiutano il valore di scambio, la realtà mercantile che ne è il modello, la motivazione e il fine ultimo, e che ha selezionato tutto. Attraverso il furto e il dono essi ritrovano un uso che immediatamente smentisce la razionalità oppressiva della merce, che fa apparire arbitrari e non necessari i suoi rapporti e la sua stessa fabbricazione». Allora è ad una critica economicista dei falsi bisogni instaurati dal «sistema economico» che si dedica l'Internazionale Situazionista che si richiama ad una versione alternativa ed autentica della teoria dei bisogni. Vi è qui un difetto di punto di vista: non è una teoria pre-esistente alle merci che può sostenere il contenuto veridico di una critica pratica; è al contrario la critica pratica delle merci che criticando il suo oggetto fonda una teoria delle merci.
Per inciso, la merce stessa offre una smentita continua a questa visione utilitarista. Ma contro la cattiva teoria del saccheggio, bisogna anzitutto rendere giustizia ai piaceri ribelli, come rubare nei depositi di Port-au-Prince una lavatrice inutilizzabile perché non si ha elettricità, o come uscire da un centro commerciale di Antananarivo trascinando un pianoforte per strada... l’uso importa poco, conta solo il gioco e l’affermazione gioiosa di quello che sovvertendo l’ordine dominante mostra che questo non possiede alcun fondamento e conquista la propria libertà.
Il fatto di presumere negli insorti una volontà di appropriarsi delle merci è arbitrario: nel corso di un grande saccheggio le merci vengono distrutte. È la cosa mercantile stessa a partire in fumo, il suo solo utilizzo è di essere il combustibile del fuoco che la consuma. La sola volontà che si esprime qui è la negazione dell'esistenza stessa delle merci, nel contempo degli oggetti e del loro carattere mercantile, in tutta la loro generalità. L'odio della merce prende il sopravvento sul desiderio della merce, quale che sia l'uso previsto. La verità delle merci che appare nel corso del grande saccheggio le rende detestabili e odiose. È possibile immaginare critica più radicale dell'interpretazione del saccheggio in quanto momento in cui le merci sono restituite ad un valore d'uso? Nel saccheggio, la verifica pratica delle merci e del loro contenuto sfocia non nel riconsiderare la cosa dietro la merce in funzione di un preteso utilizzo, ma nel distruggerla. Qui ed ora, la ricchezza delle merci si è rivelata falsa, e i risultati che esse facevano balenare si sono rivelati senza domani. Nel grande saccheggio, ciò che prende di mira la critica pratica non è una merce in particolare, ma tutte le merci nella loro generalità e la società che ne deriva. L'annientamento della merce in generale è lo scopo confesso dai partecipanti ad un grande saccheggio. È questo mondo ad essere tirato in causa. Nelle strade di Baghdad, Port-au-prince, Honiara, Jakarta, Biček, Nuku'alofa, Antananarivo, fiamme alte come palazzi annunciano le notevoli conclusioni delle speculazioni ribelli; ovunque nel mondo le sperimentazioni condotte nei laboratori a cielo aperto delle capitali convergono nei loro risultati.
[…]
Il grande saccheggio fonda la critica dal punto di vista del negativo. Davanti alla ricchezza di comunicazione nella sommossa in cui la verifica pratica è a portata di mano, le merci vengono distrutte dal fuoco. Ciò che ostacola la comunicazione pratica viene distrutto. Non è il disgusto delle merci ad essere il motore, ma è uno scopo superiore che esige per la sua realizzazione la distruzione delle merci. L’emozione, la stessa assenza di coscienza, realizza il pensiero insorgendo contro la ragione che presentano questi pezzi di pensiero cosificati nelle merci. I ricchi insorti se la prendono con la miseria di pensiero e di comunicazione che le merci hanno instaurato, che è solo l’assenza di scopo. Così la negazione delle merci è una passione dominante degli umani nel mondo attuale. La critica si esercita contro una società in cui la comunicazione fra individui è mediatizzata dalle merci. Contro coloro che sostengono che la comunicazione è il principio del mondo, il grande saccheggio dimostra che solo lo scopo importa nella comunicazione. I saccheggiatori che distruggono le merci affermano che la comunicazione attraverso le merci è in realtà senza oggetto, che essa non si compie nel senso in cui non porta a nessuna realizzazione. Ricco è solo il pensiero che si manifesta liberamente, affermando la sua libertà con il fuoco, ad esempio. Il grande saccheggio è una negazione collettiva del chiacchiericcio senza scopo dello scambio mercantile che contiene le insoddisfazioni dei poveri moderni con l’aiuto della sua polizia, dei commercianti, dei pubblicitari e dei rappresentanti di Stato. Ora, solo laddove può iniziare praticamente la determinazione del pensiero, in sé e per sé, come nel grande saccheggio, la comunicazione fra umani è importante e la ricchezza è a portata di mano.
Gli insorti fanno palesare questa verità: essere tenuti al di qua della determinazione del pensiero è la miseria del povero moderno sottomesso all’ordine delle merci. Il pensiero cosciente è ricoperto da una crosta al cui interno si definisce il possibile, tutto il possibile, il solo possibile della vita quotidiana. Questo possibile esiste solo come insieme di promesse di realizzazioni fatte all’individuo dalle merci, che esclude ogni verifica pratica. È questa la miseria che il saccheggiatore rifiuta. Egli manda in frantumi la corazza che stringe ciascuno nella propria coscienza. Nel ricercare il proprio compimento, fa esplodere il guscio che ostacola la verifica pratica del pensiero. È tutta l’immonda filosofia kantiana che rifiuta agli uomini l’accesso alla cosa in sé, ossia la possibilità stessa di una determinazione del pensiero, ad essere mortificata dai saccheggiatori. È la frontiera della metafisica posta da Kant (non occupatevi della cosa in sé! ma solo dei fenomeni) che viene varcata qui ed ora dai saccheggiatori che cercano di fondare praticamente i loro pensieri, dando loro una determinazione, facendo la storia qui ed ora. Le merci non sono una rappresentazione o una immagine del mondo, ma un rapporto con il mondo. Non è un sostegno allo scambio ad essere distrutto, lasciando che lo scambio ― infine liberato dal suo cattivo sostegno ― avvenga come più gli sembra meglio, ma sono le forme istituite di un modo di comunicazione che esclude la verifica pratica ad esplodere. Davanti a merci che instaurano il divieto della cosa in sé relegando l’individuo nel mondo dei fenomeni, gli insorti polverizzano il divieto e tentano di porre la questione del mondo criticando il mondo dei fenomeni, disfacendo la separazione fra sé, il pensiero e le cose. Provando così che l’esistenza delle cose è anche faccenda di opinione e che la realtà è un risultato. La negatività del grande saccheggio rivela la natura delle merci: le merci vengono distrutte perché sono un ostacolo al movimento del pensiero in cerca del proprio fondamento. La questione non è quindi se le merci obbediscano o meno a un movimento infinito di divisione del pensiero, che volendo si potrebbe chiamare comunicazione, ma che escludono effettivamente ogni realizzazione pratica (solo in tal senso sono un motore dell’alienazione, della divisione del pensiero). […] Liberando un territorio dal dominio delle merci, il grande saccheggio apre un nuovo terreno di gioco, di cui sfortunatamente non sappiamo quasi nulla. Occorre permanervi per sapere. In un mondo in cui le merci concentrano la maggior parte della comunicazione cosciente fra individui e pretendono di delimitare il campo delle possibilità, la negazione delle merci è una premessa necessaria ad ogni determinazione del pensiero.
 
[9/2009]