Brulotti

Lettera ad Andrea Costa sul Parlamentarismo

Errico Malatesta
 
Londra, 16 maggio 1890
 
Carissimo Andrea,
Ricevo la tua di ieri. La tua proposta mi ha meravigliato, dopo quello che tu sapevi di me e che personalmente ti ho ripetuto a Parigi. Me ne duole, ma non posso in nessun modo accettarla.
A parte la ragioni generali che consigliano ad un partito rivoluzionario l'astensione dalla urne e che io non starò a ripeterti, mi pare che in questa circostanza, se eccezione v’è, l’è tale da rendere più che mai necessario, per gli anarchici, una condotta che non si presti all'equivoco e li distingua da coloro che votano.
Il discorso col quale chiudesti, per allora, la tua carriera parlamentare, la tua lettera a proposito della candidatura Menotti Garibaldi, la tua adesione al Congresso radicale, l’unanimità della «democrazia» a tuo favore, sono, dal mio punto di vista, tali cose che necessiterebbero sì una protesta dei socialisti, ma non quale tu la intendi.
Ora non è più solamente questione di metodo; è il programma socialista tutto intero, è il fine da raggiungere che viene sempre più rapidamente messo da parte e dimenticato.
Quantunque credo capire le ragioni che l’hanno determinata, o forse appunto per€ché le capisco, io veggo con dispiacere questa tendenza alla fusione tra i partiti socialisti moderati e legalitari ed i partiti borghesi cosiddetti avanzati — e non me ne aspetto nulla di buono.
La Francia e la Germania insegnino.
Comunque, io credo necessario, perché la prossima, inevitabile rivoluzione non riesca una completa delusione, che vi resti in ogni paese almeno un nucleo, vergine di ogni compromesso borghese, il quale possa tenere alta la bandiera del socialismo e combattere per la sua attuazione piena ed intera. E questo nucleo, questo partito non può essere che quello degli anarchici.
Io credo quindi che gli anarchici tradirebbero il mandato che le circostanze hanno affidato loro se — fosse pure a titolo di eccezione o come individui o per protesta — si facessero trascinare a concessioni che menomerebbero il loro carattere rivoluzionario e li avvicinerebbero ai partiti borghesi, che essi han missione di combattere a morte. Combattere, intendo, come classe e come partito, pur cercando di attirare quegli elementi popolari e tutta quella gente sincera che per ignoranza, o per tradizioni o per affezioni personali si trovano fuorviati tra i nemici, coscienti o no, del popolo e della rivoluzione.
In quanto alla proposta di Crispi tendente a togliere i diritti elettorali ad una certa categoria di condannati, in cui, fra gli altri, siamo compresi tu ed io, credo anche io che la Camera l'approverà; ma non me ne commuovo come non mi commuoverei se domani il padrone di qualche altro luogo infame, dove per sentimento di dignità non soglio e non voglio andare, si volesse divertire a stabilire delle condizioni che me ne impedissero l'entrata.
Quella legge di esclusione sarà un vantaggio per noi, se i socialisti sapranno accoglierla con la dovuta indifferenza e rispondervi abbandonando una buona volta la lotta elettorale per prepararsi moralmente e materialmente alla rivoluzione. Sarebbe invece una jattura se i socialisti, non corretti dalle passate esperienze, volessero tentare di ottenerne il ritiro a forza di elezioni e perdessero così ancora degli anni in un’agitazione addormentatrice e corruttrice.
Del resto quella proposta è ancora una prova del come il potere, lusingando la vanità dell'uomo, ne offusca l'intelligenza. Crispi, che ora vuol chiudere ad ogni costo le porte di Montecitorio a qualche socialista che dopotutto (ne converrai) gli ha dato ben poco fastidio, anni or sono, quando il potere non l'aveva ancora fatto maniaco, con ben altra chiaroveggenza scriveva nella Riforma, precisamente a proposito della tua prima candidatura, che il miglior modo per disarmare i partiti sovversivi era quello di attirarli nell'orbita parlamentare. «Chi sta in mezzo a noi» egli diceva con queste o simili parole «è o diventa dei nostri».
Caro Andrea, come vedi io non discuto, non metto in dubbio le buone intenzioni, ma tu sai bene quanto poco possano le intenzioni contro la logica della condotta. Tu sai come per una prima transazione, tu ed altri siete arrivati dove per certo non volevate e non prevedevate di arrivare.
Lascia dunque che gli anarchici restino fermi al loro posto; e tu e gli altri sarete contenti che vi sia chi vi offra occasione, un giorno, di ritornare sui vostri passi.
Il nostro programma — quello degli anarchici — è chiaro.
— Propaganda ed azione per una rivoluzione che si proponga la messa in comune della ricchezza, l’abolizione di ogni governo, l'organizzazione spontanea, dal semplice al complesso, di una società armonica basata sulla solidarietà. Astensione dalle urne; partecipazione attiva e, quando si può, iniziativa in tutti quei fatti che tendono ad elevare la coscienza popolare e propagare lo spirito di rivolta, ad abituare il popolo ad esigere e prendere quello che va comprendendo essere suo diritto, a togliere prestigio al sistema della rappresentanza e della delega.
Sulla via tracciata da questo programma io sono pronto a cooperare con tutti, senza intolleranze e senza bizze personali, e credo che tale sia la disposizione che domina nel campo anarchico.
Noi accettiamo il concorso di qualunque forza si trovi, in un dato momento, diretta sulla via che noi seguiamo: l’accettiamo nella propaganda, nell’agitazione, nell’azione. Ma transazioni e concessioni non possiamo e non vogliamo farne.
Capirai: noi crediamo di essere i più avanzati e tali, in fondo, ci considerano i nostri stessi avversari. Possiamo, dobbiamo quindi accogliere chiunque s’avanza e per quel tanto che si avanza: retrocedere per avvicinarsi agli altri no! Possiamo solo decadere e morire.
Tuo di cuore
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[Dal Supplemento al num. 1 de La Plebaglia, 25 maggio 1890]