Brulotti

Le colonie anarchiche

Élisée Reclus
 
Poco tempo fa ebbi la fortuna di assistere alla rappresentazione della Clairière (1) di Lucien Descaves e Maurice Donnay, e ne provai una gran gioia. Da molti anni non avevo provato una simile soddisfazione a teatro, e questa volta quel che mi rendeva felice era più il pubblico che il dramma. Evidentemente gli spettatori, e non solo quelli del loggione ma di tutto il teatro, erano profondamente commossi. Tutti guardavano con simpatia verso la Clairière anarchica così differente, almeno nel sogno, dalle loro tane infette •e dalle loro scatole insignificanti; tutti elevavano il loro spirito verso una società migliore e, più le parole che udivano erano alte e fiere, meglio sembravano comprenderle. Essi si distaccavano dai vecchi pregiudizi e dalla loro antica morale; per qualche ora quei borghesi, quei ben pasciuti, quei paurosi abbandonavano la loro anima di uomini del passato.
Non devo fare la critica del dramma e non tengo affatto a notarne i meriti e le imperfezioni; parecchi compagni l'han già fatto con molta sagacia e simpatia per gli autori. Non provo nessun bisogno d'analizzare sottilmente i miei piaceri; quel che m’interessa è il soggetto in se stesso che ci ha profondamente commossi. Questa terra promessa di cui abbiamo visto sparire il miraggio, potremo vederla riapparire più durevole quest'altra volta? In mezzo ad una società malvagia e così bizzarramente incoerente, giungeremo a raggruppare i buoni in microcosmi distinti, che si costituiscano in falangi armoniche, come chiedeva Fourier, e che sappiano far coincidere la soddisfazione di tutti i loro piccoli interessi con l'interesse comune, e armonizzare le loro passioni in un insieme potente e pacifico nello stesso tempo, senza che nessuno dei componenti la comunità possa averne a soffrire? 
In una parola, gli anarchici riusciranno a crearsi delle Icarie al di fuori del mondo borghese?
Non lo penso né lo desidero.
Senza dubbio i nostri nemici ci consigliano volentieri a fuggire la società borghese, a mettere l'oceano tra loro e noi, e ci incoraggiano a fare delle nuove esperienze nel paese dell'utopia, nella nobile speranza di sbarazzarsi di noi e di esporci al ridicolo di nuovi insuccessi. È stata anche fatta abbastanza seriamente la proposta di imbarcare tutti gli anarchici dichiarati per un'isola qualunque dell'Oceania, che si regalerebbe loro a condizione però che non tentino mai di uscirne e si adattino alla vista di un vascello da guerra coi cannoni puntati sul loro accampamento!
Mille grazie, benevoli concittadini! Accettiamo la vostra «Isola fortunata» ma a condizione di andarci quando ci piacerà, e intanto restiamo nel mondo civile e, pur facendo del tutto per evitare le vostre persecuzioni, continueremo la nostra propaganda nei vostri laboratori, nelle vostre officine, nei vostri domini, nelle vostre caserme e nelle vostre scuole; proseguiremo la nostra opera dove il campo del nostro lavoro è più vasto, nelle grandi città e nelle campagne popolose.
Ma poiché noi non pensiamo a ritirarci dal mondo per fondare qualche nuova Città del Sole abitata soltanto dagli eletti, certamente nel corso della nostra lotta secolare contro gli oppressori di ogni categoria, avremo più volte occasione di raggrupparci temporaneamente secondo il sistema nuovo di rispetto reciproco e di completa uguaglianza. Le stesse peripezie della lotta ci raggrupperanno spesso per forza e, in questo caso, è impossibile che le nostre società non si costituiscano conformemente al nostro ideale comune.
Posso citare come esempio la «comune di Montreuil» (2) e molte altre esperienze che sono tali da incoraggiarci molto. L'imprevisto non può mancar d'aiutarci per far nascere nuove occasioni, e, grazie alla forza collettiva crescente dataci dal numero, dall'iniziativa, dalla presenza di spirito, dalla nitida comprensione delle cose e grazie anche alla penetrazione graduale delle nostre idee nel mondo nemico, noi vedremo realizzarsi sempre più frequentemente opere d'ogni genere, scuole, società, lavori in comune, che ci avvicineranno all'ideale sognato. Bisognerebbe esser ciechi per non vedere il lavorìo sotterraneo che si compie in senso libertario, in ogni famiglia, in ogni gruppo, legale o spontaneo di individui•.
D’altra parte noi riconosciamo volentieri che fino ad ora quasi tutti i tentativi pratici fatti colla mira di formare colonie anarchiche in Francia, in Russia, negli Stati Uniti, nel Messico, nel Brasile, hanno costituito un insuccesso, come la Clairière di Descaves e Donnay. Poteva avvenire altrimenti quando le istituzioni vigenti al di fuori, unione e paternità legale, subordinazione della donna, proprietà individuale, compra e vendita, uso del denaro, erano penetrate nella colonia come del cattivo seme in un campo di grano? Sostenute dall’entusiasmo di qualcuno e dalla beltà stessa dell'idea informatrice, queste intraprese hanno potuto durare qualche tempo, malgrado il veleno che le corrodeva: ma a lungo andare gli elementi di disgregazione dovevano compiere l'opera loro e tutto sarebbe affondato in virtù del proprio peso, anche senza che nessuna violenza distruttrice fosse esercitata dal di fuori.
Quand'anche i disorganizzatori introdotti dai nostri due scrittori nella Clairière, l'ubriacone, il ladro, il pigro, lo scettico, l'adultero, il mercante, il denunciatore, non avessero fatto parte della comunità, io avrei ugualmente predetta la rovina della colonia dopo un periodo più o meno lungo di decadenza e di languore. Non ci si isola impunemente; l'albero che si trapianta e che si mette sotto vetro corre gran rischio di rimanere senza il succhio vitale; ora, l'essere umano è molto più sensibile della pianta alla clausura. La clausura tracciata attorno a lui dai limiti della colonia non può che essergli mortale. Egli si abitua al suo stretto ambiente, e, da cittadino del mondo, si rimpicciolisce gradatamente fino alle semplici dimensioni di un proprietario; le preoccupazioni dell'affare collettivo che amministra restringono il suo orizzonte e a lungo andare egli diviene un banale guadagnatore di danaro.
Dunque non bisogna a nessun costo rinchiudersi, bisogna restare nel vasto mondo per ricavarne tutti gli impulsi, per prender parte a tutte le sue vicende e riceverne tutti gli insegnamenti. Ritirarsi con degli amici in qualche campagna per passeggiare e parlare delle cose eterne come i discepoli di Aristotele, sarebbe in realtà un abbandonare la lotta e, come dice Lucrezio, lasciare le ragioni stesse della vita per una parvenza di vita. I nostri amici della «Giovane Icaria» negli Stati Uniti dell'Ovest, sembrano averlo ben compreso. Eredi delle tradizioni comuniste della vecchia Icaria, questi compagni hanno fortunatamente imparato che i gelosi regolamenti di un tempo e tutta la precedente logomachia di leggi e di statuti non servono che a creare inimicizie e rivolte, e, divenuti anarchici, «fanno ciò che vogliono», vaie a dire lavorano fraternamente al bene comune, che rappresenta nello stesso tempo il loro vantaggio personale. Ma la loro campagna per quanto sia dolce e salutare pei vecchi stanchi delle lotte della vita, amanti del riposo, pare un luogo troppo calmo per i giovani ardenti, che hanno bisogno della pratica delle cose, della rude esperienza del destino, dei conflitti che formano il carattere e che permettono di conoscere gli uomini. Essi se ne vanno via gaiamente a «mangiare un po' di vacca arrabbiata», felici al postutto di sapere che se la miseria li perseguiterà troppo, potranno tornare presso i loro vecchi amici a respirare l'aria pura e a mangiare sin che han fame e ritrovare le loro dolci parole di tenerezza.
In realtà, quelli dei nostri compagni che sono ancora sedotti dall'idea di ritirarsi dal mondo in qualche paradiso chiuso, continuano a soffrire dell'illusione che gli anarchici costituiscano un «partito» al di fuori della società.
Questo non è affatto vero. Noi mettiamo la nostra gioia, la nostra passione a praticare quello che a noi sembra egualitario e giusto, non solo verso i nostri compagni, ma anche verso tutti gli altri uomini. L'umanità è ben altrimenti grande che l'anarchia nel suo ideale più elevato. Quante cose ignorate ancora ci saranno rivelate dallo studio più approfondito della natura, dallo slancio solidale verso tutti gli altri uomini, con tutti gli infelici che hanno subìto come noi l'influenza dell'ambiente incoerente, a cui noi vogliamo rendere la sua forma armonica! Nel nostro piano d'esistenza e di lotta, non è la piccola cappella dei compagni che ci interessa, è il mondo intero. La nostra ambizione è di conquistare alla verità tutta la terra, con amici e nemici, anche quelli che da un'educazione funesta, da tutto l'atavismo delle caste e dal veleno delle chiese sono stati aizzati contro la verità come degli animali da preda.
 
 
(1) La Clairière vuol dire letteralmente la radura in mezzo ad un bosco, •e in senso figurato quindi un luogo solitario in cui c’è più luce, più chiarore che in tutto l'ambiente circostante. Questo dramma di Descaves e Donnay ebbe molto successo a Parigi nel 1900. Vi si mette in scena una colonia di anarchici comunisti, pieni di buona volontà e di entusiasmo, ma in mezzo al quali si sviluppano germi di dissoluzione, fra i quali s’introducono dall'esterno elementi di discordia; e la colonia anarchica è costretta a sciogliersi, benché i suoi fondatori e i loro più convinti seguaci conservino tutto il loro entusiasmo per l'idea e si ripromettano di riuscir meglio per un'altra volta.
(2) Associazione di mutuo aiuto, che prese il nome della località in cui fu costituita, di un gruppo di anarchici, i quali avevano messa su nel 1892-93 una officina in comune dove venivano a lavorare nei momenti d’ozio e gli oggetti prodotti dovevano essere a disposizione loro e dei compagni e amici che ne avessero bisogno. Avevano anche preso un campicello per coltivarvi ortaggi da distribuirsi gratuitamente; avevano in programma la creazione d’una biblioteca d’una scuola pei loro figli, ecc. ed infine speravano di poter emanciparsi dal capitale lavorando per conto proprio su basi comuniste. Ma le repressioni governative in Francia del 1894 mandarono all’aria tutto e dispersero i membri del gruppo. (Notizie prese dal libro “L’Anarchie” di Jean Grave)
 
 
[Pensiero e Volontà, anno III, n. 11, 1/7/1926]