Miraggi

Pranzo di teste a Parigi

Jacques Prévert
 
... quand'arrivò il presidente con una pompeggiante testa d'uovo di Colombo fu un delirio.
«Era semplice, ma bisognava pensarci», dice il presidente spiegando il tovagliolo, e davanti a tanta astuzia e a tanta semplicità gli invitati non possono padroneggiar l'emozione; da due occhi incartonati di coccodrillo un grosso industriale versa sincere lacrime di gioia, un altro più piccolo mordicchia Ia tavola, graziose signore si sfregano con delicatezza le zinne e l'ammiraglio, trasportato dall'entusiasmo, beve in malo verso la sua coppa di champagne, fa scricchiolare sotto i denti la base del calice e, con l'intestino perforato, muore in piedi, aggrappato al parapetto della sedia gridando: «Prima i bambini». 
Manco a farlo apposta, la moglie del naufrago, su consiglio della governante, s'era quel mattino stesso confezionata una stupefacente testa di vedova di guerra, con le due grandi rughe d'amarezza ad ambo i lati della bocca, e le due piccole borse di dolore, grigie sotto gli occhi azzurri.
Rizzatasi sulla sedia, interpella il presidente e reclama a gran voce gli assegni militari e il diritto di portar sull'abito da sera il sestante del defunto appeso al collo.
Calmatasi un poco, lascia poi errar lo sguardo di donna sola sulla tavola e, scorgendo tra gli antipasti dei filetti d'aringa, ne prende macchinalmente singhiozzando, poi ne riprende, pensando all'ammiraglio che ne mangiava così di rado da vivo anche se gli piacevano tanto. Stop. È il capo del cerimoniale a dir che bisogna smettere di mangiare, perché il presidente sta per parlare.
Il presidente s'è alzato, ha rotto col coltello la punta al suo uovo per aver meno caldo, soltanto un pocolino meno di caldo.
Parla e il silenzio è tale da sentir volare le mosche e da sentirle volare così distintamente da non sentir più del tutto il presidente parlare, ed è un gran peccato perché egli parla delle mosche, appunto, e della loro incontestabile utilità in ogni dominio e nel dominio coloniale in particolare… giacché senza le mosche, niente scacciamosche, senza scacciamosche niente Dey d'Algeri, niente console… niente affronto da vendicare, niente olivi, niente Algeria, niente grandi caldi, signori, e i grandi caldi sono la salute dei viaggiatori, d'altronde...
Ma quando le mosche s'annoiano muoiono e tutte queste storie d'altri tempi, tutte queste statistiche le colmano d'una profonda tristezza, esse cominciano col lasciar cascare una zampina dal soffitto, poi l'altra, e cascano come mosche, nei piatti.., sugli sparati, morte come dice la canzone.
«La più grande conquista dell'uomo è il cavallo», dice il presidente, «e se non ne restasse che uno, io sarei quello». 
È il pistolotto finale; come un arancio guasto scagliato contro un muro da un ragazzaccio screanzato, la Marsigliese esplode e tutti gli spettatori inzaccherati dal verderame, e gli ottoni si alzano congestionati, ubriachi di Storia della Francia e di Pontet-Canet.
Tutti sono in piedi, meno l'uomo dalla testa di Rouget de Liste il quale crede che c'est arrivé e trova che dopotutto l'esecuzione non è stata poi tanto male, finché, a poco a poco, la musica s'è placata e la madre dalla testa di morta ne approfitta per spinger la figlioletta dalla testa d'orfanella dalle parti del presidente.
In mano i fiori, la bimba comincia il suo discorsetto di circostanza: «Signor presidente…», ma l'emozione, il caldo, le mosche, ecco lì che vacilla e casca col viso nei fiori, i denti stretti come cesoie.
L'uomo dalla testa di cinto erniario e l'uomo dalla testa di flemmone si precipitano, e la piccina è sollevata di peso, autopsiata e rinnegata dalla madre che, trovando sul carnet di ballo della bimba disegni osceni quali se ne vedon di rado, non ardisce pensare che sia stato il diplomatico amico di casa da cui dipende la posizione del padre ad essersi divertito in modo così leggero…
Nascondendo il carnet sotto il vestito, si punge il petto con la matitina bianca e lancia un lungo stridio, e il suo dolore fa pena a vedersi a quanti pensano che sicuramente eccolo proprio lì il dolore d'una madre che ha appena perduto una creatura.
Fiera d'esser guardata, si lascia andare, si lascia ascoltare, geme, canta:
«… dov'è dunque la mia amata figlioletta, dov'è dunque la mia piccola Barbara che dava erba ai conigli e conigli ai cobra?». 
Ma il presidente, che molto probabilmente non è al suo primo figlio perduto, fa un cenno con la mano e la festa continua.
 
[1931]