Brulotti

La privazione di senso

Bernard Noël
 
Stanchezza e rivolta, in realtà rabbia contro la stanchezza quando la rivolta dà segni di affaticamento. Il potere ha trovato il modo discreto di occupare in noi i luoghi di difesa e anche di sfruttare la nostra energia. Sopraggiunge una debolezza immotivata che d’improvviso diventa cosciente piuttosto per caso. S'indovina allora che l'antico sogno tirannico si sta realizzando: quello di una sudditanza senza costrizione apparente che produce l'effetto di un abbandono. Ma a quale invasione abbiamo ceduto per arrivare a questo punto? È già trascorso molto tempo da quando, per spiegare tale fenomeno, ho coniato la parola «sensura» per esprimere la privazione di senso. Può darsi che tale perdita abbia generato una perdita critica favorevole alla sottomissione, senza tuttavia giungere ad instaurarla. Creandole per l’appunto uno spazio idoneo. A meno che, prolungandosi, la privazione di senso non comporti una debilitazione tanto più efficace che per le sue vittime, essa è solo un'abitudine legata ad una forma di consumo diventato naturale. Così la suddetta privazione avrebbe sul senso proprio l'effetto che su di esso hanno le droghe che colpiscono le nostre facoltà intellettuali, a parte il fatto che nessuno sa come definire con precisione le cause dei danni che non sono avvertiti come tali, cosicché questa non-percezione è una loro caratteristica.
 
Il principale agente di privazione di senso è la televisione
Lo è direttamente attraverso il considerevole ascolto di cui gode; lo è anche grazie ai comportamenti che induce nella politica, nell’economia, nel tempo libero. L’ascolto è notevole perché la televisione non richiede altro sforzo che quello di sedersi davanti ad uno schermo, quindi guardare ed ascoltare. Mai nella storia era esistito un mezzo di informazione o di cultura che si offrisse altrettanto facilmente al suo consumo. Questa facilità è ovviamente significativa in quanto è nata contro corrente rispetto alla legge morale elementare, la quale assicura che nulla possa essere ottenuto senza sforzo. Ormai, in qualsiasi momento e senza il minimo sforzo, il telespettatore ottiene notizie, distrazione, documentari. Gli basta solo calarsi in una situazione passiva e lasciarsi penetrare da ciò che vede. Tutto gli viene dato sotto forma di una sequela d’immagini parlanti che sfilano sia nel suo spazio mentale che davanti ai suoi occhi, essendo lo spazio virtuale e lo spazio mentale in costante rapporto. È possibile già desumere ragionevolmente che tale legame non può essere neutro e che la penetrazione della sfilata attraverso gli occhi, giorno dopo giorno, genera una pigrizia nel formarsi da sé delle rappresentazioni mentali personali, quindi di senso.
 
Una privazione di senso pianificata per fabbricare cervelli disponibili
D’altronde le immagini televisive sono il più delle volte immagini stereotipate, e questo in tutti i campi. Di conseguenza, invitano a formarsi un sistema di rappresentazione a loro somiglianza. Da qui un esaurimento dell'originalità a vantaggio di una sorta di immaginario consensuale, composto in ciascuno dagli stessi elementi formattati dalla visione delle stesse trasmissioni. Era ritenuto di buon gusto considerare eccessivo questo genere di analisi, ma il direttore di TF1 [prima rete televisiva francese] le ha recentemente fatte apparire moderate assicurando (ci tornerò sopra) che il suo ruolo è di «fabbricare cervelli disponibili» e quindi principalmente aperti alle seduzioni della pubblicità.
Tanto vale sapere che la privazione di senso viene cinicamente pianificata: ciò evita di doverlo dimostrare e permette di interrogarsi su una perdita che, al di là del senso, riguarda la vitalità. Sembra abbastanza normale che il funzionamento del pensiero sia compromesso da una sfilata di immagini insignificanti che si sostituisce al suo movimento naturale, ma l'effetto debilitante di questa sostituzione va ben oltre. Sarà perché il tempo trascorso a fare qualcosa comporta l'impegno di un analogo frammento della nostra vita? Sarà perché, di conseguenza, il frammento di vita sprecato a lasciarsi occupare dall'insignificanza è, in fin dei conti, uno spreco mortale? Qui si avverte la crescente sensazione che non si tocca lo spazio mentale senza toccare il corpo. E che il corpo in tal caso viene gravemente colpito.
 
Immagini che denotano solo fascino e non riflessione...
Forse una volta si sarebbe parlato di «tempo perduto» a proposito del tempo trascorso davanti allo schermo televisivo, ma quando il tempo perso diventa un'abitudine quotidiana, muta ovviamente natura. I francesi, secondo le statistiche, passerebbero in media quattro ore al giorno davanti al televisore, vale a dire un buon quarto della loro vita da svegli. Offrire una parte così considerevole all'insignificanza non può avvenire senza danni per il senso poiché l'attività mentale da cui dipende viene sostituita da una sequenza di immagini, il che è una cura di irrealtà e di conformismo. Questa irrealtà è invasiva perché non si limita allo spettacolo guardato nell'intimità: essa plasma progressivamente tutto l'ambiente perché deve assomigliare alle immagini, se vuole convincere (qualora riguardi il mondo politico), se vuole piacere (qualora riguardi i prodotti e gli oggetti), se vuole sedurre (qualora riguardi le relazioni). Tutto ciò agisce per contaminazione, poiché l'invito inviatoci dalle immagini attiene solo al fascino e non alla riflessione. Questo processo corrisponde a quello del consumo, dove il confezionamento conta più del contenuto, potendo quest'ultimo rimanere identico e suscitare un nuovo desiderio, a patto di mutare apparenza.
In questo gioco di immagini, l'apparenza è la merce principale: fa comprare il nulla, ma fa anche aderire al nulla dello spettacolo politico o amare il nulla degli atteggiamenti sentimentali o erotici. La felicità è un’immagine e lo stesso avvenire ne è un'altra. La realtà è ormai di troppo. Si dimentica nello sguardo che le rivolgiamo poiché lo sguardo raccoglie su di essa una somiglianza che ci basta. Il corpo viene trattato allo stesso modo, ma dall'interno, poiché è il suo interno che prima di tutto funge da spazio allo spettacolo, in verità meno come spazio che come canale e perfino come stramazzo. Le immagini vi scorrono senza essere assimilate. Sono indifferenti a chi le riceve: penetrano e passano. Conta soltanto il loro movimento e che questo sia di passaggio. Il loro senso è una direzione, una progressione che cancella man mano ciò che fa progredire nel corpo, trattato come un semplice condotto di carico e scarico. E questo condotto ha per orifizio il cervello: un cervello reso difatti disponibile dal movimento e che non trattiene niente, solo i messaggi in cui i pubblicitari condensano un po' di senso.
 
... e il cui unico scopo è di far consumare la visione consensuale di un prodotto o di un personaggio
Questo senso è, beninteso, servile: non mira ad illuminare e tanto meno a nutrire il pensiero, ed ha come unico scopo di far consumare questa o quella cosa, essendo esso stesso un prodotto inserito in una confezione denominata «spot» o «flash». Ma il senso dei telegiornali o delle trasmissioni politiche non è meno servile di quello della pubblicità che fa loro da modello. Salvo rarissime eccezioni, non si tratta di informare bensì di far consumare una visione consensuale dell'attualità o di tale personaggio, tale partito, tale avvenimento. Il processo del consumo guida ogni discorso: sta modellando l'educazione e la cultura.
Una situazione disastrosa, in quanto il consumatore non è considerato come un cittadino responsabile delle sue scelte, e tanto meno come un acquirente ragionevole: si cerca solo di sviluppare in lui un servilismo che ne disarmi la coscienza e la resistenza davanti a un prodotto o a un individuo che indossa la maschera di un'immagine seducente. In effetti, l'istituzione del servilismo è iniziata quando lo spettacolo, invece di sollecitare la partecipazione dello spettatore, lo ha ridotto a una condizione di passività. Uno spettatore passivo è un condotto senza filtro, che non riflette né digerisce, il che lo rende in grado di assorbire ininterrottamente. Questo spettatore, soggetto ad ingoiare senza ritegno, è il prototipo del perfetto consumatore, colui che, a detta di ignobili manifesti affissi in questi giorni, obbedisce al «dovere d'acquisto».
Va da sé che non si può disprezzare il proprio corpo trattandolo come un semplice organo assorbente, buono solo ad ingozzarsi di immagini. Questo corpo, sfruttato contemporaneamente sia nella sua esistenza corporea che nella sua esistenza psichica, non è ormai che una sorta di buco organico innestato in voi per parassitare il vivente e trasformarlo in servile consumatore di ciò che gli si fa ingurgitare. Così il consumatore, in certo qual modo, si prostituisce al consumo. Questa descrizione, che magari apparirà caricaturale, è solo una semplificazione per mettere in rilievo l'evidenza. Del resto, c'è ben di peggio in questa situazione se ci si accorge che la privazione di senso, legata al consumo passivo, implica un ingozzamento tramite il vuoto ed immette questo vuoto (questo niente) nella collettività degli spettatori.
 
Privato di senso, l'uomo scivola naturalmente nell'accettazione servile
La geniale invenzione del sistema mediatico consiste nel riempirci di apparenze, ovvero nell’occuparci col nulla. Ne deriva un singolare successo, se si pensa che nel corso della storia tutte le collettività trovavano il proprio senso nella condivisione di pensieri sufficientemente forti affinché ogni individuo si unisse al corpo sociale (o mistico) con la sensazione di realizzarsi. Il miglior esempio viene fornito dalle religioni, che si preoccupavano di procurare ai loro fedeli una vita spirituale sostenuta da riti che soddisfacevano la loro fame di senso. I regimi totalitari hanno imposto ideologie che avrebbero dovuto funzionare allo stesso modo delle religioni, esaltando la condivisione di un pensiero comune. Il loro timore che l'esercizio del pensiero inducesse alla contestazione ha ben presto cristallizzato l'ideologia nello stereotipo e nell'illusione debilitante. Il singolare successo della società mediatica è dovuto alla produzione di un pensiero unico offrendo nulla cui pensare. La cosa è possibile grazie all'occupazione dello spazio mentale attraverso una sequenza che mima il movimento del pensiero. Creare condivisione offrendo solo un vuoto da condividere, è forse l'operazione più redditizia del regno dell'economia. E che non cessa di perfezionarsi nell’attuale sradicamento delle sfumature a favore delle opinioni binarie, quelle che accettano solo il sì o il no.
La principale costante nel comportamento umano è la tendenza al servilismo. In ogni epoca una maggioranza è stata oppressa da una minoranza, ed è potuto accadere solo per consenso. Certo, ci sono stati moti, sommosse, rivolte e persino rivoluzioni, ma l'oppressione è sempre stata ripristinata. E di solito attraverso la violenza dei liberatori, il cui contro-potere riprendeva i mezzi del potere: istituzioni, esercito, polizia, tutto ciò che simboleggia proprio le cose da abbattere per cambiare l'ordine sociale. Tuttavia, ormai mediatica, la nostra società consente di sognare un potere che, senza perdere nulla della sua natura oppressiva, decida di rinunciare ad una violenza non più necessaria al dominio. Infatti non serve più opprimere con la forza per sottomettere, dato che è sufficiente occupare gli occhi per tenere la testa e, con essa, il luogo della eventuale contestazione. I vecchi regimi si sfiancavano a proibire, censurare, controllare senza riuscire a padroneggiare il luogo del pensiero, che poteva comunque lavorare silenziosamente contro di loro. Il potere odierno può occupare questo luogo del pensiero senza ricorrere alla minima costrizione: gli basta lasciare agire la privazione di senso. E, privato di senso, l'uomo scivola naturalmente nell'accettazione servile.
 
L'arte di rendere il cervello umano disponibile... a quali messaggi?
I mezzi di resistenza dipendono dal fatto che, per resistere, bisogna sapersi oppressi o vittime, ed è difficile sviluppare questa coscienza quando si diventa, da sé, gli oppressori di se stessi. Al di là di noi stessi non c’è nessun altro a servire da agente alla privazione di senso: questa posizione rende difficile diventare consapevoli dell'entità dei danni. Magari ci si lamenterà del tempo trascorso troppo a lungo di fronte allo schermo televisivo, o si riderà della stupidità di un programma pur avendolo tollerato, o ci si vanterà di fare zapping con un certo criterio, ma tali riserve vanno raramente oltre e soprattutto non considerano il vero problema, ovvero l'opprimente occupazione dal flusso di immagini. La cosa peggiore è che un buon programma occupa esattamente lo stesso spazio mentale di uno cattivo...
La società degli spettatori è anch'essa a doppia velocità, e si vede bene che la concorrenza tra i canali e la preoccupazione dell’Auditel non vanno nel senso della qualità. L'unica preoccupazione è di sedurre il più ampiamente possibile affinché un Auditel favorevole valorizzi al massimo i minuti di pubblicità. Questo «ideale» richiede che il telespettatore venga trattato non da utente o da cliente, come parrebbe normale, ma come testa da rendere docile ai messaggi pubblicitari o di altro tipo. È l'obiettivo che si propone tacitamente il canale più popolare, e questo significa che il suo pubblico, cioè la metà circa dei telespettatori francesi, verrà manipolato in base ai suoi interessi mentre crederà di distrarsi o di informarsi.
Questo deturnamento, che passa attraverso una falsificazione, serve a costituire un’audience da vendere immediatamente agli inserzionisti. Il pubblico è un gregge di cui si contano i capi per conoscerne la quantità al fine di venderlo ai marpioni della pubblicità. Patrick Le Lay, amministratore delegato di TF1, si è espresso in proposito con un cinismo che ha il merito di chiarire finalmente le cose: «... il lavoro di TF1 è di aiutare la Coca-Cola, per esempio, a vendere il suo prodotto. Ora, affinché un messaggio pubblicitario venga recepito, occorre che il cervello dello spettatore sia disponibile. Le nostre trasmissioni hanno la vocazione di rendere il cervello disponibile: vale a dire, di divertirlo, di rilassarlo per prepararlo fra due messaggi. Noi vendiamo alla Coca-Cola il tempo del cervello umano disponibile...».
Le Lay non dice in cosa consista un «cervello umano disponibile» da tanto questo stato gli sembrerà acquisito, scontato come la capacità della televisione di produrlo. Questa sicurezza è un modo implicito di ricordarci che la televisione è davvero il mezzo più rapido e più efficace per svuotare il cervello affinché riceva un «messaggio», come se pensasse. Per inciso, Le Lay indica quindi una ragione di questa efficacia: «La televisione è una attività senza memoria». In altre parole, la «disponibilità» non trae nessuna lezione da ciò che registra per un istante, e rimane di conseguenza inusurabile. L'ironia — ma per chi? — vorrebbe che qui si ricordasse come al momento della privatizzazione di TF1, nel 1987, Bouygues [principale azionista della rete televisiva TF1] abbia sostenuto il «miglior offerente culturale» pur di prevalere sui suoi concorrenti e aggiudicarsi il canale. Quel «culturale» si è trasformato nell'arte di rendere il cervello umano disponibile, arte che finora nessun regime totalitario aveva saputo praticare con tale successo. Un successo che cela la sua efficacia dietro un commercio, che sembra riguardare solo i prodotti di consumo, perché probabilmente non sarebbe produttivo per Le Lay spiegare che il suo canale ha la «vocazione» di rendere il nostro cervello disponibile — per esempio — alle idee di Monsieur Sarkozy. Non bisogna soprattutto avvisare il gregge umano dell'acquirente a cui verrà ceduto, se si vuole consegnarlo in blocco e senza problemi.
Si sarà capito che la disponibilità a cui lavora Le Lay con un pragmatismo ammirato da tutti gli «imprenditori» non è che una mutazione del vecchio servilismo. La società del consumo ha bisogno di quel servilismo per farci credere che le nostre scelte siano generate solo da una informazione libera, oggettiva e disinteressata.
 
[Les cahiers de l'éveil, n. 4]