Brulotti

Gaetano Bresci (29 Luglio 1900)

 
Noi non siamo idolatri: ravvivando tra le ceneri dell'indifferenza e dell'oblio le faville dei ricordi cari all'anima irrequieta ed il nome dei temerari che 
avvolto all'asta il glorioso labaro 
senza orgoglio di duci
l'agitarono in un'ora bieca di proscrizione, in un'ora squallida di viltà, noi cediamo a ben più umano desiderio, a ben più libero voto che non sia quello di erigere tra la garrota e la mannaia i simboli di una nuova fede, gli altari, il culto ed i riti di una nuova religione.
Ogni religione, sia pur quella dell'audacia, dell'abnegazione o dell'eroismo, si alimenta di rinunce squallide e rassegnate degli asceti senza nervi e senz'anima che nei taumaturgi riassumono la magica virtù e la miracolosa potenza di fare per tutti quello che nessuno osa più tentare né fare da sé.
Altro insegnamento rampolla dall'azione ed altro vogliamo noi.
Per questo, più che rifriggere nel lirismo convenzionale delle commemorazioni obbligate il nome e le virtù del reprobo che il 29 Luglio 1900 agli iloti, atterriti dall'uragano e tremanti sotto la ferula, mostrò le vie della liberazione e la miseranda fragilità dei numi e questi atterrò colla sua audacia e quelle aperse colla rivolta, preferiamo ricordare di Gaetano Bresci l'atto che ricondusse i satrapi alla moderazione, i vinti alla speranza, il tragico duello delle classi nei suoi confini.
Perché dal suo atto come dagli atti di rivolta che lo precedettero e lo seguirono erompe un ammonimento che è rimasto fin qui inascoltato.
Che la tragedia di Monza abbia ricondotto i governanti liberali della terza Italia al rispetto delle tradizioni costituzionali è cosa che può piacere agli utopisti della pacifica conquista dei pubblici poteri, ma di cui non sapremmo che rallegrarci mediocremente: che abbattendo un feticcio, un feticcio circonfuso di fanatiche e paurose devozioni, abbia distrutto la vecchia leggenda degli unti del signore onnipotenti, intangibili, invulnerabili che giudicano e condannano e comandano senza che alcuno possa levarsi e giudicarli e condannarli ed umiliarli; ed abbia così mostrato il ridicolo delle venerazioni, la vergogna delle domesticità e la vanità delle paure onde s'innerva la loro fraudolenta ed effimera onnipotenza, è verità che ha fatto strada, che non saprebbero seriamente contendere neppure gli ortodossi della clientela.
Ma rimane nell'ombra un insegnamento che non ha dato ancora tutti i suoi frutti.
La classe che colla violenza e colla frode ha da secoli accaparrato il monopolio dei mezzi di produzione e di scambio, ha murato intorno al monopolio economico che l'investe — arbitra assoluta della vita e della morte di tutti — un saldo baluardo di istituti, di codici, di leggi, di consuetudini che non sono soltanto il palladio formidabile della sua potenza ma l'agguato feroce in cui si smarrisce e si perde ogni proposito ed ogni via di nostra salvazione.
Ci ha prima violentemente soggiogati colla miseria e colla fame, ci ha saputo incutere poi coi suoi precetti religiosi e morali che schiavitù, miseria e dolore sono il nostro destino e la nostra gloria, come colla fitta trama delle leggi civili — leggi fatte da noi o col nostro consenso, dice la frode costituzionale — ha saputo strapparci più tardi la sanzione alle sue piraterie, la devozione al suo dio, al suo re, alla sua patria; la sottomissione alle sue leggi, alla sua giustizia, ai suoi eserciti, alla sua polizia; la rinunzia di tutti e di ciascuno alla propria personalità, alla propria dignità, alla propria libertà per sempre; e la doppia frode battezzò contratto sociale
La duplice frode Gaetano Bresci schiaffeggiò nei carnefici che l'impongono, nelle vittime che l'accettano.
Il pane, la libertà, la gioia non si chiedono in ginocchio a dio, al re, al padrone conserti nella confisca e nella rapina; non si mendicano allo Stato, al Parlamento, alla Legge nati per sancire l'una e l'altra, pronti a difendere l'una e l'altra colla mannaia e colla tortura, colla mitraglia e colla galera, pronti a difendere colla frode e colla violenza quello che colla frode e colla violenza ci fu confiscato.
Ma sul nemico cinto d'armi e di agguati, pane e libertà e gioia si conquistano — fuori della cabala e dei sogni di un'impossibile transazione, di un'assurda azione pacifica — in una lotta terribile che costerà molte lacrime e molti lutti e molto sangue; ma che un giorno, ben presto, sommergerà tutta la terra sradicando gli odi, fecondando i germi profondi dell'amore e della libertà che arrideranno ai nipoti, ai liberi cittadini delle Atlantidi felici.
Dilagherà per ogni cuore, sommergerà tutta la terra....
Ma qualcuno sotto lo schianto degli anatemi, delle imprecazioni e delle maledizioni, sfidando pregiudizi e collere, legge e morale, calcoli e paure, deve pure iniziarla la grande lotta; e sfilano giù per la china dei ricordi le sentinelle perdute, i precursori iconoclasti: Duval, Pini, Ravachol che contro la morale e la legge, contro la Proprietà, lo Stato e l'Ordine rivendicano il diritto ai miseri, ai vinti della vita e del lavoro di ricomporre il contratto sociale, violato a loro danno, prendendo dov'è quello di cui abbisognano ed a cui hanno incontrastabile diritto; Sofia Peroskaja, Geliaboff, Angiolillo, Caserio, Vaillant, Henry, Czolgoz, Bresci e Morral che spezzando in mano agli uomini provvidenziali lo scettro, proclamano la decadenza di ogni sovranità dell'uomo sull'uomo — sia quella illimitata e jeratica dello zar, sia quella anonima ed irresponsabile del Parlamento — annunziando la maggior età delle plebi, l'affrancamento da ogni tutela, l'emancipazione dell'individuo, nell'armonia degli interessi solidali, da ogni tirannide divina ed umana, economica e politica, il crepuscolo tragico dell'autorità, le aurore fiammanti dell'Anarchia.
E sulle tracce dei precursori — virtù irresistibile dell'azione — la grande massa ascende verso la sua meta fatale.
 
 
[Cronaca Sovversiva, Anno IV, n. 30, 28 luglio 1906]