Brulotti

Guerre e Religioni

Ego
 
Quando si accenna allo spirito di vendetta e di rappresaglia che nei tempi passati animò tutte le divinità — compresa quella da cui scaturì il mite cristianesimo — non è difficile sentirsi osservare che le divinità erano tali perché il genere umano, uscito da breve tempo dalla sua crisalide animale, non poteva comprendere deità che non avessero partecipato dei suoi sentimenti, dei suoi odi e dei suoi rancori. Come se gli dei, dal momento che a loro si vuol dare attributi sovrannaturali e di esistenze a sé, indipendenti dal cervello dell'uomo, non dovessero reggere l'universo con dei sistemi morali propri ed avviare l'umanità verso il bene e dovessero per essere creduti amati ed ammirati adattarsi alle esigenze della mentalità umana.

È negare ad essi l'indipendenza della loro esistenza e l'attributo dell'eternità, ed è accettarne l'essenza prettamente umana: «l'uomo creò dio».

Solo perciò in epoca di guerra permanente gli dei erano in massima parte guerrieri e vendicatori, perché così li concepivano i popoli in lotta ed il dissidio nelle religioni politeiste è la condizione permanente tra la gente divisa.

Nelle stesse relazioni familiari — perché presso i pagani gli dei non disdegnavano la famiglia — era la discordia, l'ira, la rappresaglia e se Giunone fa le corna a Giove regalandogli un bastardo, Giove se ne vendica facendosi saltare dal cervello Minerva. Venere, che ha la disgrazia d'un marito zoppo e fabbro ferraio, corre la cavallina con Marte, come una qualunque mogliettina allegra d'un qualche tranquillo commerciante tresca con lo speronato tenentino di cavalleria.

Tutti gli dei dell'Olimpo e quelli in sottordine e i semidei, non contenti delle ire celestiali, scendono in terra armati come briganti a combattere fra gli uomini ed a riceverne anche ineducata ferita.

Lo stesso spirito di patria ha stanza e religione nella difesa dei Penati, divinità domestiche che presiedevano al benessere ed alla felicità della famiglia.
 

A tutte queste deità rimane sempre il contenuto naturale ed umano che originò le religioni. Gli dei non sono campati nell'aria, né sono impersonali né vaporosi, né hanno perduto niente del carattere finito della loro personalità; sono personificazioni delle attività materiali e morali della natura e ricopiano all'ingrosso, con una fortissima lente di ingrandimento, gli stessi sentimenti dei loro creatori.

Nella stessa concezione della giustizia essi seguono un proprio punto di partenza, per cui non li vediamo gravare tutti assieme contro una parte che avessero deciso considerare nel torto, ma dividersi in altrettanti partiti quanti sono i combattenti. E Omero può ricordarci Venere che rientra schiamazzante nell'Olimpo dopo un'irriverente ferita toccatagli da parte greca e ne ottiene le irrisioni di Minerva.

Gli uomini, prima di lanciarsi all'attacco invocano propizi gli dei, almeno quelli che ritengono i propri protettori ed arrivano per mano d'Agamennone ad immolare la figlia Ifigenia, perché il mare sia calmo e permetta alle navi greche l'approdo all'Asia Minore.

Dio è la personificazione del sentimento predominante in quel dato momento storico. Ed ai popoli conquistatori starà bene un dio guerriero e conquistatore, come ad un popolo pacifico s'addicono Cerere, Bacco e tutti gli dei benigni e giocondi della campagna. E riscontriamo anche questa differenza nei sacrifici: che agli dei delle messi, dei greggi ecc. offrono animali o parte del raccolto, mentre agli dei della guerra non disdegnano offrire vittime umane, e la religione dei popoli agricoltori è serena e tranquilla, mentre è satura di fanatismo e d'intolleranza quella dei popoli guerrieri.

L'abitudine alla guerra rincrudisce il sentimento religioso, oltre che per l'istigazione continua del prete che nell'incertezza della vita trova esca alla sua predicazione, nella necessità di onestare l'ingordigia della conquista con un'idealità. 
Il mite cristianesimo ha seminato più stragi di quante altre religioni l'abbian preceduto. Nel suo nome — dal giorno in cui Costantino il Grande, abbracciandolo come religione di Stato per il contributo che questa forza nuova gli portava a combattere i suoi nemici, gli diede libertà di predicazione e lo sovrappose alle altre religioni dell'impero — furono commesse le più grandi carneficine della storia. Il cardine che mosse i potenti cattolici di Spagna a cacciare gli Arabi in Africa e spinse Carlo Magno alle lunghe guerre coi Saraceni rimane sempre lo spirito di conquista; ma le popolazioni la guerra facevano e subivano esclusivamente perché fanatizzate dai sacerdoti.

Era da pochi secoli sorto l'islamismo ed aveva preso piede nell'Asia, da dove mosse alla conquista d'Europa. Trovò di fronte il cristianesimo e fu lotta lunga ed aspra, non del tutto spenta oggi. Le crociate ne furono una conseguenza.

Ma il fanatismo religioso lo vediamo marcato durante e dopo la Riforma; la notte di S. Bartolomeo non ne è che un episodio.

Durante le guerre si abbandonano i lavori e le popolazioni immiseriscono e s'acuisce lo spirito di rassegnazione e quello mistico che vede tutto effetto dell'ira divina.

Ieri per l'impresa tripolina il Banco di Roma per mezzo dei propagandisti dei suoi interessi aizzava lo spirito fanatico delle popolazioni italiane contro gli arabi, e a quali prodezze l'odio di religione abbia condotto si è visto nella ferocia del piccolo soldatino d'Augusto che immergeva voluttuoso la baionetta in seno alle povere mamme arabe.

E quali effetti per riverbero la guerra apporti nell'animo del soldato si osserva nel riavvicinamento in tutte le nazioni del prete coi partiti liberali. Gli stessi che sino ad ieri avevano fatto professione di ateismo si sono abbandonati in braccio ad un misticismo tutto d'annunziano; ed il cappellano militare è ridiventato un'istituzione necessaria negli eserciti, voluta e caldeggiata dai duchi d'Aosta o dai conti Cadorna.

La borghesia volteriana di Francia che aveva voltato definitivamente coi Waldeck, Rousseau e coi Combes le spalle alla chiesa, rientra pentita nell'ovile. E ritornando mutilati al focolare i figli di tutte le patrie porteranno il cervello completamente rovinato da idee morbose di rassegnazione.

Le religioni rendono più bestiali le guerre, e le guerre perpetuano le religioni. Perché se queste non servono a provocar guerre, è certo che sono aiuto poderoso a rendere il credente un soldato valoroso ed obbediente agli interessi di chi provoca la guerra.
 

Rimanendo nel campo del cristianesimo e mettendolo in raffronto con tutte le religioni che lo precedettero e lo seguirono, i suoi predicatori, i sacerdoti più intransigenti, han sempre considerato a suo merito una certa potenza civilizzatrice e la facoltà d'ingentilire gli animi ed i costumi.

Si sa che la religione dominante in un dato periodo informa la morale e questa si concretizza nel corpo di leggi che regolano i rapporti della vita sociale; né ricorderò che mentre le religioni seguono le tendenze degl'interessi della casta dominatrice, impongono agli umili la morale. Accetto anche il paradosso, che la religione venga di fuori e s'imponga per forza incoercibile, che non è in facoltà degli uomini. Sarà forse peggio per la religione in generale, per il cristianesimo in particolare.

E dirò subito che il cristianesimo, religione dominante ed informante la morale degli uomini, non ha mai deplorato nessuna guerra se non per bocca di qualche solitario subissato subito dal coro dei più e facilmente dimenticato.

Anzi le guerre ha aizzato e si è visto come di esso si siano serviti a fanatizzare le popolazioni per renderle più atroci e più sanguinose.

Oggi nessuna voce — né dalla cattedra del successor di Piero, né dalle pompose cattedrali sparse per il mondo come gramigna in campo fertile, né dalle missioni evangeliche — si è levata a protestare contro la guerra, se non in qualche platonica geremiade obbligata. Che se qualche volta a condannar le guerre una voce solenne e serena di pace è sorta in nome di Cristo e del cristianesimo, essa è stata in bocca di Tolstoi rinnegata dal santo sinodo e da tutti i praticanti di religione.

La bibbia ed il vangelo sono per i predicatori ciò che il sogno e la zingara sono per il giocatore del lotto; vanno consultati a trovare per questo la via alla fortuna, per quelli all'autorevolezza del giudizio e la sua indiscussa rettitudine rafforzata dalla profezia divina; perché bibbia e vangeli hanno la virtù dell'ibis redibis non dell'oracolo di Delfo. Ultimamente pastori evangelisti scovarono non so in quale parte dei sacri vangeli, a giustificazione della guerra attuale e a dimostrazione che Cristo non fu un pacifista, queste parole del maestro: «io porto al mondo una spada». Dunque Cristo vuole la guerra; la guerra è l'assassinio su larga scala, non per voluttà di rapina (certe atrocità pur ripugnerebbero l'animo di Ghino da Tacco), ma l'assassinio per mandato di gente ignota ed incapace, nell'estrinsecazione normale delle sue attività, di fare il male.

Ora, che io sappia, uccidere non è cosa gentile ed insegnare ad uccidere in massa ed imporre l'omicidio in massa, che io intenda, non è ingentilire gli animi né i costumi. Tutt'altro: è innegabile che la guerra richiama in ogni combattente l'istinto bestiale che dice «io ti voglio mangiare, io voglio che tu soffra e soffrano i tuoi». E se era, d'altro canto, barbarie ieri l'eccidio degli armeni per opera dei musulmani, o le rapinatrici incursioni dei mori nei paesi civilizzati da Roma e cristianizzati da Costantino, e le tremende persecuzioni dei cristiani da Nerone a Diocleziano, non capisco come possono essere civiltà e gentilezza lo sterminio del Belgio per esempio e l'affamamento della Grecia, l'immolazione di milioni d'uomini dall'una parte e dall'altra sotto la benedizione dei cappellani militari: «così sempre noi troviamo la croce unita alla spada».

Ma tutto ciò può essere prodotto della guerra che la religione non ha potuto arginare, perché gli eventi sono stati più forti di ogni morale. O nel nome del cristianesimo le sacre falangi dell'inquisizione non si buttarono sui poveri albigesi? o nel nome del cristianesimo — quando questo poteva essere credenza sincera e leale in condottieri e in gregari, in dominatori e dominati — per secoli non si son scannati cattolici e riformati, ed il Duca d'Alba non fece gravare feroce di tutte le repressioni l'intolleranza fanatica di Spagna sui Paesi Bassi e Carlo V non aveva sollecitato e rotto alleanze secondo il tornaconto proprio nella guerra lunga e tenace pel primato dell'Europa con Francesco I? E nel nome di Cristo e della croce, come prima nel nome di Giove e della sua vasta corte, il papato — la forza più potentemente dominatrice d'una delle più vaste e più durevoli religioni — non ha insanguinato od arrostito od incarcerato il mondo, da Wicleff ad Huss, da Bruno a Campanella a Ferrer?

— Ma il cristianesimo ci ha agevolato lo sviluppo della civiltà, così come le guerre ne hanno affrettato e ne affrettano l'incedere, osservano da più pulpiti, proclamando opera del cristianesimo e delle guerre lo sviluppo intellettuale a cui è pervenuta l'umanità o la parte pensante dell'umanità. Ed è osservazione ingenua per quanto azzardata, se non fosse sfacciatamente impudente. Basterà solo ricordare i dieci secoli che seguirono al trionfo del cristianesimo, le guerre di quell'epoca lunghissime, e ripensare che a ridare la sua ricchezza e la sua genialità all'arte, la dirittezza alla scienza, a rimetterla per la via buona delle innovazioni in tutti i campi del pensiero umano, occorse il periodo preparatorio degli umanisti che, ripudiando i dogmi aristotelici di cui si erano valsi gli scolastici per far trionfare la teologia del cristianesimo, ritornarono al periodo precristiano.

Né le guerre — di cui il cristianesimo dice per bocca dei suoi ministri di valersi per rintuzzare la barbarie — agevolano la via al progresso, perché se esse diventano in certi momenti ineluttabili e provocano l'insurrezione che conchiudesi ad una rivoluzione, tutto ciò è contro il suo spirito e contro l'intenzione e l'aspirazione di chi le precipita.

Se lo spirito di libertà dà Bruto, lo spirito guerriero regala Giulio Cesare o Napoleone o ... Kerensky, e la religione gli presta la benedizione dei pontefices maximi o l'incoronazione per opera di Pio VII o la compagnia ed il codazzo del santo sinodo al dittatore di Russia nelle reclamistiche gramaglie per i dieci mitragliatori dei ribelli.

Se Dio lui sostenesse, o s'ei sostenne 
Dio non fermar o i suoi orator:

Lo sanno i vostri morti, o pie Cevenne

Che non credevano al suo confessor.

E Re Sole era il padrone della Francia e faceva le guerre e seguiva la religione!

 
 
[Cronaca Sovversiva, anno XV, n. 30 del 29 luglio e n. 31 del 4 agosto 1917]