Brulotti

A viver come bruti

 
A furia di trattare gli esseri umani da coglioni, finiscono col diventarlo. A forza di coltivare l’abbrutimento, non si ottengono che bruti. E tutti gli apprendisti stregoni della democrazia, narrata in salsa riformista-rappresentativa o rivoluzionaria-diretta, ne stanno pagando il fio. «È grave», ci sentiamo dire davanti all’infamia del presente. Ma ad essere grave è aver incoraggiato per anni quanto ha permesso tutto ciò. Ad essere grave è aver intonato a pieni polmoni il mantra dell’opportunismo politico per poi stupirsi dei risultati. Ovvero, l’apocalisse etica a cui stiamo assistendo da tempo, sia all'interno dei palazzi in alto che all'aperto delle piazze in basso.
Qui in Italia, ad esempio, chi può seriamente sorprendersi per l’elezione di un miliardario newyorkese — rozzo, ignorante, razzista, molestatore di donne, psicopatico... — alla Casa Bianca? Non chi fa parte di una popolazione che nell’arco di venti anni ha eletto più volte un miliardario milanese — rozzo, ignorante, pappone, piduista, mafioso, corruttore… — a Palazzo Chigi. Chi può deprecare le giravolte di un uomo di potere che è stato prima Democratico, poi Repubblicano, poi Riformista, poi Democratico, poi Repubblicano, poi Indipendente, poi Repubblicano? Di sicuro non chi veleggia periodicamente da un carro all'altro, tuonando contro l'ideologia che fa rimanere sempre uguali, il pregiudizio che vieta di frequentare sponde diverse, il settarismo che impedisce di andare d'accordo con gli altri. Chi può inorridire davanti alla cafoneria delle esternazioni del nuovo king Ubu? Non certo gli «appassionati del trash» o i «nemici di ogni intellettualismo», o come si definiscono gli apologeti dell'ignoranza e dell'oscurantismo che adorano crogiolarsi nello squallore dell’esistenza umana su questa terra — commentatori stipendiati o idioti volontari che siano. Chi può criticare i collaboratori di Trump, uno più impresentabile dell'altro, che ricopriranno una carica nel governo del «paese più libero del mondo»? Non chi si è affidato a soubrette per le riforme istituzionali, oppure a magistrati per le lotte rivoluzionarie — tutte portate avanti nel nome della libertà.
Davanti al generalizzarsi di questo spettacolo ignobile non c'è stato nessun risveglio delle coscienze, bensì la loro totale assuefazione. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, siamo stati «formattati» al fine di abituarci alla miseria quotidiana per meglio accettarla. Se Ubu oggi regna incontrastato dappertutto non è un caso. Sedati davanti agli schermi, derubati dei sogni, ammaestrati nei desideri, trattati come idioti che bramano solo idiozie, distratti da programmi di cucina o serate di tatuaggi, soddisfatti da cori da stadio e slogan da corteo identici tra loro, sollecitati a seguire esempi di arrivismo e ipocrisia, guidati da chi spicca per due sole caratteristiche, denaro da elargire e frottole da raccontare... è breve la distanza che separa cittadini (che disprezzano poveri e immigrati tanto quanto rispettano ricconi e turisti) e kompagni (che mettono all'indice «criticoni» e «mangiatori di cadaveri» tanto quanto stringono le mani a calunniatori e delatori).
Un terremotato aquilano l'aveva definita dittatura della merda: «È la dittatura della merda, ma non della tortura... Oltre un certo limite non hai la forza per opporti... Io ho parlato con un sacco di gente che è stata sotto le dittature... Dopo anni ripetevano: “Adesso cade, non può durare”. Questa è la grande illusione: che ciò che è vuoto e che è fasullo non possa durare. Non è vero: dura». Dura, sì, ma non senza aver bisogno di essere presentato come pieno e autentico. A questo servono le narrazioni, oggi declinate ed invocate in alto come in basso, da funzionari di Stato e da rivoluzionari del contro-Stato. A cantare le lodi di se stessi e delle proprie imprese, raccontando un paese lanciato verso la ripresa, un movimento lanciato verso l'attacco, entrambi ostacolati solo dal dogmatismo dei detrattori. L'apertura di un cantiere diventa la prova inconfutabile della fine della crisi, così come uno scontro di piazza diventa la constatazione innegabile dell’inizio dell'insurrezione. Una manciata di euro in tasca, ed è il benessere infine a portata di mano; uno striscione esposto su un cavalcavia, ed è un'azione diretta infine compiuta. Le notizie sui media ci assicurano che le persone stanno sempre meglio, così come i graffiti sui muri ci comunicano che sbirri e padroni hanno sempre più paura. Tutte narrazioni che servono a valorizzare e rendere allettante la brodaglia cucinata da grandi e piccoli leader attraverso l'uso di parole suadenti.
Fuori dal campo strettamente letterario, l’affabulazione potrebbe infatti essere definita l’arte di vendere merda facendola passare per cioccolata. Basta spruzzarci sopra un potente aroma al cacao ed iniziare a decantare al pubblico la delizia del suo sapore, la cremosità della sua consistenza, l’origine esotica dei suoi ingredienti, la competenza dei suoi artigiani. Qualità eccezionali che non possono che offrire un prodotto eccezionale. Ed è così che l’incrocio fra il linguaggio più mirabolante e la falsità più spudorata può riuscire nell’impresa di far leccare i baffi davanti a… a… beh, avete capito.
Ciò che è vuoto e fasullo dura. Una narrazione vale l'altra. Un mister Trump vittorioso sulla nomenklatura politica, sulla casta intellettuale e sul bigottismo del politicamente corretto non è più ridicolo di quanto lo sarebbe stata una lady Clinton vittoriosa sul maschilismo politico e paladina delle fasce sociali più deboli. Il popolo bello, buono e generoso di Venaus non è geneticamente migliore di quello brutto, cattivo e gretto di Gorino. Le menzogne che si oppongono alle menzogne, ripetute all'infinito, sono quelle che più ci abituano alla Menzogna fino a farla diventare a noi intima.
Ne volete un piccolo esempio? Al concorso di bellezza che a Palermo lanciò una minorenne marocchina destinata a farsi strada nelle cronache italiane, furono 119 le ragazze che si presentarono all'edizione successiva alla sua ribalta mediatica (con l'approvazione dei loro affezionati genitori, ovviamente). Tutte vogliose di diventare come lei, la cosiddetta nipote di Mubarak che sollazzava il suo vecchio e ricco pigmalione. Per fugare ogni perplessità, le partecipanti dichiararono all'unisono: «alla fine lei è diventata qualcuno». Ebbene, questa è la stessa giustificazione corale che danno centinaia di sovversivi partiti sulle orme dei più aberranti capi-popolo, quali che siano: «dopo tutto loro fanno qualcosa». Virtù della marchetta.
Finché tollereremo la funzionalità della menzogna, l'utilità dell'ipocrisia, l'adeguatezza del compromesso, l'efficacia del tradimento, la comodità dell'ignoranza, non saremo altro che scarabocchi nei disegni degli ingegneri di anime, platea eccitata nel bene o nel male dall'Ubu di turno.
 
«Non sopportare il destino, ma creare il destino,
Tentando da soli e liberi, se possibile;
Perché noi uomini siamo più grandi di quanto immaginiamo,
Più grandi di quanto molti di noi comprendano»
 
[14/11/16]