Brecce

La «banda» De Luisi

Giuseppe De Luisi già condannato a 30 anni di reclusione dovrà subire un altro processo assieme ai compagni Cresci Umberto (Iconoclasta di Spezia) e Giampaoli Mentore.
Questi ultimi due furono arrestati qualche giorno dopo la morte dì R. Novatore. Quali reati avevano commesso? Quello di essere stati amici di Renzo.
Infatti, malgrado tutte le accuse fattegli, la loro innocenza appare lampante malgrado tutti i reati che l'ambizione di carriera del lebbroso commissario Caccioppo ha inventato di sana pianta.
Sono imputati di un'infinità di rapine e aggressioni a mano armata compiute in divisa da carabiniere; ma nessuno degli aggrediti ha dichiarato di conoscerli, eccetto qualche fascista camuffato patriotticamente ed eroicamente da aggredito.
Sono imputati anche di fabbricazione di esplosivi destinati a far saltare il treno di lusso Parigi-Roma.
Nelle abitazioni degli arrestati non fu trovato né armi né esplosivi. Su quale fondamento allora sono basate le accuse? Il degenerato commissario Caccioppo con l'aiuto dei fascisti di Arcola pensò di trovare gli esplosivi anche dove non c'erano; infatti narrano i giornali che il giorno dopo al loro arresto parecchi fascisti videro dei ragazzi trastullarsi con della polvere da fuoco, si fecero indicare il luogo dove l'avevano presa e vi trovarono un abbondante quantità di esplosivo, di bombe e vestiti da carabiniere. Tutto questo era nascosto in una capanna nei terreni del Giampaoli... Ma ben presto il commissario Caccioppo s'accorse d'essersi procurato una prova di poco valore ed allora si decise a far confessare — con tutti i mezzi che dà l'arte della tortura — agli imputati la loro colpevolezza in reati che non s'erano mai sognati di commettere. Fra tutte le torture va notata la più atroce, quella di introdurre del sale in tagli fatti appositamente sul corpo degli accusati.
Giampaoli e Cresci dichiararono fieramente e decisamente la loro innocenza anche sotto la tortura; invece il pittore Giovanni Governato più debole fisicamente e moralmente per tema d'essere ucciso cedette ai loro voleri e ciecamente firmò le accuse contro di lui e i suoi compagni. La questura di Spezia non era ancora soddisfatta perché indubbiamente Governato dinanzi ai giurati avrebbe negato quanto le torture gli avevano fatto affermare.
Cosi si decise di venire a patti: «Tu Governato hai firmato la tua condanna, però noi ti possiamo salvare se dichiari colpevole i tuoi compagni dei reati che sono accusati. Se acconsenti, ti concediamo la libertà provvisoria con la sicura assoluzione al processo». Fu così che G. Governato divenne sette volte Giuda.
L'opinione pubblica di Spezia e di Arcola che ben conosce Giampaoli e Cresci per laboriosi e buoni operai non li credette colpevoli e la libertà di Governato li convinse pienamente che questi erano vittime di una infame macchinazione.
Ed ecco che dopo parecchi mesi la questura di Spezia è costretta a cercare qualche altro espediente per gettare polvere negli occhi dell'opinione pubblica. Era necessario unire a questi un altro il quale sia già stato condannato e giudicato colpevole per dare la sensazione della colpevolezza degli altri e lo trovò nella persona del noto ed eroico compagno Giuseppe De Luisi che indubbiamente condanneranno ancora, ma questa volta innocentemente.
Compagni, salviamo Giampaoli Mentore e Cresci Umberto! Protestate con tutti i mezzi i più energici e i più persuasivi per salvare da una mostruosa macchinazione due innocenti.
 
Giuseppe De Luisi
Il 22 maggio u. s. è comparso alla Corte d'Assise di Torino il noto compagno e bandito Giuseppe De Luisi, assieme al compagno Luigi De Ambrosi. Il De Luisi ed il De Ambrosi sono colpevoli di rapina a mano armata, compiuta il 5 novembre 1921 ad Isola del Cantone, in danno delle Ferrovie dello Stato, depredando il Ragioniere Martena ed altri due che l'accompagnavano della somma di 133 mila lire. Questa rapina è stata compiuta da cinque individui, ma nella gabbia ne comparvero solo due, gli altri due — poiché il Milesi fu ucciso — sono rimasti sconosciuti, causa l'insufficiente intelligenza della polizia e lo spirito di sacrificio e forza di volontà che hanno avuto questi due compagni arrestati, nel sentire ogni sorta di raccapriccianti torture piuttosto che fare la spia.
Giuseppe De Luisi è anche reo di quattro mancati omicidi commessi su dei migliori (?) agenti investigativi di Torino, fra i quali l'ispettore di P. S. Di Pietro. Questo fatto si svolse la sera del 7 gennaio 1922 nei Bar Reale di Corso Regina Margherita in Torino, assieme al compagno Raffaele Milesi e alla compagna di sventura e di fede del De Luisi, Rina Piolatto; Raffaele Milesi rimase morto nella tragedia del Bar, Rina Piolatto è latitante; furono imputati di favoreggiamento i compagni Ilario Margarita, Ciappolino Giovanni, Zanella Giuditta ed altri tre. 
Prima di parlare della battaglia del Bar, credo utile citare i precedenti che determinarono in De Luisi una rivoluzione spirituale seguita e valorizzata da una costante rivolta fattiva.
Licenziato dalle Ferrovie dello Stato nel 1917, si stabilì in Torino dove trovò lavoro nelle officine Seat. Affittò due locali in via Brindisi, uno serviva ad alloggiare i compagni di passaggio ed i perseguitati, l'altro era la sede del gruppo anarchico Germinal e della Sezione dell'Unione Sindacale Italiana, poiché fino allora il De Luisi credeva nella necessità e nell'efficacia della organizzazione.
Egli diede per parecchi anni — specialmente quando lavorava nelle Ferrovie — una costante e proficua attività; non volle mai assumere cariche perché si sentiva anarchico ed aveva sufficiente forza e coscienza per dare ugualmente gran parte delle sue energie.
I compagni del gruppo Germinal e gli strani ospiti di Via Brindisi che l'hanno conosciuto, possono testimoniare i nobili sentimenti che lo animavano. Lavorando e guadagnando discretamente, egli era quasi sempre senza il becco d'un quattrino perché divideva tutto il suo guadagno con gli amici della Maison comune.
La polizia venne a conoscenza di questo strano rifugio e sospettando che si dovesse fra tanta miseria tramare chissà quali complotti, fece una perquisizione. Fu trovata una rivoltella.
Vigeva allora il decreto Nittì sulla denuncia delle armi: il massimo della pena che gli potevano applicare — secondo il decreto — era di sei mesi, invece fu condannato a ben 18 mesi e due anni di sorveglianza con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Perché una simile preferenza? (diciamo così). Oh bella, è un anarchico e per di più un organizzatore della sezione torinese dell'U.S.I. iniziatore del Gruppo Germinal, ospitava gente sospetta e pericolosa, e poi oltre ad aver parlato qualche volta nei comizi era sempre fra i primi negli scontri con la forza pubblica; bisognava metterlo sotto chiave almeno per un bel po' di già che gli era capitato fra le mani. Ma il De Luisi non era per niente di questo parere.
Infatti, circa sei mesi dopo il suo arresto riesce in circostanze romanzesche ad evadere dalle carceri di Torino. Egli ha avuto l'onore di essere stato il primo, nessuno aveva mai tentato: era un'impresa che sembrava impossibile. Ma egli ha dimostrato come l'uomo più audace e di coraggio e volontà sa superare anche i più grandi ostacoli. Il suo esempio è servito ad altri; dopo di lui in parecchie date riuscirono ad evadere altri otto detenuti. Egli si era liberato e aveva insegnato la via della liberazione.
Dopo l'evasione si rifugiò in Liguria dove condusse una vita di stenti. Ma stanco, fece ritorno a Torino dove strinse amicizia con parecchi compagni reduci dall'America, trovandosi con essi meglio che fra la gran parte dei codini che infestavano il movimento anarchico torinese.
Fu allora che le sue idee si rivoluzionarono, il suo pensiero si evolse. Egli si era liberato da tutti i fantasmi morali che ancora frenavano il suo temperamento; aveva trovato se stesso e da allora in avanti fu se stesso: bello e grande nella rivolta, spregiudicato nelle vedute pratiche, passionale e generoso con un cuor grande come l'universo e profondo nelle concezioni ideali.
Non so precisare quali fatti siano avvenuti ad obbligarlo a rifugiarsi nuovamente in Liguria e si trovò faccia a faccia con la fame.
Fu in quei giorni che si associò col Milesi, il De Ambrosi e i due sconosciuti per compiere la rapina di Isola del Cantone.
A quanto dicono i fatti, il De Luisi non aveva finita la sua opera. Egli acquistò subito una buona motocicletta a sidecar ed in breve tempo ne divenne un abile conduttore,
A cosa gli poteva servire la moto? La stampa borghese disse: per continuare a compiere reati contro la proprietà.
Due mesi e mezzo dopo la rapina di Isola del Cantone, De Luisi, la sua compagna e Milesi, partirono da Mirabello per Torino. In quei giorni la questura torinese si dava da fare nel rintracciare gli evasi dalle carceri; nei dintorni della città e nelle stazioni aveva disposto una grande sorveglianza.
Nell'entrare in città ebbero il sospetto d'essere pedinati così che tentarono di far perdere le toro tracce. Quando si credettero sicuri, si fermarono nel Bar di Corso Regina Margherita ed erano le sette di sera.
Mentre bevevano tranquillamente, entrarono cinque agenti senza soprabito benché fosse gennaio. Appena uno di loro li scorse, li indicò dicendo: «Eccoli!».
Fu il segnale di battaglia; con rapidità fulminea De Luisi e Milesi estrassero le rivoltelle in ordine: uno appoggiato con le spalle alla parete destra, l'altro alla sinistra. L'ispettore Di Pietro aveva compreso il pericolo, ma non sapeva ancora con che razza di uomini avevano da fare, tanto è vero che intimò: Fermi! cosa volete fare, siamo in cinque. Ma per risposta l'audace De Luisi aperse il fuoco, gridando: «Indietro vigliacci!», tentando di guadagnare la porta che era sorvegliata dall'agente Fragione. Avvenne una colluttazione corpo a corpo: in questa confusione la compagna di De Luisi riuscì a fuggire passando dal retrobottega.
Uno dei cinque agenti era fuggito col pretesto di chiamare rinforzi. L'ispettore Di Pietro si era gettato a terra sotto i tavolini fingendosi morto, gli altri due da un angolo sparavano contro Milesi; allora De Luisi si avventò contro Fragione, questi già ferito ad una gamba dal Milesi, atterrava restando in ginocchioni il De Luisi che si liberò subito forandogli i polmoni con due colpi che ottennero l'effetto perché gli introdusse la canna della rivoltella nel colletto della camicia. Gli altri, benché sparati a bruciapelo, non ferirono nessuno, perché sicuramente gli agenti erano corazzati.
Il De Luisi sparò gli ultimi due colpi contro i due agenti che tiravano su Milesi indi lo vide cadere a terra. Ricaricare la rivoltella non ne avrebbe avuto il tempo, non gli rimaneva altro che mettersi in salvo. Benché ferito ad una gamba con la Browning scarica si fece largo tra la folla di curiosi. Un agente lo rincorse sparandogli solo qualche colpo, perché appena caricata la rivoltella il De Luisi si fermò e gli rispose facendogli fare dietrofront.
Per una quindicina di giorni la stampa torinese dedicò giornalmente parecchie colonne intorno al fatto e ai protagonisti, sciorinando banalità.
Dal riconoscimento del Milesi la questura potè identificare il De Luisi e la sua compagna. Seppero che quest'ultima era agli ultimi giorni di gravidanza, così si dettero a perquisire quasi tutti gli alberghi e gli appartamenti di affittacamere e levatrici delle città e a pedinare qualche levatrice sospetta. Vennero pure piantonate le case e perquisite le abitazioni di qualche noto compagno amico del De Luisi. Nella periferia avevano disposto un gran servizio di sorveglianza, nelle stazioni e per i paesi; e le campagne vennero fatte battere dalla cavalleria.
La questura torinese temeva questi banditi: aizzata da giornali quotidiani borghesi e dallo scacco subito avevano messo in attività tutta la forza loro e la loro scienza (?) poliziesca. Visto che le loro ricerche furono infruttuose, esposero la fotografia della Piolatto allo scopo di raccogliere informazioni dai curiosi che si fermavano a guardare e a discutere. Ma anche quest'ultimo mezzo non riuscì. La questura sperava di poter scoprire il rifugio della Piolatto che, essendo in stato di gravidanza, doveva, secondo le loro supposizioni trovarsi in città: indi poter arrestare anche il De Luisi che probabilmente se non era assieme sarebbe andato di nascosto a trovarla.
Intanto i giornali offrivano una sottoscrizione per l'agente Fragione allora in condizioni gravissime.
Tutti i mezzi escogitati dalla polizia non riuscirono altro che ad arrestare il compagno De Ambrosi in Alessandria e a stabilire che gli autori della rapina d'Isola del Cantone erano il su citato De Luisi e Milesi con altri due sconosciuti.
La cattura del De Luisi e della sua compagna era per la questura torinese una vana speranza, però si fecero egualmente premura di avvertire tutte le questure del regno e ad inviare dei poliziotti scelti in Liguria.
Dopo parecchi mesi dalla tragedia del Bar i giornali liguri e piemontesi continuarono ogni tanto a pubblicare bollettini questurineschi sulla ricerca di questo bandito, dove dicevano ch'era fuggito miracolosamente alla polizia mentre in compagnia della Piolatto e mascherati con finta barba andavano in una lussuosa automobile a trovare il Bimbo. Qualche mese prima della conferenza di Genova annunciavano d'aver scoperto le sue tracce e per quei giorni molti compagni della Liguria vennero sorvegliati, interrogati e perquisiti nelle loro abitazioni.
Con automobili o motociclette, la questura genovese faceva perlustrare la Val Polcevera. dove dissero d'aver visto il De Luisi vestito da frate.
La polizia non si dava pace e temeva che il bandito anarchico guastasse la festa dei diplomatici convenuti a Genova.
 
II
 
Il 26 settembre 1922 la polizia torinese, con l'aiuto d'un agente provocatore — lo chauffeur — catturava il compagno De Luisi e altri quattro, su un'automobile nera, armati di pistola, bombe e pugnali.
Il tradimento insospettato li mise nell'impossibilità di far uso delle armi, però il De Luisi impiegò ugualmente una lotta corpo a corpo e malgrado non ne sia uscito vittorioso, fu una bella manifestazione di audacia.
Vennero imputati di mancata rapina in danno di un impiegato del dazio che, per ragioni d'ufficio, portava parecchie centinaia di migliaia di lire.
Per questo reato comparvero ai tribunale penale di Torino e condannati: il De Luisi a 6 anni e 2 anni di sorveglianza, altri a 4 anni ciascuno.
Al processo tutti gli imputati dichiararono con orgoglio i loro principi anarchici. Il De Luisi, che lo imputavano di capobanda, disse: «Tengo a dichiarare che fra gli anarchici non vi sono capi; non lo dico per discolparmi da un'accusa, ma per affermare il principio anarchico dell'indipendenza della coscienza individuale che noi abbiamo nel compiere le nostre azioni e nell'assumerne la responsabilità», e avrebbe voluto continuare se gli inquisitori non glielo avessero impedito. 
Nel ricorso in appello la condanna venne diminuita a 2 anni al De Luisi e un anno per gli altri.
 
Il 22 maggio 1923 s'inizia il processo alla banda De Luisi che continua per tre giorni.
Un compagno che ha assistito al dibattimento m'inviò il resoconto, da dove stralcio le migliori dichiarazioni degli imputati:
Presidente: Narrate come si sono svolti i fatti.
De Luisi: Voi mi chiedete di narrare come si sono svolti i fatti che con altri compagni ho compiuto; ma perché non mi chiedete quali furono i motivi che determinarono la volontà e la coscienza di difendermi contro la società che voleva strangolare il mio pensiero e uccidermi con la miseria?
Questo, signori giurati, non mi meraviglia, anzi dimostra che la legge non impedisce i cosiddetti delitti, poiché voi stessi non vi curate di conoscere i motivi che li creano, poiché son creati da articoli dello stesso codice che emana la mia condanna. Sono creati dalle istituzioni che gli sbirri difendono con le armi e la galera.
Presidente, interrompendolo: Venite ai fatti.
De Luisi comincia a raccontare episodi antecedenti ai reati, ma il presidente lo interrompe.
— Voi siete imputato di reati comuni.
De Luisi: Se la legge qualifica reato politico una rivolta popolare che mira alla distruzione dello sfruttamento e dell'autorità, o un discorso incriminato o un articolo che ispirato da sentimenti umani e da concezioni filosofiche e sociali educa e stimola il popolo alla rivolta per l'uguaglianza e per la libertà, da questo quadro non sono escluse le mie azioni che commisi per sottrarmi alla fame ed allo sfruttamento e ancora per difendermi dalla legge che voleva sopprimere la mia libertà.
Vi è solo una differenza, che la mia è una rivolta individuale. Ed è per questo che voi la volete qualificare fra i reati comuni.
Il Presidente l'interrompe e minaccia di farlo uscire dall'aula e continuare il processo senza la sua presenza, se continua a fare simili dichiarazioni.
L'imputato si accinge a narrare i fatti.
Presidente: — Chi era con voi ?
De Luisi: — Lo sapete di già, il De Ambrosi l'ha confessato; lui e il Milesi.
Presidente: — E gli altri due?
De Luisi: — Non faccio la spia.
Il Presidente passa all'interrogatorio di De Ambrosi.
De Ambrosi con un modo semplicione e con un'espressione quasi ironica disse:
— Mi trovavo disoccupato e per conseguenza alla fame, così mi decisi a trovare un lavoro un po' più proficuo di quello di panettiere; poiché, signori giurati, ho cominciato a lavorare a 11 anni e in 20 anni questo non mi ha dato che il profitto di vivere nella miseria permanente.
Mi decisi a rubare per procurarmi quei piaceri e quelle gioie che l'onesto lavoro non mi aveva dato.
... Anch'io agognavo coi miei compagni di fede ad una società di liberi e d'uguali, ed univo tutte le mie forze per il futuro domani, ma la vita mi predicò la gioia dell'oggi, e vinse benché la fede non si sia spenta in me.
Ilario Margarita, imputato di favoreggiamento, fece questa fiera dichiarazione:
— Mi onoro d'essere un buon amico di De Luisi, che è stato sempre un elemento attivo nelle nostre file. Conosco De Luisi, ripeto, ma non credo che sia un delinquente chi incappò qualche volta nel codice penale. Delinquenti sarebbero quindi tutti gli amici dei senatori e dei commendatori della Banca di Sconto.
 
I giurati votarono vigliaccamente la loro sentenza di classe contro questi due anarchici sacrileghi che a colpi di bombe e di rivoltella hanno voluto aprirsi un varco nel mondo per conquistare l'oltraggiato dìritto all'esistenza e per difendere la loro sacra libertà.
De Luisi fu condannato a 25 anni, il De Ambrosi a 17 anni.
I compagni imputati di favoreggiamento vennero tutti assolti.
Alla fine della lettura del verdetto De Luisi fa echeggiare nell'aula il suo grido tonante di «Viva l'anarchia!!!».
 
Ed ora, mentre egli geme nell'ergastolo dopo aver lottato disperatamente contro la società e dopo aver rialzato, generoso e intrepido protestatario, quanti indigenti ha incontrato sulla strada della sua vita di espropriatore, non trascurando dì aiutare la propaganda e le vittime di essa; ora, qualcuno dei nostri, anziché ricordarlo ad esempio e sentirsi diminuito in suo cospetto, ha osato bestemmiarlo nei conversari sordi della maldicenza in omaggio a taluni dogmi del bacato e mendace moralismo cristiano-borghese. Ma questi «qualcuno» sono poi sempre i più avari nel pagare il loro tributo d'azione, di sacrificio e di libertà all'ideale.
Egli invece, da ardito idealista, s'è lanciato con tutta la passione dell'anima, con tutto il vigore della sua natura esuberante. Fu condannato, evaso, si trovò faccia a faccia con la fame, ma non cambiò e né si spaventò. Percorse il suo cammino diritto come una freccia che sibila nell'aria. Accettò la guerra che la società gli aveva mosso. Cadde trafitto da cento ferite, rimanendo purissimo nella fede e nella dignità di anarchico.
Il suo spirito addita, a tutti i ribelli vagabondi per le vie del mondo, il diritto alla esistenza e alla rivolta per la conquista della libertà.
 
Un anarchico
Berlino, ottobre 1923
 
[La Rivendicazione, Parigi, anno I, n.11 del 30 novembre e n.12 del 10 dicembre 1923]