Brulotti

Come e perché sono anarchico

Alessandro Scarfò
 

Compio i diciannove anni. È l'età dei virili propositi e dell'entusiasmo per ogni uomo sano. L'epoca in cui tutto ci sorride, perché vediamo e sentiamo la vita pienamente, con un ottimismo profondo, creatore e allegro. È quando si abbracciano con maggior passione i sogni ideali, le più avventurose imprese, le imprese più rudi ed anche più difficili. Momenti della vita dell'uomo in cui tutto è volontà; in cui si è spinti con maggiore slancio all'azione dal dinamico impulso della vita bella e promettente.

Ecco il periodo in cui la fiamma dell'amore diventa un rogo inestinguibile, ed i propositi di lotta ci preoccupano tenacemente, quasi con ossessione, fino ad assorbire totalmente ogni pensiero ed ogni quotidiana attività. Quando siamo realmente collocati alle porte della vita, dobbiamo sceglier fra i due cammini che la vita ci offre; è nel periodo dell'adolescenza che incomincia un destino che ognuno si traccia in armonia e secondo lo sviluppo delle sue facoltà superiori. L'età giovanile è propizia ad un risveglio felice ed è allora che s'incomincia ad aver coscienza di se stessi ed a forgiarsi la propria personalità. Ci si trova ad un bivio che bisogna affrontare risolutamente perché ne dipende tutto l'avvenire; e il cammino del bene e il cammino del male.
Per intraprendere il primo bisogna saper valutare i valori morali della coscienza, irrobustirla vieppiù con sentimenti altruisti e giusti.
L'altro, il cammino del male, consisterebbe nel lasciarsi schiacciare dall'ambiente viziato e corrotto dall'interesse egoistico e dalla malvagità inquadrata nella classica trilogia: Sfruttamento, Autorità, Oscurantismo. Per ciò che mi riguarda e per ciò che oggi sento di essere, m'è stato possibile da molto giovane scegliere il cammino del bene. Bene che ritengo sintetizzato nei principi di libertà e di giustizia sociale, quelli che più amo con piena coscienza. A questa lotta per la libertà mi sono consacrato dall'istante stesso che potei comprendere quale ingiustizia pesi sul mondo. Ma, sinceramente parlando, questo avvenne in gran parte per virtù d'un ambiente favorevole alle idee anarchiche che oggi professo, ambiente creato nel mio proprio focolare e mantenuto con vero affanno proselitista da mio fratello Paolo. La sua condotta affettuosa, la nobiltà ed il disinteresse d'ogni suo atto, riuscirono a risvegliare in me i migliori sentimenti. Ed attraverso il tempo il mio “io” s'andò formando. Andai acquistando, al contatto costante degli esseri amati che mi circondavano, carattere e volontà per perseverare nella missione libertaria che mi ero imposto.
Questo avvenne circa nel 1927.
La lettura di periodici, d'opuscoli e di libri anarchici mi sviluppava sempre più. Ricordo bene che a fine del 1926 presi un libro dalla biblioteca del mio caro fratello, libro che mi interessò per la sua copertina e pel suo titolo.
Era La madre di Massimo Gorki.
Lessi questo libro e posso notare che influì grandemente nei miei sentimenti d'adolescente. Lo rilessi perché davvero mi piaceva, mi emozionava, mi commuoveva.
Da allora fui più buono con mia madre.
Il libro di Gorki aveva toccato le mie fibre più tenere e profonde.
E per la prima volta meditai, solitariamente e silenziosamente, sulla nuova vita che iniziavo. Pensavo negli sfruttati e negli sfruttatori. Mi interrogavo e rispondevo a me stesso… Gorki tornava ad ogni istante alla mia memoria. Mi affezionai al suo libro perché mi pareva interpretare attraverso di esso la vita del popolo torturato, vilipeso e assassinato crudelmente e miserabilmente. Lessi altri libri di lui; ma nessuno emulava La Madre.
Il personaggio "Paolo", omonimo di mio fratello, mi si presentava come un essere amato. La sua perseveranza, la sua fede idealista, il suo spirito di sacrificio per la causa degli oppressi, il suo tesoro di nobili sentimenti verso gli uomini del popolo furono la mia guida, la mia stella polare, il senso d'una nuova vita che mi si schiudeva sorridente. Con affetto lo lessi e con affetto lo ricordo in questo istante!
 

Avevo già diciassette anni. Lavoravo di giorno e studiavo nottetempo nei corsi notturni d'insegnamento gratuito. Avevo frequentato le scuole fino ai tredici anni fino al 5° grado — l'abbandonai per iniziativa personale. L'insegnamento che ci si somministrava, totalmente uniforme, sotto il rigido e severo sguardo d'una maestra dello Stato, urtava con il mio carattere refrattario. Mi si classificava con pessima condotta e mi si applicavano frequenti correttivi e castighi: il mio spirito non si piegava ai regolamenti assurdi ed ingiusti che imperavano nelle classi. Ero indisciplinato non per cattiveria ma per ansia di sapere, per curiosità di fanciullo, per ribellione al rispetto ipocrita che i maestri impongono a viva forza nelle scuole di Stato.

L'esplosione si faceva inevitabile. Mi liberai da quest'ambiente pesante che m'asfissiava. Non fui mai alla scuola. Allora promisi a mia madre di dedicarmi ad un buon lavoro. Sentivo una vera vocazione per la meccanica ed allora decisi di procurarmi un'occupazione del genere.
Dopo tre o quattro giorni che non accudivo alla scuola il Direttore rimise una circolare ai miei genitori avvertendoli della mia assenza. Più tardi giunse una nuova lettera diretta a me; mi si consigliava in mille maniere di tornare nuovamente alla scuola. Però avevo per sempre ripudiato questo insegnamento castratore, che non mi seduceva e lo detestavo tanto che nessuno riuscì a farmi ritornare a scuola.
Una nuova maniera di vivere mi si presentava, indicandomi che come operaio dovevo percorrere le strade alla ricerca d'un padrone al quale essere utile col mio lavoro, offrendogli le mie deboli braccia affinché le occupassi in un'officina od in una fabbrica in cambio di alcune monete a guisa di salario. E come operaio, come cercatore di pane, vagavo per le strade di Buenos Aires in cerca d'occupazione. Infine, dopo molti giorni di quotidiane lunghe camminate, riuscii ad entrare in un'officina meccanica.
Già non ero più, dunque, il fanciullo che va a scuola con un bianco grembiule ben stirato: il fanciullo che andava ogni mattina alla sua classe, ben pettinato e con le mani pulite. Ora vestivo con un "mammalucco" azzurro, chiazzato di macchie grasse e puzzolenti, che per me avevano il valore d'un simbolo…
Facendo la mia prima entrata nella vita ricevetti nuove impressioni che poi rafforzarono il mio incipiente sentimento di giustizia ed insieme di odio, giacché il diretto contatto con il lavoro e con la miseria schiacciante che l'operaio sopporta, e che fin allora non avevo valutato il tutta la sua crudeltà, mi toccarono nelle fibre più sensibili lanciandomi alla lotta aperta per un ideale di superamento.
Ogni mattina mi arrampicavo sul tranvai "operaio" e qui più di una volta dissi a me stesso: ecco il fedele quadro della miseria! Realmente, l'immagine di questo tranvai col suo informe carico umano, che va giornalmente al giogo, ammonticchiato come in vagoni d'animali, penzolante perfino dai finestrini, esposto ad essere stritolato ad ogni più piccolo movimento, non può non risvegliare un sentimento di repulsione. Uomini anziani, pieni d'acciacchi, che tossiscono incessantemente sputando a brandelli i loro polmoni, altri più giovani, col volto flagellato dall'amarezza e dalla fame, bimbi cenciosi, più piccoli di me, con la sigaretta in bocca e la faccia pallida, manifestando precocemente l'anemia e la tubercolosi: che cosa rappresenta questo quadro se non il quadro fedele d'una classe oppressa ed esausta? E tutti i giorni vedevo questo quadro di fame in movimento. Eppure, benché nuovo, anch'io ne facevo parte.
Lavoravo nell'officina, entusiasticamente, mi sporcavo, mi stracciavo le vesti, però tutto il mio fervore era rivolto agli ingranaggi; accarezzavo i ferri con ardente desiderio d'imparare. Da allora fui ufficialmente uno dei tanti sfruttati del sistema borghese. Vidi in qual modo attraverso l’annichilimento fisico e morale che la miseria ed il bestiale lavoro occasionano all'operaio, i padroni che lo sfruttano accumulano favolose fortune, conducendo una vita di dissipazione in un ambiente moralmente abbietto. Mi si pagava cinquanta “centavos” per giorno e lavoravo fino a notte inoltrata. Così vagai da un'officina all'altra durante un anno.
Per un incidente familiare lasciai la meccanica e lavorai da muratore con mio padre. Desideroso di sapere sempre più, di notte studiavo disegno e poi m'iscrissi ad un corso d'elettrotecnica. Continuavo frequentandolo quando la polizia mi arrestò.
Già allora mi preoccupavano profondamente le questioni sociali. L'agitazione per Sacco e Vanzetti, in piena auge, mi commosse e fu quella che definitivamente mi sospinse nell'ambiente anarchico dell'Argentina.
Questi due bravi lottatori, altissime figure della causa rivoluzionaria ed anarchica, coi loro vibranti appelli diretti agli uomini del lavoro ed ai compagni del mondo, contribuirono ad irrobustire la mia coscienza ancor giovane ed in via di sviluppo.
Questa causa era per me una costante preoccupazione, un dovere per ogni anarchico ed ogni essere pensante. Le figure di Sacco e Vanzetti, realmente eroiche, mi sembravano figure epiche nella contesa pel trionfo della giustizia.
Imparai ad amare questi uomini che non conoscevo. Mi pareva di averli compresi e questo bastò per portarli nel cuore con lo stesso fervore con cui si porta nel petto l'amico o la donna che si ama profondamente.
Fu così come mi unii al dolore ed all'angustia di quelli che gemono oppressi nel materialista Nord America dove l'oro predomina corrompendo ogni cosa più sacra; come mi aggiunsi alla lotta per la libertà e per la giustizia. La fede nell'ideale mi abbracciava nello stesso modo che abbracciava Sacco e Vanzetti là nelle luride celle della loro prigione del Massachusetts.
La formidabile agitazione che commosse il mondo intero e fece tremare la borghesia internazionale, complice di quello stesso crimine, fece di me il nuovo compagno che ingrossava le file della Rivoluzione Sociale.
Non tralasciavo di concorrere a qualsiasi atto d'affermazione anarchica si realizzasse. I locali operai costituivano allora il mio preferito ritrovo, ed il mio maggior interessamento ed il mio piacere era trovarmi vicino ai miei compagni. Ricordo che pur potendo dormire in un bianco letto in casa mia (poiché in casa mia benché non vi fosse una situazione economica troppo comoda non mancava l'affetto e la concordia) preferivo molte volte condividere il duro letto improvvisato con periodici stesi su un banco e sul suolo nel locale di redazione de La Antorcha. Lì andavo perché c'erano i miei compagni, perché esisteva il centro dell'agitazione e della propaganda che stimolavano il mio entusiasmo e di cui conservo grati e incancellabili ricordi. Sentivo pei compagni, per la propaganda e per le idee quell'affetto che si conserva puro nei cuori di tutti coloro che come me erano giovani. Avevo 17 anni.
Dal mio primo contatto con le idee anarchiche fino ad oggi sono dunque trascorsi tre anni, tre anni in cui vissi tutte le alternative del movimento anarchico del paese.
 

Ora mi trovo in una prigione.

Non più nella strada compartendo le durezze della vita nella lotta diuturna coi miei amici e compagni. Non più fra loro lavorando per la propaganda, compartendo con essi il caldo cameratismo che si respirava nei nostri locali e nelle nostre conferenze. Ora nella prigione mi morde la nostalgia della lotta quotidiana. Evoco in solitudine le vigorose figure anarchiche che mi servirono d'esempio morale, e che seppero stimolarmi con la loro forte attività e le loro frasi d'affetto e di passione.
Un artiglio brutale mi ha violentemente strappato dal loro fianco, però non riuscì né riuscirà mai a strapparmici del tutto.
Il mio cuore ed i miei pensieri saranno sempre costantemente vicini a loro perché i legami che ci uniscono sono inscindibili. Gli anarchici sanno comprendersi con affetti ed armonie che, radicati nel cuore umano, danno frutti belli e squisiti. Il carcere non impedirà i sorrisi ed i saluti cordiali fra i compagni che apprezzandosi vivono per l'ideale e dell'ideale.
Io so bene che non ho da rimproverarmi né da maledire per la mia caduta in carcere. Prima di me, i migliori uomini del mondo hanno conosciuto questo calvario. Finché la pace e l'amore non aleggino sulla terra, le porte delle prigioni saranno aperte per inghiottire quanti anelino ad elevarsi su le vette della fratellanza umana.
La luce sfolgorante della fiaccola libertaria illumina il sentiero della mia vita giovane, di molte altre vite sparse pel mondo, ed è per questo che resta incolume la speranza e la fede di tutti.
Per questo e perché sono anarchici, la mia vita è fra di loro.
Salute, dunque, entusiasti combattenti dell'ideale che di fronte a tutto e contro tutti lottate e cadete per la causa delle libertà sociali.
Salute, compagni perseguitati di tutto il mondo, che dall'uno all'altro confine spargete il seme ideale dell'anarchia!
 

Prigione Nazionale, 1930

 

[Anarchia, n. 4 e 5, 15 maggio e 1 giugno 1930]