Brulotti

E noi ridiamo

 
Alla fine dell’Ottocento lo scrittore De Amicis, giornalista-militare che aveva a cuore solo gli scatti sull’attenti davanti all’autorità, definiva «malvagio» il piccolo Franti che rideva alla notizia della morte del Re. Oggi i suoi degni eredi arrivano ad accusare chiunque non si metta al servizio dello Stato di essere un «terrorista». Per la gente dabbene, per i fautori del Partito dell’Ordine, il rispetto e l’obbedienza alle leggi è un fatto talmente scontato da apparire ai loro occhi come del tutto naturale. A loro avviso, le istituzioni vanno amate con la stessa spontaneità con cui si aprono gli occhi quando ci si sveglia al mattino. Chi si sottrae a questa ridicola credenza civica non è qualcuno che la pensa diversamente, è molto peggio. Finché la sua alterità rimane circoscritta al proprio ambito domestico, può anche essere considerato un eccentrico da evitare o un malato da curare. Ma guai a manifestarla pubblicamente. Perché nel Pensiero Unico chiamato per eufemismo Opinione Pubblica non è ammessa nessuna idea divergente. Chi non si indigna davanti ad un atto di ostilità rivolto contro il potere è losco e sospetto. Ma chi addirittura osa gioire per un lampo nelle tenebre della servitù volontaria è per forza di cose coinvolto nell'atto stesso: ne è l'autore, o come minimo il complice. Altrimenti non oserebbe mai esprimersi così avventatamente, altrimenti si limiterebbe a rimanere in silenzio oppure a riportare sull'accaduto le veline dei mass-media (triste scappatoia a cui molti sovversivi fanno spesso ricorso).
I totalitarismi (e la democrazia non fa eccezione) non possono tollerare la libertà di pensiero, non possono accettare che qualcuno si esprima pubblicamente in maniera contraria a quanto decretato dal loro Pensiero Unico. Perché una voce stonata rompe il coro del consenso, dando il cattivo esempio. Ciò fa capire bene, al di là delle dichiarazioni altisonanti, quale sia la sola libertà protetta dallo Stato: quella di obbedire. Siamo liberi di rispettare le leggi, siamo liberi di comprare merci, siamo liberi di farci sfruttare sul lavoro. Siamo liberi di respirare un'aria inquinata e di mangiare cibi avvelenati. Siamo liberi di vedere il mondo passare davanti ad uno schermo. Siamo liberi di stare in riga, controllati e sorvegliati dal primo vagito all'ultimo rantolo. Null'altro è consentito.
Ma il modo migliore per difendere la libertà è quello di esercitarla. Il modo migliore per difendere la libertà di pensiero e di parola è quello di pensare e parlare senza sottostare a costrizioni e ricatti, senza farsi condizionare dagli indici di gradimento o dagli articoli del codice penale. Capiamo che nei laboratori della Ragione di Stato si vorrebbe rendere indicibile — quindi impensabile — ogni espressione favorevole alla rivolta. Non è certo un caso se oggi gli eroi immaginari dei bambini cresciuti davanti alla TV sono i commissari o i marescialli; nessuno fantastica più sulle avventure di un Robin Hood. Perché fin dalla più tenera età si viene spinti ad immedesimarsi in uno sbirro, non in un fuori-legge. Dileggiare il potere è cosa ormai riservata a pochi artisti, certificati buffoni di corte che tuttavia devono stare bene attenti a non eccedere. Ecco perché non ci stupiamo affatto che un giornalista definisca «rivendicazione» un testo che saluta un gesto di aperta ostilità contro il potere, o che un presidente di Regione dichiari che «chi mette bombe non fa politica, ma compie un atto di terrorismo», fingendo di non sapere chi sia a costruire e vendere bombe da sganciare su intere popolazioni. Sono solo alcuni piccoli esempi concreti del confusionismo che viene alimentato per mettere la museruola ad ogni bocca ribelle, nella parola come nel morso. Decisamente non è facile capire qui dove finisca l'idiozia e dove cominci la malafede. Ma che i funzionari di propaganda e di partito si rassegnino: la libertà avrà sempre i suoi amanti, l'autorità avrà sempre i suoi nemici. Ed è interesse di questi ultimi riprendere ad immaginare e ad esprimere apertamente tutte le ragioni e le passioni di una rivolta contro il potere, contro ogni potere.
Quanto a Finimondo, continuerà a ridere alla notizia della morte del Re. E pazienza se un qualche procuratore definirà apologia di terrorismo ciò che noi chiamiamo libertà di pensiero.
 
[3/1/17]