Contropelo

Il transumanesimo come regressione

O. R.
All'inizio del XVII secolo Cervantes, nel primo romanzo moderno Don Chisciotte, ha dato forma a un personaggio talmente imbevuto di storie cavalleresche da apprendere la realtà attraverso esse, il che gli procurò non poche delusioni. Nel XIX secolo, Flaubert ha raccontato una storia analoga: al posto di Don Chisciotte che percorreva la Spagna, Madame Bovary nella campagna normanna; al posto delle storie di cavalleria che hanno fuorviato la mente di Don Chisciotte, i romanzi d'amore stile trovatore che hanno fatto smarrire Emma. Anche qui il confronto con la realtà è doloroso. Può darsi che nel ventunesimo secolo occorra scrivere la storia di un essere infarcito di propaganda transumanista, e sconfortato per non trovare negli impianti, nelle protesi, nelle aggiunte e in altre interfacce corpo-macchina la realizzazione e l'incanto che gli erano stati preconizzati e che si era ripromesso di ottenere.
 
La confezione tecnologica di un immaginario regressivo
Pascolo e agricoltura sono le due mammelle che alimentano la Francia, sosteneva Sully; oggi, immaginario tecnicista ed interessi economici sono i due principali canali di foraggiamento del transumanesimo. Per evocare l'immaginario in questione, farò riferimento ad un libro del romanziere inglese James Graham Ballard, Crash, pubblicato nel 1973, che ha ispirato il film omonimo realizzato una ventina di anni dopo da David Cronenberg. Alla sua uscita il film, insignito col premio speciale della giuria al Festival di Cannes, ha suscitato parecchie reazioni indignate. Il soggetto, bisogna ammetterlo, è scabroso. Tratta di persone che, in occasione di incidenti stradali in cui sono state coinvolte, hanno scoperto l'eccitazione sessuale che quel tipo di esperienza risvegliava in loro. Ecco come il narratore, sopravvissuto ad un grave incidente, spiega la cosa. «Dopo le banalità dell’esistenza quotidiana, con relativo bagaglio di silenziosi drammi, tutta la mia esperienza organica in materia di risposta a lesioni fisiche s’era trovata per un pezzo offuscata o annullata. Lo scontro era stato l’unica esperienza concreta che avessi vissuto da anni. Per la prima volta mi ero trovato a misurarmi fisicamente col mio corpo — enciclopedia inesauribile di dolori e scariche —, con lo sguardo ostile di terze persone, con la morte vera di un uomo» (Lo «sguardo ostile» si riferisce alla ripugnanza più o meno manifesta che ispira negli altri il suo corpo momentaneamente infermo; la «morte vera di un uomo» riguarda il guidatore dell’altro veicolo, ucciso nell’incidente).
L'incidente è ciò attraverso cui il corpo, sempre più relegato al rango di strumento tra gli altri all'interno di una vita quotidiana tecnologizzata, ridiventa centrale. Ma a partire da quel momento il narratore, così come le varie persone a cui si avvicina nel corso del racconto, scivolerà nella perversione. Una perversione relativa all’attrazione della loro libido dalle circostanze in cui il loro corpo si è nuovamente palesato. Da quel momento, i protagonisti del romanzo non avranno più rapporti sessuali se non all'interno delle automobili, preferibilmente incidentate, preferibilmente con persone la cui carne porta i segni di un incidente stradale. Ma non basta e, progressivamente, si affermerà il vero oggetto della loro ricerca: l'unione completa e definitiva del corpo con la stessa meccanica dell’automobile, in un incidente mortale minuziosamente preparato.
Se, come ho detto, il film ha suscitato diverse reazioni indignate, è perché certe scene mettevano quanto meno a disagio — e io non mi permetterei di raccomandare a chiunque di guardarlo. Ciò detto, è ingiusta l'accusa lanciata contro il regista di compiacersi nell’esibire la perversione. [...] Crash non è stato fatto per sedurre, ma per risvegliare — per farci prendere coscienza del percorso intrapreso dalla nostra civiltà. Come ha scritto Ballard nella prefazione: «Crash è un romanzo apocalittico attuale». E ancora: «Il fine ultimo di Crash, inutile dirlo, è quello di monito, di messa in guardia dal mondo brutale, erotico e sovrailluminato, che in modo sempre più pressante c’invia il suo richiamo dai margini del paesaggio tecnologico». La perversione dei personaggi non è una perversione fra le altre: il sogno di amalgamare corpo e macchina è proprio quello che vediamo all'opera, oggi, nell'immaginario transumanista. Quanto alla morte che sigilla l'incontro finale di fusione nell'incidente, essa mette in evidenza la pulsione di morte che anima quell’immaginario.
Una cosa merita di essere sottolineata: a mano a mano che tra i protagonisti di Crash l'erotismo si sposta da relazioni fra persone a relazioni fra persona e macchina, ogni parte del corpo si erotizza, perché ognuna diventa un potenziale luogo di incontro con la macchina. […] Il loro corpo perde la sua unità organica, si disloca in altrettanti luoghi dove i vari componenti meccanici circostanti sono destinati, durante l'incidente, ad essere incastrati. Anche qui si riconoscono le idee alla base del transumanesimo: l'umano suddiviso in funzioni, ciascuna tesa ad «aggiungere» attraverso l'implementazione del dispositivo tecnico adeguato. Il transumanesimo offerto come un aldilà dell'umano. Benché si intraveda tutta la parte dell’aldiqua celata dietro quel presunto aldilà. L'immaginario transumanista è la tecnologia più sofisticata al servizio della regressione. È il mostruoso accoppiamento tra sovrapotenza ed infantilismo, l’orribile figura dell’immaturo iper-armato. È la promessa che grazie alla tecnica non dovremo più diventare adulti. Per elaborare tale tecnica, uomini e donne hanno dovuto sottomettersi ad una dura disciplina razionale, rispettare il principio di realtà. Ancora uno sforzo, umani, per essere liberati: presto la tecnica vi permetterà di congedare la realtà per conoscere solo il principio del piacere. L'immaginario transumanista è il Pinocchio alla rovescia.
 
Estensione illimitata nel campo del consumo
Passiamo all’aspetto economico della questione. Sappiamo che per prosperare il sistema capitalista si trova di fronte alla necessità ricorrente di aprire nuovi mercati. Come opera? In molti modi. Uno di questi si rivela particolarmente efficace. Consiste nel distruggere le opportunità che gli esseri umani hanno di sopperire da soli ai propri bisogni, per costringerli a passare attraverso oggetti o servizi da acquistare. Facciamo un esempio: lo sviluppo dei mezzi di trasporto rapidi. È innegabile come all’inizio l’aumento della velocità negli spostamenti sia una benedizione: il tempo così risparmiato potrà essere impiegato in attività più interessanti. Tuttavia, man mano che i mezzi di trasporto rapidi si generalizzano, il mondo si riconfigura presumendo la loro esistenza, le distanze da percorrere per soddisfare funzioni elementari ed essenziali (rifornirsi, esercitare il proprio mestiere, crescere i figli) si allungano e diventa impossibile coprirle con le proprie gambe. Quindi, più che un’aggiunta delle possibilità di spostamento offerte dall’automobile a quelle disponibili prima, c’è la distruzione della capacità di soddisfare i propri bisogni fondamentali usando solo il proprio corpo e la necessità — per compiere le stesse funzioni — di passare attraverso i dispositivi tecnici forniti dall'industria. Il corpo naturale diventa sempre più impotente — non perché perda in mobilità, solo che il mondo evolve in modo da ridurre le funzioni di tale mobilità.
Lungo tali evoluzioni, il consumatore diventa a poco a poco dipendente dal mercato come lo è il lattante dagli esseri che si prendono cura di lui. Superato un certo stadio di sviluppo, la società dei consumi, destinata ad aprire sempre nuovi orizzonti, ci riporta ad uno stato di completa dipendenza, come ai primordi della nostra esistenza. Non solo, ma essa giunge a disfare il processo di unificazione del soggetto — quel soggetto che avrebbe dovuto servire — fino a farlo esplodere in una moltitudine di pulsioni parziali, ognuna delle quali reclama un particolare prodotto o servizio che la soddisfi. Per caratterizzare la nostra epoca si parla spesso e volentieri di individualismo. Che termine mal scelto. Non siamo più a quel punto! L’individuo, per essere fedele alla sua definizione, non può essere in grado di dividersi. Ora, viceversa, si divide sempre di più! Ecco cosa scriveva Günther Anders nella sua opera principale, L’uomo è antiquato: «Nella sua seconda Meditazione, Descartes aveva definito assolutamente impossibile concevoir la moitié d’aucune âme. Oggi l’anima dimezzata è un fenomeno quotidiano. In realtà non c’è connotato altrettanto caratteristico dell'uomo odierno, almeno di quello che si svaga, quanto la sua tendenza a dedicarsi a due o più occupazioni disparate allo stesso tempo. Per esempio: l’uomo che prende un bagno di sole, si fa abbronzare la schiena mentre i suoi occhi scorrono un giornale illustrato, mentre le sue orecchie prendono parte ad una partita sportiva e le sue mascelle masticano una gomma — questa figura del passivo giocatore simultaneo e dell’inoperoso pluriaffaccendato è un fenomeno quotidiano internazionale. Il fatto che il fenomeno appaia naturale e che sia accettato come normale, non lo rende per questo meno interessante; tanto più, anzi, richiede una spiegazione. Se si domandasse a quest’uomo che prende un bagno di sole in che cosa consiste "propriamente” la sua occupazione; su che cosa “propriamente” indugi la sua anima, non potrebbe rispondere, com’è naturale; perché ponendo la domanda su qualcosa di “proprio” si partirebbe da un presupposto errato, cioè dal presupposto che egli sia il soggetto dell’occupazione e dell’indugio. Se qui si può ancora parlare di "soggetto" o di “soggetti”, questi consistono meramente nei suoi organi: nei suoi occhi che indugiano sulle illustrazioni, le sue orecchie sulla partita sportiva, le sue mascelle sulla gomma ad masticare — insomma: la sua identità è così compiutamente disorganizzata, che cercare “lui stesso" sarebbe ricercare qualche cosa di non-esistente. Non è dunque disperso soltanto [come dianzi] in una pluralità di luoghi del mondo, ma in una pluralità di funzioni singole». E a ciascuna di queste funzioni corrisponde un prodotto o un servizio mercantile. 
Sotto questa luce, si comprende che il transumanesimo, così come ci viene presentato, non è altro che un prolungamento del movimento. Prolungamento di una logica di frammentazione della vita in funzioni, ognuna delle quali suscettibile di essere accessoriata, e che finisce col doverlo essere. Prolungamento allo stesso modo di una logica di progressiva squalifica di tutte le facoltà umane naturali a beneficio dei dispositivi tecnici, i soli in grado di consentire la sopravvivenza in un mondo esso stesso tecnicizzato. Il corpo umano è la nuova frontiera, l’ultimo giacimento di cui il dispositivo tecno-economico intende impadronirsi. Vogliono espropriarci del nostro corpo, per poi rivendercelo a pezzi, presumibilmente aumentati. La cosa peggiore è che non possiamo escludere che, alla fine, simili «aggiunte» ci diventino necessarie, perché nel frattempo avremo lasciato il mondo evolversi e deteriorarsi in modo tale che senza di essi saremmo incapaci di esistere. Piuttosto che di aggiunte, bisognerebbe parlare di kit di sopravvivenza in ambiente ostile.
Dietro ai discorsi dei fanatici del transumanesimo, possiamo allora intuire gli enormi interessi economici in ballo. I transumanisti pretendono che i progressi tecnologici consentiranno all'uomo di superare la propria condizione biologica, di prendere in mano il suo futuro. Ciò che non è mai stato precisato nei loro discorsi è che, in relazione al dominio dell'uomo sulla propria condizione, si verificherà il dominio di alcuni uomini su molti altri; e che gli stessi dominanti si troveranno ad essere ridotti, nel corso del processo, al rango di servitori di tale processo. Come scriveva C.S. Lewis nel 1943: «Nel momento, quindi, della vittoria dell'uomo sulla natura, troviamo tutta la razza umana assoggettata a determinati individui e questi individui assoggettati a ciò che in loro è puramente "naturale"  — ai loro impulsi irrazionali. La Natura, svincolata dai valori, domina i Condizionatori, e, tramite loro, tutta l'umanità. La conquista della natura da parte dell’uomo si rivela, nel momento in cui viene consumata, la conquista dell’uomo da parte della natura. Qualsiasi vittoria ci sembri di aver ottenuto ci porterà progressivamente a questa conclusione. Tutti gli apparenti rovesci della natura non saranno che ripiegamenti tattici» (L’abolizione dell’uomo).
 
Un mostro bifronte
Da un lato, non dobbiamo ignorare gli interessi economici che servono i discorsi transumanisti. Dall’altro lato, avremmo torto a considerare il transumanesimo solo come una sovrastruttura al servizio dell’infrastruttura economica. È il mercato che si richiama all’immaginario e al subconscio per meglio assicurare la sua impresa, o sono l’immaginario ed il subconscio ad appellarsi al regno del mercato, con la speranza di venire soddisfatti? Sono vere entrambe le ipotesi, che si completano. Ecco perché attaccare solo il regno del mercato significa condannarsi all’impotenza, non riuscendo a identificare nel contempo ciò che in noi permette e invoca quel regno. Troppe critiche dell’orrore economico sono modi per esimersi a titolo personale da ogni complicità, per sfuggire al principio di realtà al fine di continuare a cullare dentro di sé il fantasma di una vita paradisiaca a portata di mano, per quanto si costringa qualche malvagio sfruttatore a restituire il maltolto. Ecco perché, simmetricamente, la sola denuncia dell’ideologia transumanista non è sufficiente se non si attacca allo stesso tempo il sistema di cui essa è l’emanazione, e che le assicura una forma di credibilità. Il carattere regressivo della vita nella società dei consumi si accorda con l’immaginario esso stesso regressivo che caratterizza, sotto una confezione high-tech, il transumanesimo. L’uno si combina con l'altro, l’uno trae la sua forza dall’altro, in una combinazione infernale che non c’è alcuna possibilità di sconfiggere, se non si attaccano contemporaneamente i due termini.
 
 
[dicembre 2014]