Brulotti

Sentimenti ed interessi

F. Bentivoglio
 
È oramai verità assimilata e digesta anche dai cervelli più ottusi, che la ragione più vera e maggiore della guerra è l'ingordigia capitalista. Una ragione di carattere economico, dunque. Però se questa è la causa determinante della guerra, ben altra natura e diversi sede ha la causa che la guerra rende possibile.
La grande banca, la grande finanza — che sono il termometro della vita sociale odierna — vogliono la guerra.
I lavoratori, la grande massa del popolo — che della vita sociale, in tutte le sue manifestazioni, sono il lievito quotidiano e necessario — la fanno.
Che quest'ultimo, il popolo lavoratore cioè, non abbia nessun interesse economico nella guerra, è verità tanto chiara quanto dolorosa.
Va alla guerra la plebaglia, ubbidendo ad un impulso dell'animo pervertito, affascinato da una bugiarda illusione, ubriacato da malsane passioni.
Mentre la ragione che spinge il capitalismo a volere la guerra è un interesse che ha sede nell'epa, la ragione invece che induce il proletariato a farla è un sentimento che ha sede nel suo animo.
Sarebbe opera vana e sterile la nostra, se essa si limitasse alle bestemmie, alle imprecazioni contro questo o quel governo, nulla curandoci della mentalità del popolo, dei suoi sentimenti, delle sue emozioni.
Vi saranno delle guerre finché l'animo della massa lavoratrice non sarà prosciugato della melmaccia putrida che ne costituisce il fondo e che soffoca il germoglio del nobile sentimento della solidarietà umana, della fraternità del lavoro; fino a che nell'animo dei figli del popolo albergherà sovrano l'orrido feticcio della patria.
Ed a quest'opera di epurazione deve essere diretta la parte maggiore e migliore delle nostre forze.
Oggi più che mai.
Perché quest'uragano ruinoso che è la guerra d'Europa, non squassa e travolge soltanto fortezze e castelli, chiese e palagi, non inghiotte soltanto uomini, ma sconvolge le menti e turba i cuori, rovescia vecchi valori, antiche credenze, abbatte idoli ed ideologie, dottrine e sistemi, infrange illusioni e fuga speranze.
È un aratro gigantesco che rimuove vecchio terreno da tempo incolto, abbandonato alle male erbe ed alla gramigna.
È fenomeno così vasto e così profondo quello della guerra europea, che anche gli individui più apatici e più indolenti, non possono fare a meno di porvi mente.
E basta per un minuto soltanto fissare gli occhi della mente sul grande dramma che va svolgendosi in Europa, per scorgere delle verità mai prima intravedute.
I conservatori ed i retrivi lavorano a tutt'uomo e per ogni verso, — col giornale, col comizio, col teatro — affinché la mentalità e la psicologia della folla rimangano quali erano prima della guerra: vuote, apatiche, tisiche, affinché nessun senso di disprezzo, di sdegno, di odio verso i responsabili della carneficina orrenda, nasca nell'animo di coloro che per la guerra hanno dato, spontaneamente, il boccone di pane e brandelli di vita.
Perché non v'è chi riconosca che l'avvenire, le sorti future e i destini dei popoli e delle nazioni dipenderanno dell'impressione che la guerra lascerà.
Consci di questa verità, noi anarchici — senza trascurare la preparazione materiale nostra di minoranza d'avanguardia — dobbiamo concentrare il nostro lavoro di propaganda alla preparazione mentale e psicologica della massa.
Se non vogliamo che in una prossima occasione si ripeta lo sconcio, snervante fenomeno di milioni di operai organizzati nei partiti politici e nelle unioni di mestiere, ubbidire automaticamente agli ordini del governo, della nazione in oscena combutta col governo delle organizzazioni!
La premessa su cui si basa la teoria e la pratica delle organizzazioni politiche e di classe, che cioè le masse non si muovono se non sotto il pungolo dell'interesse economico, è stata smentita dai fatti.
I quali si sono incaricati di dimostrare che la folla nelle sue manifestazioni di vita collettiva, ubbidisce più ai suoi sentimenti che ai suoi interessi, più agli impulsi dell'animo che agli stimali dello stomaco. Le emozioni ed i sentimenti hanno la loro parte, e non ultima, nella formazione della storia.
Storia ed esperienza dimostrano ancora che le grandi trasformazioni per essere durevoli e profonde bisogna che si operino anzitutto nel pensiero, nella psiche, nel carattere e nella vita degli individui.
 
 
[Cronaca Sovversiva, anno XIV, n. 12, 18 marzo 1916]