Brulotti

Le «Alleanze» nella Rivoluzione

Hugo Treni [Ugo Fedeli]
 
Ogni periodo rivoluzionario pone sul tappeto, non solo per noi anarchici, ma per tutti i rivoluzionari, la questione delle «alleanze» o delle «intese» per assicurare lo sviluppo ed il buon esito della rivoluzione che si vuole o si è iniziata. Nessun partito, nessun aggruppamento rivoluzionario potrebbe infatti inoltrarsi da solo sulla via della rivoluzione senza correre il rischio di venire quasi immediatamente schiacciato dalle forze contro-rivoluzionarie che non mancheranno di coalizzarsi. Nessuna collettività o partito da solo possiede tante forze materiali ed intellettuali, che gli permettano di pigliarsi la responsabilità non solo di iniziare ma di tracciare la via della rivoluzione e condurre le grandi masse senza l'ausilio delle altre forze rivoluzionarie e degli uomini che lavorano fuori della sua sfera particolare ma che pure lottano e lavorano per la rivoluzione.
Sotto certi aspetti la Rivoluzione Russa e il monopolio assuntone dal partito comunista parrebbe smentire questa mia affermazione; pure, è sufficiente esaminare con calma e precisione i fatti e le cose succedute in Russia, perché immediatamente ci si convinca che il partito comunista, non solo per vincere si era all'inizio alleato anche a forze a lui estranee (socialisti rivoluzionari di sinistra, anarchici, ecc.) ma con l'assumere dopo la vittoria, esso solo, con esclusione degli altri, il monopolio della rivoluzione ha spinto questa in un vicolo cieco, al punto d'esser costretto a ritornare sui propri passi, ristabilendo gran numero di quei privilegi ch’erano stati distrutti in un primo tempo, quando cioè alla rivoluzione collaboravano tutti gli elementi rivoluzionari.
La questione delle alleanze si pone indistintamente per tutti i partiti e forze rivoluzionarie, anche per quelli che si pretendono e si dicono più forti, credendo di avere con sé la «maggioranza delle masse». Però la questione non sta nella necessità o meno di concludere alleanze o intese, ma nel far sì che queste non siano catene che possano «a priori» legare il movimento nascituro e spezzare lo slancio delle masse scese in lotta.
Indubbiamente ogni partito, ogni aggruppamento cercherà di trarre da queste alleanze di un momento di necessità, il massimo di beneficio per sé e la propria azione, magari anche con l'idea di presto e definitivamente sbarazzarsi di tutti gli alleati che possano essergli d'imbarazzo e divenire pretendenti pericolosi o avversari capaci, non appena il suo potere sembri sufficientemente solidificato. I vari avvenimenti di questi ultimi anni ci hanno insegnato molto, soprattutto come certe promesse valgano poco e si debba tenere un conto assai relativo delle parole date da partiti per cui tutti i mezzi son buoni per raggiungere il loro fine: la presa del potere. Ma questo non toglie che, necessità facendo legge, almeno in un primo momento questa unione di forze rivoluzionarie possa permettere la riuscita ed una più grande estensione di un movimento rivoluzionario.
Ammesso, in principio, la possibilità e necessità di contrarre alleanze, si pone una seconda questione che si potrebbe concretizzare così: «Sono davvero tutte le alleanze necessarie od utili, e su quali basi si possono contrarre, quando lo sono?».
Per quanto riguarda più particolarmente noi anarchici, se guardiamo indietro ed osserviamo la parte da noi avuta nei vari tentativi di alleanze rivoluzionarie e di azioni suscitate da queste, vediamo come, benché non rappresentassimo sempre una forza trascurabile, non vi fummo che semplici appendici di altri movimenti, sempre impossibilitati a dare una caratteristica libertaria al movimento cui partecipavamo, benché vi apportassimo purtanto tutto l'entusiasmo e l'ardore di cui eravamo capaci. E neppure siamo sempre riusciti a creare almeno quella atmosfera indispensabile ad un lavoro in comune con altre forze, una atmosfera cioè respirabile per tutti, per determinare una situazione in cui fosse possibile a tutti i rivoluzionari di lavorare e lottare senza che nessuno fosse obbligato nell'azione a porsi in contrasto con le proprie idee fondamentali. Se guardiamo bene, constateremo che noi fummo sempre e soltanto le vittime: vittime soprattutto della nostra ingenuità più ancora che del malvolere o della scaltrezza degli «alleati» di un momento.
Le ragioni di tutto ciò si devono quindi  soprattutto ricercare in noi stessi e nel nostro movimento. Una di tali ragioni, per cui fino ad oggi fu più facile illuderci o giocarci, sta nel fatto che gli altri conoscono bene la nostra abnegazione, il nostro entusiasmo e l'abitudine di considerarci le «sentinelle sperdute della rivoluzione», le avanguardie che aprono il cammino verso la libertà, ma che non cercano nell'opera propria che sacrificio e la gioia del martirio;  ce ne siamo contentati. Invece, noi dobbiamo volere, sì, combattere e sacrificarci, ma anche proporci grandi realizzazioni, certo altrettanto importanti dell'opera di distruzione che possiamo aver comune con altre forze o partiti. Noi vogliamo fare la rivoluzione, non per il solo piacere di farla, ma perché essa sola ci può aprire la strada verso la realizzazione del nostro ideale: l'anarchia.
Essendo noi rivoluzionari, intendiamo partecipare all'azione rivoluzionaria e al suo trionfo, ma per ciò non siamo forzatamente e solo il «battaglione della morte» che altra speranza non ha che quella di morire, sia pure eroicamente, ma soltanto di morire. Noi vogliamo anche realizzare, noi vogliamo anche vivere: creare una nuova vita sociale ed umana, ragione prima del nostro stesso rivoluzionarismo.
Il falso concetto di ritenerci puramente le «sentinelle sperdute» della rivoluzione, ha fatto sì che in quasi tutti i movimenti del passato — prossimi o lontani — noi fummo inconsciamente per dir così i facchini dei partiti rivoluzionari a noi avversi, dei vari partiti autoritari; i quali, grazie alla nostra abnegazione, con facilità potettero e seppero usare a loro solo profitto dell'opera nostra, per poi magari batterci quando non fummo loro più utili.
Il problema delle «alleanze», benché abbia interessato e più di una volta anche diviso il nostro campo, non fu mai posto con precisione; così che quasi sempre, al presentarsi di una nuova esperienza, travolti dall'entusiasmo e da rinnovate illusioni, si è andati a caso, impegnandoci senza garanzie né serietà e provocando più danno che bene al nostro movimento. Tutto si è limitato, quasi sempre, a che i nostri s'impegnassero a entrare in azione e fossero loro riservati i posti più difficili e pericolosi: il che, del resto, era loro concesso sempre con piacere, si capisce. Questo, in linea generale. In casi particolari, poi, qualche volta gli anarchici non rappresentarono altro che la solita zampa del gatto che cava dal fuoco la castagna, perché altri se la mangino; essendo ben charo anche in antecedenza che, qualunque potesse essere il risultato, questo era ben lontano dal favorire i nostri scopi o dal favorire almeno la diffusione delle nostre idee.
È avvenuto perfino, in qualche caso, che se dei compagni rifiutavano di associarsi a un movimento a base d'alleanze, — o perché lo vedessero destinato all'insuccesso o sboccante in senso opposto a quello voluto e necessario, o perché i suoi elementi apparivano visibilmente inferiori al loro compito o peggio — altri compagni ne fecero argomento di scandalo e perfino di accuse di tradimento! Tale mentalità ha contribuito non poco ad abbassare il morale del nostro movimento e a danneggiare non solo questo ma tutto il movimento rivoluzionario, annullando il frutto di tanti sacrifici e di tante attività profuse a piene mani.
Da tutte queste considerazioni risulta chiaro che, se necessità esiste di venire in dati momenti e per particolari questioni ad alleanze od unioni, ciò deve esser fatto con chiarezza, in maniera da non prestarsi ad equivoci di sorta. V’è necessità, in tali contingenze, di ben discutere ed analizzare, fra noi anarchici prima che con gli altri, caso per caso tutte le possibilità che ci si possono presentare, e decidersi a ragion veduta secondo tali possibilità. Perché, se è necessario in dati momenti unirsi agli altri, questo non può costituire però una regola permanente del nostro movimento.
Non possiamo essere per tutte le alleanze, né essere sempre degli alleati, perché dobbiamo saperci creare e soprattutto mantenerci una fisionomia nostra tutta particolare e ben accentuata, fuori di ogni falsa posizione od atteggiamento, se si vuole che la nostra azione non sia più tardi sminuita, pregiudicata o compromessa dalla attitudine assunta in precedenza. Noi dobbiamo, secondo le evenienze, l’importanza degli avvenimenti e la gravità del momento, regolarci al lume delle nostre idee e precisare in base a queste la nostra situazione e la nostra azione.
Non è sempre e solo gettandosi a capofitto in tutti i movimenti di rivolta organizzati dai vari partiti di «opposizione» che si favorisce l'avanzare della vera rivoluzione, quella cioè che deve veramente liberarci liberando tutti, senza portare al potere una nuova casta, un'altra setta o partito, il cui scopo non si ridurrà che a mantenersi al potere, una volta conquistatolo, con tutti i mezzi.
Quando la necessita si impone, e gli avvenimenti ci dimostrano l’utilità di venire a temporanee intese con altre forze o partiti, in tale evenienza noi dobbiamo saper porre le nostre condizioni, non dare nulla per nulla,  regolarci anche secondo l'attitudine altrui, per non essere giocati. Dobbiamo anzitutto esigere e metterci in grado di usare della indispensabile nostra libertà di movimento, come pure di una libertà sufficiente di sperimentazione in seguito, senza di cui ogni ulteriore progresso sarebbe arrestato. La vita stessa della rivoluzione sarebbe messa in pericolo dalla soppressione della libertà, e sarebbe reso impossibile ogni avanzamento sulla via di conquiste sociali. Se non ci curassimo, se rinunciassimo anche a questo minimo di autonomia e di libertà solo per la smania di «fare», per la fretta di «menar le mani», ci renderemmo colpevoli altrettanto che i nemici della rivoluzione; ci renderemmo complici dello stesso lavoro controrivoluzionario svolto da quei numerosi sedicenti «rivoluzionari» per i quali tutta la questione si riduce a impadronirsi del potere e nient'altro.
La posizione di questi ultimi non potrebbe essere la nostra. Noi non vogliamo conquistare alcun potere, ma solo liberarci e liberare le masse dal potere altrui,  garantire alla collettività lavoratrice la possibilità di associarsi a suo modo, di realizzare l'aspirazione ad una società meglio organizzata politicamente ed economicamente; nella quale la schiavitù economica e politica non possa esistere né riprodursi, ma dove invece il libero sviluppo delle iniziative individuali e collettive possa, in tutti i campi, assicurare un massimo di libertà e di benessere a tutti, e da cui soprattutto la violenza del gendarme e del giudice, resa completamente inutile, sia completamente bandita.
 
 
[Studi Sociali, anno I, n. 8, 8 settembre 1930]