Brulotti

Famiglia, tenero apprendistato d'Impresa

Christiane Rochefort
 
«O madre mia, perché mi hai dato la vita?»
Geremia
 
La meccanica del gioco
Il mondo nel quale nasciamo — la società industrializzata — è, e non tenta neppure più di nasconderlo, una Impresa mondiale di sfruttamento delle cose, degli animali e delle persone, da parte di un numero ristretto di personaggi, alcuni dei quali sono anche conosciuti per il loro nome, tutti adulti, maschi e bianchi (a parte alcuni Giapponesi la cui pelle si è però notevolmente schiarita all'aria degli Hilton Hotels), che, a forza di eliminare i più deboli, hanno concentrato e concentrano sempre di più nelle loro mani beni e poteri.
Questi personaggi sono il risultato logico della meccanica dei rapporti di competizione e dominazione, generata dalle società patriarcali.
Pure avendo conservato una forma più o meno umana, essi stanno oggi diventando una forza cieca, un'astrazione regnante, un grande ordinatore servito da giacche e cravatte intercambiabili. Questa Forza Cieca avanza dritta come un bulldozer, impadronendosi di tutti i materiali e di tutte le energie terrestri, che sfrutta a proprio profitto per avanzare ancora e divorare energie al fine di avanzare ancora.
L'energia umana è, ai fini dello sfruttamento, la più necessaria e preziosa perché essa sola può ottenere altre energie ed addomesticarle.
Ma questa energia è anche la più difficle da controllare: questi umani sono qualificati al punto di essere capaci di autonomia, di coscienza e d'immaginazione ed, eventualmente, di resistenza. E questo rende arduo il loro sfruttamento. Bisogna trattarli prima dell'uso e amputarli di queste scomode proprietà. Tutto ciò, il più presto possibile. Sull'individuo adulto e con capacità di giudizio è troppo tardi. Come il cancro, la coscienza deve essere operata all'inizio. Bisogna intervenire sul bambino piccolo, debole e fiducioso.
L'operazione consiste nell'aggredirlo sin dalla nascita, approfittando del fatto che è senza difesa e, dopo avergli mostrato che ha a che fare con chi è più forte di lui, nell'immobilizzarlo, nell'isolarlo e nel fargli comprendere che la sua vita dipende da una benevolenza esterna che deve conciliarsi. Si userà del tempo durante il quale è ridotto alla impotenza per vincolarne le energie ed i desideri, e gli si imporrà uno statuto di dipendenza legale, economica, istituzionale, in modo che non abbandoni la culla che per il guinzaglio, che ami questo guinzaglio e che non lo abbandoni in seguito se non con un «libero» consenso allo sfruttamento.
Benché la Forza Cieca sia per essenza violenza e generatrice di uomini violenti, benché i suoi servi intrattengano un affettuoso commercio con la morte, che tanto loro somiglia, e non esitino di fronte ad alcun vantaggioso massacro, il «libero» consenso allo sfruttamento è, per il buon andamento dell'Impresa, tecnicamente preferibile e più economico. Il volontariato cieco, e se possibile felice, è chiamato, salvo incidenti, a sostituire la nuda costrizione. Non c'è più bisogno di strappare gli occhi allo schiavo, li chiuderà da sé.
Comunque, per quanto voluttuoso possa essere per gli zelanti servitori della Macchina fare della pappa con popolazioni indocili, un minimo di consenso alla base è indispensabile, altrimenti tutto andrebbe a farsi fottere.
Il consenso si forma innanzitutto nella famiglia.
Definita in termini di Impresa, la famiglia, istituzione sotto controllo, è una piccola unità che produce, con mezzi artigianali (aspettando il clone), non bambini, ma un certo modello di umano, atto ad assicurare, come sfruttato in generale e come sfruttatore in qualche esemplare selezionato, la continuità e l'espansione dell'Affare.
La funzione dei genitori, in termini di Impresa, è quella di elaborare, partendo dal materiale grezzo «bambino», il modello addomesticato conforme alla domanda.
E statisticamente lo fanno. La prova: l'Impresa continua a funzionare. Se essi non eseguissero ciò che chiede la società, il meccanismo salterebbe in aria. Nel giro di una generazione.
 
I genitori in trappola
Lo fanno, perché sono già stati loro stessi trattati, da genitori che erano stati a loro volta, dai loro genitori, trattati. È una lunga storia, una catena senza fine.
Naturalmente essi non vedono la cosa proprio in questo modo.
Perché sono stati trattati a vederla diversamente: è il loro «tenero compito». Educano, formano, controllano i loro figli per amore e per il loro bene («È per il tuo bene») e la loro protezione. Desiderano in generale la loro felicità e sono convinti di realizzarla integrandoli nella società, che non mettono in discussione e di cui sono gli strumenti inconsapevoli. Non sanno che l'educazione è politica. Ritengono che sia un fatto privato.
Se si dicesse loro che sono gli strumenti inconsapevoli che eseguono una commessa sociale, sarebbe un massacro. Papà, sai per conto di chi ti sforzi di fare di me una pecora? Mamma, sai per conto di chi ti sforzi di fare di me la vittima consenziente quale tu stessa sei stata?
«Piccolo insolente, è così che si parla al proprio padre?»
«Sentire queste cose, dopo tanti sacrifici!»
Queste sarebbero verosimilmente le risposte nel caso in cui un bambino osasse affrontare un simile argomento in famiglia.
Come potrebbero i genitori aprire gli occhi su una realtà che annullerebbe il senso della loro vita e delle loro opere e distruggerebbe la loro illusione di essere delle persone?
Ma se sono intrappolati, la colpa non è loro; anche loro sono delle vittime!
 
Mozione d'ordine
Ci si porrà risolutamente qui dal punto di vista dei «bambini». Questo per motivi d'urgenza: prima i bambini, come nei naufragi. Poiché in effetti di naufragio si tratta.
Bisogna aggrapparsi fermamente a questo punto divista, al quale chiaramente non si è abituati. Certamente anche i genitori sono stati delle vittime. Ma non si possono analizzare insieme genitori e bambini: non sarebbe più un'analisi, sarebbe una discussione, una litania di «Sì, ma...», che non porterebbe a nulla. L'esperienza insegna che quando il dominato e il dominatore discutono o sono studiati insieme, il dominatore domina e ci si ritrova al punto di partenza. Se si analizza l'oppressione, il metodo è: a ciascuno il suo turno e separatamente. Prima l'oppresso.
[…]
È sempre la medesima storia: non c'è che l'oppresso che risenta della sua oppressione. L'oppressore, invece, è contento così, non soffre minimamente, trova questo molto positivo, giusto, normale, buono per l'altro (cosa farebbe senza di noi?), e «naturale».
«Oppresso» d'altronde è una parola grossa, che spaventa l'oppressore (altra parola grossa) — infatti lo si riconosce da questa reazione, provate, non si sbaglia mai.
L'altro (l'oppresso) non ha nulla da dire, anzitutto perché non ha la parola. Cercare di prenderla potrebbe costargli caro e lo sa. In regime di tirannia, il tiranno può essere permissivo, conserva ugualmente il potere assoluto, anche quando concede la libertà di espressione, è prudente non dirgli quello che non vuole sentire, ecco perché i vostri figli-e-figlie sono muti.
L'oppresso non ha niente da dire, e poi perché non ha una parola sua propria.
È l'oppressore che dispone del linguaggio e delle connotazioni così come della simbolica.
Il rapporto di classe è sempre formulato innanzitutto secondo i termini dell'oppressore: bene, giusto, normale, buono per l'altro, naturale. Ed è così che deve essere inteso da tutti. Soprattutto dall'oppresso. Altrimenti si sentono le proteste: è l'oppressore, naturalmente, che grida allo scandalo, al sacrilegio, alla volgarità, al ridicolo, al di che cosa vi impicciate, allo snaturato, al demodé, al delitto. E siccome è lui che ha il megafono, la sua voce copre tutto. Lo si sente da qui.
Chi cambia i termini dichiara guerra.
 
Dizionario del Padrone, o genio semantico della borghesia
Nell'Impresa le cose sono chiamate diversamente perché non siano viste come in realtà sono. Questa astuzia strategica funziona molto bene; ognuno, imparando a parlare, viene preso nella trappola del proprio linguaggio ed aliena se stesso nel pensiero dominante. Il padrone fu  un tempo il protettore dello schiavo, il marito lo è ancora della moglie, il principale è, ancora ai giorni nostri, il generoso datore di lavoro all'operaio che senza di lui morirebbe. Il lavoro è una buona cosa. Il colonizzatore portò alle popolazioni arretrate i benefici della civilizzazione e da quando queste popolazioni l'hanno cacciato via, porta ancora (lui non serba rancori) il suo aiuto ai sottosviluppati. Su questo terreno le lotte hanno decodificato una parte della parola dominante. Non tutto e non per tutti: le persone parlano ancora una lingua che li condanna. E per ogni aggiornamento di una specifica oppressione, la decodificazione deve ricominciare da zero. Con il cotone nelle orecchie per non sentire le urla lancinanti dell'oppressore, per il quale ogni parola reintegrata nel proprio significato è una banderilla.
Ci vorrebbe un dizionario completo, lavoro da certosino. In attesa decodifichiamo una piccola parte, in relazione più o meno stretta col soggetto.
 
La società: l'Impresa mondiale di sfruttamento.
La Civiltà: cultura e struttura mentali dei più forti.
Progresso: espansione dell'Impresa.
Mondo libero: mondo in cui l'Impresa ha le mani libere.
Stato: agenzia nazionale dell'Impresa mondiale di sfruttamento.
Ideale: interessi della classe dominante.
Interesse pubblico: interessi privati fatti legge.
Beneficio: sfruttamento che ci lascia in vita.
Aiuto a: sfruttamento di.
Protezione: controllo.
Armonia: silenzio degli oppressi.
Falsa Nota. Disordine: voce degli oppressi.
Capricci. Irrazionale: desideri degli oppressi.
Violenza: resistenza degli oppressi alla violenza del padrone.
Ordine: la legge del padrone regnante.
Vero: interesse del Padrone.
Giusto: idem.
Buono: idem, con sentimento.
Dovere: legge del Padrone interiorizzata.
Tenero dovere: idem, relativo ai bambini.
Naturale: serve il Padrone gratis.
Snaturato: ribelle, resistente.
Fuori moda. Superato: ciò che disturba il Padrone.
Biologia: il corpo umano reinterpretato secondo l'interesse del Padrone.
Anatomia: simbolizzazione del corpo allo stesso fine.
Destino: l'ordine del Padrone attribuito all'Universo e dunque ineluttabile.
Entrare nella vita: essere inseriti nel processo di sfruttamento.
Normale: adatto allo stesso.
Adulto: integrato volontrario o accecato.
Infanzia: apprendistato dello sfruttamento.
Bambini: classe privata dell'autonomia.
Adolescenti: si dice quando «bambino» diventa troppo ridicolo da dire.
Educazione: riduzione alle norme imposte dall'Impresa.
Felicità dei bambini: riduzione indolore.
Sessualità: parola. Serve a naturalizzare l'energia sessuale.
Eduvazione sessuale: stornamento di questa energia verso la riproduzione.
Liberazione sessuale: creazione di un nuovo mercato.
Colpevolezza: paura di essere puniti.
Complesso di Edipo: atteggiamento rinunciatario di Abramo che conduce il figlio al sacrificio.
Famiglia: unità di produzione controllata dall'Impresa.
Matrimonio: sì al potere sui bambini.
Amore: lubrificante che consente il gioco dell'istituzione familiare.
Amore familiare: bandiera celeste e rosa sotto la quale è presentato al pubblico il rapporto genitori-figli, qualunque ne sia il vissuto reale.
Amore materno: in primo piano. Storicamente il più antico. Solidamente ancorato alla «biologia» (vedi sopra) e al «destino» (idem) femminili. Esaltato da una propaganda secolare di manifesti artistico-religiosi. Complesso socio-emozionale manipolato al fine di tenere le donne al di fuori della vita pubblica.
Amore paterno: un po' sbiadito sulla foto. Di recente invenzione. La sua forza tranquilla è chiamata a sostenere l'edificio che dà segni di cedimento.
Amore filiale: recente. Anch'esso ancorato alla «biologia». Sacro: al minimo dubbio espresso su di lui, si alzano grida di dolore da parte degli adulti! L'amore filiale ha come funzione quella di ingrassare i meccanismi di trasmissione della legge del Padrone e di anestetizzare la coscienza durante le operazioni di mutilazione.
 
Avvolta nelle pieghe di queste sacre bandiere, l'immagine santa della famiglia unita e dei figli amorevoli prosegue serenamente la sua carriera di intoccabile, all'occorrenza sostenuta dal braccio secolare.
Gli attacchi contro la famiglia sono sempre stati considerati antiquati, superati, senza oggetto. Grazie a questo la famiglia regge sempre.
«Cinghia di trasmissione dell'ideologia dominante» (Reich) ed anche produttrice di una morfologia, di un soma, essa ha permesso il mantenimento di un tipo coercitivo di società — mentre offre ai suoi membri compensazioni notevoli, quali l'esercizio del potere per gli uomini che non ne hanno altrove e per le donne che non ne hanno alcun altro; quali d'altra parte le gioie della dipendenza, dello stato fetale prolungato ed il mezzo di sfuggire alla libertà. La famiglia è un complesso letale, ma rassicurante. Essa aiuta a sopportare l'insopportabile, cosa che dispensa dal cercare un cambiamento.
 
 
[Prima i bambini, 1978]