Miraggi

Dieci poesie mortali

Jacques Prevel
 
Jacques Prevel (1915-1951) viene ricordato soprattutto per essere stato uno degli ultimi e più fedeli amici di Antonin Artaud, il cui incontro nel 1946 — subito dopo che il teorico del teatro e il suo doppio era uscito dal manicomio di Rodez — fu per lui una autentica illuminazione. Prevel descrive questa amicizia in un diario dove annotava la sua vita quotidiana «in compagnia di Antonin Artaud», trascorsa alla ricerca della poesia (e di droghe). Pochi ricordano però che Prevel fu egli stesso un poeta maledetto che per tutta la vita andò «alla deriva verso l’assoluto», lontano dalle consuetudini care ad un mondo che non era il suo e contro cui lanciò le sue parole «di collera e di odio». Malato da tempo di tubercolosi, Jacques Prevel si spegnerà a soli 36 anni.
 
 
Divorato dal fuoco
Divorato dal fuoco, divorato dalle mie ombre
Città! coi tuoi dolori articolati
I tuoi dolori che promettono volti
Orbati dal riso dei miei disastri
Accecati dai miei occhi ciechi
Città! i miei giorni infranti sono i tuoi giorni
I miei giorni profanati cementati dalle tue rovine
Città! complice delle mie lussurie d'ideale
Tu raccogli le mie inquietudini come altrettante promesse
E costruisci la strada invisibile che percorro.
 
Mi ritrovo senza forma umana
Mi ritrovo senza forma umana
Insanguinato dalle mie rivolte e dalle mie lotte
E condannato a vivere esistenze disperse
Mi ritrovo abbandonato alla mia sola vita
Senza forza e privo di riposo
Quando vivevo della demenza delle nostre vite
E vagabondo d’un Mondo assente
Trascino con me la notte
E il dolore avido dei miei oscuri disastri
Il mio volto è distrutto e la mia infanzia in lacrime.
La mia caduta si compie nel silenzio
Dove voci strazianti e spezzate riecheggiano
La mia caduta illimitata vertiginosa e senza grandezza.
 
Queste gioie che sono come dolori
Queste gioie che sono come dolori
Non parliamone più
Lasciamo che questo mondo morto faccia scorrere i suoi rivoli
Di sangue fino al mare
Lasciamo che la notte salga e penetri il cielo
Di folgorante notte
Mondo oscuro e maledetto il cui peso mi solleva
Vi accuso delle paure, vi accuso dei mali
E del fuoco che mi rode
E resto un vinto sul bordo di questo presente
Fatale e privo di gloria e di rivolta.
Muoio lentamente del vivere tra me stesso
E la maledizione di questi inutili giorni.
 
I bei giorni che portano a tutto
I bei giorni che portano a tutto
Mi condurranno a me stesso
E mi diranno perché
Ho attraversato tanti deserti
Per raggiungerli e perderli di nuovo.
Ed io che sono schiavo di una forza potente
Che ha segnato i miei tratti
E dato al mio passo un ritmo diverso
Sono il testimone dei giorni che non fisso
Che sono belli come desideri
E rari come amori.
Sono l’inutile testimone di me stesso
E della mia solitudine di cui non comprendo 
La disumana felicità
Di cui non benedico le ore evanescenti
Troppo vile per emigrare sempre
Perdermi e trovarmi con un gesto
Orribile per la mia viltà.
 
Gli esseri non sono su misura del tempo
Gli esseri non sono su misura del tempo
Del tempo che non ha misura.
Puntati, contorti, volti deformati
Che reggono il patibolo dei giorni inesistenti
Riportano un passato che non ha presente
Costruiscono un presente che non ha durata
E confusi senza speranza di luce
Toccano impauriti il loro inutile volto;
Ridicoli tentativi limitati alla loro presenza
Sguardi vitrei chiusi dai contorni
- La gioia senza il silenzio e il male senza la vita -
Clamore su spazi delimitati da pietre
Oscuro amore che arrugginisce i volti
Morsa che riassume un Male che conosco.
 
Quando sono presente
Quando sono presente
I vivi si allontanano, le ombre si avvicinano
La gioia contrae il mio volto come un grande male
E brucia il silenzio assordante dei vivi
Ed io so che il tempo è arrivato
Le mie parole non hanno bisogno di risonanza
Per dominare il rumore delle folle
O il fragore delle acque sulle rive
Ed io so che il tempo è arrivato
E che le mie parole contengono infine la permanenza.
 
Vivi di negazioni
Tu vivi di negazioni e del male che porti
Il tuo sguardo è solo un sogno oscuro
Lasci scorrere questi giorni a fatica
La scelta non è per te fra la moltitudine
E questi giorni che sono belli sono giorni pieni di male
Tu parli e non hai niente da dire a tutti quei morti.
 
Strane voci
Strane voci
Che parlano della fine di un tempo che muore
Abbiamo spogliato i ciechi del mantello
Non è più sulla terra, non è più nel cielo
È in noi che questo mondo è morto.
Un grosso rumore
E le stelle schiantate sono disperse
Da questa morte tra due vite.
Esplosione del diluvio
Desideri nati-morti che si uccidono fra loro
Vecchie speranze all’ombra di chimere
Cattedrali dimenticate, cattedrali abbattute
Cervelli vuoti di sostanza
Costruzione dello spirito in rovina
Ricaduta dei vecchi giorni
Corpi afferrati con due braccia e lanciati nel vuoto
Coppa di sangue ai commensali bevuta fino alla feccia
E valzer stravagante d’un fuoco mai spento.
Le tradizioni perdute
E gli anelli magici degli spiriti e dei morti
I grandi cerchi brillanti, i demoni animati.
Bisognerà lavorare fino alla fine dei tempi
Bisognerà ritrovare il Gesto e la Parola.
 
Vi scorgerò
Vi scorgerò ogni giorno a mano a mano
Che avanzerete silenziosa e rara
Come tutte le vostre parole
E non avrò per voi che un gesto e un desiderio
E non avrò per voi che una gioia molto antica
Morta e resuscitata col vostro silenzio
E che conserva la coscienza del male e dei rimpianti
Una gioia che ha la forma imprevedibile di un raggio
Una gioia che ha la forma di due mani che si stringono
E prendono la luce e il cielo e il mare
E l’acqua dei nostri sguardi senza dir nulla
Vi scorgerò ogni giorno via via
Più precisa e più offuscata
Più luminosa e più oscura
Come la morte del sole alla fine degli anni
O come il rumore di passi perduti nell’etere
Come il male stroncato dalla presenza della morte
Questa esplosiva promessa di un’altra vita.
 
Mi ricorderò di te
Mi ricorderò di te
Come ci si ricorda delle sventure
Come ci si ricorda dei grandi spazi
Come ci si ricorda del mare
Mi hai colpito e il mio sangue ha disegnato il tuo viso
Ti ho colpito e il tuo sangue ha disegnato il mio viso
Abbiamo conosciuto la gioia
Sei venuta ed il mondo ha vissuto di quell’attimo
Sei venuta, sei venuta
E i ricordi mi trascinano come il fango o la sabbia
Restano solo le mie braccia ad emergere dai miei rimpianti.
 
 
[Poèmes mortels, 1945]