Hugo Treni [Ugo Fedeli]
La Rivoluzione russa e il Partito Comunista

Nel 1917 scoppia la rivoluzione in Russia. È la rinascita di tutte le speranze soffocate da tre anni di guerra mondiale; è l’inizio di un vasto periodo rivoluzionario in tutta l’Europa.
La fine del vecchio mondo borghese pareva ormai essere incominciata. Tutti guardavano alla Russia, a quest’immenso popolo che, spezzate le sue catene si era messo alla testa di tutto il movimento di rinnovazione che stava maturando nel mondo. Certo, la lotta che dovette sostenere il popolo russo per la conquista della libertà e l’edificazione di un più grande benessere per tutti fu estremamente dura. Ma tutti andavano alla lotta con gioia e si sacrificavano perché avevano fiducia nella Rivoluzione, la quale allora era ancora l’espressione di un sentimento e di un bisogno unanime.
Però, via via che la rivoluzione si affermava, un partito profittatore cercava di accaparrarsela, di farsene una cosa esclusivamente propria, alla quale tutti gli altri non avrebbero avuto altro diritto e dovere che quello di ubbidire, di sottomettersi. Infatti da allora comincia la sfigurazione della rivoluzione da parte del partito Comunista che assume il potere e, come governo, pretese di essere l’unica e sola guida delle masse rivoluzionarie.
Indubbiamente per gli uomini che assumono il governo di un paese in rivoluzione, la vera rivoluzione comincia ed anche finisce con l’avvenimento che li porta al potere; e così, per essi chiunque si oppone ai loro voleri diviene un «nemico della rivoluzione», come fu il caso degli anarchici e di tutti gli elementi rivoluzionari di sinistra che in Russia avrebbero voluto spingere la Rivoluzione alle sue conclusioni estreme.
Ho detto che la sfigurazione della rivoluzione incominciò con Ia monopolizzazione della rivoluzione da parte di un partito. Però è estremamente difficile dividere nei suoi elementi un movimento della vastità di quello della Rivoluzione russa, perché nella valutazione dei fatti entra il concetto che ognuno ha o può avere della rivoluzione stessa, della parabola che deve seguire la sua evoluzione e dello scopo stesso che si pretende con essa di raggiungere. Né si deve dimenticare che, in una rivoluzione, gli avvenimenti si concatenano in tale maniera che quasi sempre gli uni sono una diretta conseguenza di altri, ed un primo errore è la causa di moltissimi altri susseguenti.
Leone Trotzky, in una raccolta di scritti e discorsi (già tradotta in varie lingue) che risalgono al 1927-28, cioè al periodo più acuto delle discussioni avvenute in seno al partito comunista sulla rivoluzione permanente o sulla realizzazione del socialismo in un solo paese (Trotzky-Stalin), criticando la frazione comunista che attualmente detiene il potere in Russia, riconosce lui pure che la Rivoluzione è stata ormai tradita, sfigurata. Egli afferma che la sfigurazione russa incominciò, ma solo per opera del gruppo suo avversario (quello di Stalin), quando questo si impadronì del potere dopo la morte di Lenin.
Invece noi anarchici la denunciammo molto prima, questa sfigurazione della rivoluzione: fin dal 1920; e un anno dopo, nel 1921, la famosa opposizione operaia russa, guidata dalla Kollontai, la denunciò essa pure con una molto nota dichiarazione indirizzata a tutti i delegati del X Congresso Panrusso del Partito Comunista proprio quando Lenin viveva e prendeva ancora parte attivissima se non preponderante in tutta l’azione del Partito, e mentre Trotzky era ancora onnipossente e si scagliava con violenza — come lui sa essere violento — contro tutti gli oppositori, accusandoli d’essere dei sabotatori, dei briganti, e peggio ancora. Ma in quel tempo era lui che comandava, e tutto andava bene!
Ora non più. Nella introduzione del suo libro La Rivoluzione sfigurata Trotzky afferma che «la rivoluzione di ottobre viene divisa dalla malattia e dalla morte di Lenin in due periodi che si differenziano sempre più l’uno dall’altro a misura che noi ci allontaniamo da quelli. Il primo periodo fu l’epoca della conquista del potere, della istituzione ed affermazione della dittatura del proletariato, della sua difesa militare, degli atti essenziali a cui dovette ricorrere per determinare la sua via.
L’insieme del Partito aveva coscienza, in quel momento, di essere il pilastro della dittatura del proletariato; ed è in questa coscienza che trovava la sua sicurezza interna.
Il secondo periodo è caratterizzato da un dualismo sempre in aumento fra il potere ed il paese. Il proletariato che conquistò il potere in ottobre (1917), in seguito ad una serie di cause materiali e morali, d’ordine interno ed esterno, viene scartato e rigettato in un piano inferiore. AI suo fianco dietro di lui, qualche volta anche davanti a lui, si levano altri elementi, altri strati sociali, frazioni di altre classi che accaparrano buona parte, se non del potere, almeno d’una influenza decisiva su di questo».
La divisione in due tempi fatta da Trotzky non è del tutto erronea. Quello che, almeno secondo noi, è sbagliato, e più ancora arbitrario, è il momento fissato da Trotzky come frontiera fra un periodo e l’altro: la malattia e la morte di Lenin.
Il secondo tempo della rivoluzione Russa mi sembrerebbe più esatto farlo cominciare se non proprio dalla presa del potere da parte dei bolscevichi (il che sarebbe a rigore più preciso e più giusto), dallo schiacciamento del movimento insurrezionale dei contadini rivoluzionari dell’Ukraina, con l’affogamento nel sangue del movimento rivoluzionario Machnovista (1920-21), dal massacro dei rivoluzionari insorti a Kronstadt (febbraio 1921) che avevano rialzata la bandiera dei veri Soviet, soffocati e sfigurati essi pure dal potere comunista, presentando un programma che ora Trotzky stesso fa in gran parte suo. Eppure fu proprio Trotzky il massacratore di Kronstadt; fu lui ad annegare nel sangue ogni anelito di libertà che ancora vibrava tra le masse rivoluzionarie. E fu solo dopo questo massacro, dopo questo schiacciamento di forze rivoluzionarie vive e feconde, che al governo bolscevico fu possibile fare uno del più grandi passi indietro, con l’instaurazione della «Nep» (Nuova Politica Economica), cioè con la più grande concessione fatta agli speculatori ed alla borghesia. Che questa ritirata strategica, come la chiamò Lenin stesso, sia avvenuta proprio allorquando ogni spirito rivoluzionario venne spezzato nelle masse, è abbastanza sintomatico.
Poi venne tutto quello che doveva logicamente avvenire. La frazione stalinista, ora al potere in Russia, non è che la logica, inevitabile continuazione della parabola discendente iniziata da Lenin e Trotzky e, checché se ne dica, anche la continuazione delle forme e metodi in uso allora. Solo che, attualmente, la sfigurazione è ormai tale che la Rivoluzione, malgrado ogni migliore volontà, è quasi irriconoscibile per tutti — perfino agli occhi di Trotzky stesso! È talmente vero che la sfigurazione della Rivoluzione russa incominciò prima della morte di Lenin, che Trotzky è obbligato a scrivere nel libro più sopra citato:
«Non occorre dire che il primo periodo medesimo (1917-23) non è omogeneo da un capo all’altro. lvi pure non ci furono solamente dei movimenti in avanti, ma dei rinculi. Anche allora la Rivoluzione fece importanti concessioni: da una parte alla classe contadina, dall’altra alla borghesia mondiale. Brest-Litowsky fu il primo rinculo della rivoluzione vittoriosa. Dopo, questa riprese la sua marcia in avanti. La politica delle concessioni commerciali e industriali, per quanto modesti ne fossero i risultati pratici, costituì anche essa in principio una vera manovra di rinculo. Nonostante, la più grande ritirata fu fatta, in modo generale, con la nuova politica economica (la “Nep”). Ristabilendo il mercato, la Nep ha, con questo solo fatto, ricreate delle condizioni suscettibili di far rivivere la piccola borghesia e di convertire certi elementi suoi e dei suoi gruppi in media borghesia».
È dunque già dal 1921 con l’instaurazione della Nep che fu possibile il formarsi, l’instaurarsi di una nuova borghesia. Borghesia che andò naturalmente sempre più affermandosi e solidificandosi, dietro la spinta degli stessi uomini del governo russo che, come Bukarin, invitarono i contadini ad «arricchirsi» (1925). Allora, se tutto questo è vero, perché Trotzky, pigliandosela con gli anarchici, attribuendo ad essi come sempre pensieri ed idee non loro, scrive: «L’asserzione degli anarchici o degli anarcheggiantl, che I’U.R.S.S. sarebbe già un paese borghese non può essere meglio contraddetta che dall’attitudine della borghesia stessa, interna e straniera, su questo soggetto».
Gli anarchici non dicono che la Russia attuale sia un paese borghese, ma solo che è sulla via per diventarlo, se non si lascerà libero corso e sviluppo agli elementi rivoluzionari, che invece attualmente, — come già fin da quando Trotzky era al potere — sono perseguitati, arrestati, imprigionati, deportati e qualche volta ammazzati.
Quello che noi anarchici abbiamo più volte affermato, non è che la Russia sia borghese ma che la rivoluzione vi è ormai strangolata dalle mani di quegli uomini stessi che pretendevano esserne le guide, mentre invece non fecero che mutarsi, dopo la propria andata al potere «in un nuovo strato sociale di conservatori, intimamente convinti che la rivoluzione, avendoli elevati ai primi ranghi, per questo solo fatto aveva adempita la sua missione». Orbene, la formazione di questi nuovi strati sociali conservatori, noi non la denunciamo soltanto ora, quando questi sono diventati onnipossenti e non lasciano più respiro alla rivoluzione e la cosa getta la delusione e lo scoraggiamento in tutto il movimento rivoluzionario mondiale; noi la denunciammo fin da quando questi strati stavano appena formandosi ed era ancora facile abbatterli. Del resto è per questa nostra critica che noi fummo combattuti dai bolscevichi, e lo siamo ora più che mai.
Tutta la documentazione personale apportataci da Trotzky a noi non insegna nulla di nuovo; solo essa viene a riconfermare quanto noi abbiamo detto tante volte. Ma viene con troppo ritardo, perché essa possa esser benefica allo sviluppo degli avvenimenti. Si può dire che Trotzky è stato ora colpito dal sasso lanciato dalla sua stessa fionda, essendo stato lui tra i primi a sentenziare che «chi combatte il governo bolscevico, combatte la Rivoluzione».
Certo, fra tutti gli elementi dell’opposizione comunista Russa di questi ultimi quattro o cinque anni, fra i più conosciuti almeno (Zinovieff, Kameneff, Radek, ecc.) Trotzky è quello che non ha abdicato alle proprie idee per mantenere un posto; ed ha dimostrato in tutto il suo atteggiamento abbastanza coraggio da diventarci un po’ simpatico, come del resto ci sono simpatici tutti i colpiti per l’affermazione sincera delle loro idee con una intenzione di progresso e di benessere collettivo, anche se queste loro idee non collimano perfettamente con le nostre. Ma accusando, così com’egli fa, della sfigurazione della Rivoluzione soltanto una parte, cioè la frazione del partito bolscevico avversa alla sua, Leone Trotzky anche con ciò aggiunge un nuovo errore ai molti suoi altri passati non poco gravi, poiché snatura la portata degli avvenimenti. Con ciò egli non diminuisce punto la parte di responsabilità che gli spetta nello strangolamento della Rivoluzione in Russia, di cui è responsabile in solido tutto il Partito Comunista.
[Studi Sociali, anno I, n. 2, 16 aprile 1930]