Brecce

Utopia antica e guerre contadine in Cina

Ngô Văn
 
Sulla scia di Joseph Déjacque nella sua Umanisfera, Utopia anarchica (1857), per utopia intendiamo il sogno non realizzato ma non irrealizzabile. L’utopia, troppo spesso concepita e analizzata come un fenomeno tipico del solo Occidente, fa parte della storia profonda della Cina. Sono gli stessi sogni ed aspirazioni, gli stessi tentativi pieni di fiamma e di poesia di andare all’assalto del cielo. Nell’utopia cinese segnata al tempo stesso dal misticismo e dal suo superamento sublimato nella vita e nella lotta terrena, noi ci troviamo sullo stesso terreno dei combattenti delle guerre di contadini che scossero il mondo occidentale, si tratti di Thomas Müntzer in Germania o dei «digger» e i livellatori in Inghilterra, per non menzionare che i più emblematici. Come se tutte queste rivolte, senza confondersi, dialogassero attraverso lo spazio ed il tempo, alimentando il fuoco della sovversione e della speranza sull’intero pianeta.
Ecco un testo dal Lieh-tzu, della scuola taoista che ha segnato l’utopia antica:
«Quando Yu regolava le acque e le terre, sviatosi e perduta la strada, per errore pervenne ad un regno situato a nord del mar settentrionale, non so a quante migliaia o decine di migliaia di li dalle province centrali. Questo regno si chiama Estremo Settentrione, non so come siano delimitati i suoi confini. Non c’è vento e pioggia, gelo e rugiada, non dà vita ad uccelli e ad animali, ad insetti e a pesci, ad erbe e ad alberi. Tra i quattro lati è completamente piatto ed è circondato da ripide colline. Nel mezzo del regno c’è una montagna a forma di orcio, chiamata Hu-ling, sulla cui sommità c’è un orifizio a forma di braccialetto rotondo, detto Antro dell’Abbondanza, dal quale zampilla un’acqua chiamata Polla Sovrannaturale: ha un odore più forte di quello delle orchidee e delle spezie, un sapore più forte di quello del mosto. Questa sola sorgente, dividendosi, forma quattro corsi d’acqua, che fluiscono verso il basso della montagna e scorrono ad irrigare tutto il paese. 
Il clima è mite e non provoca epidemie. Gli abitanti, di carattere gentile e accomodante, non litigano e non contendono; avendo il cuore molle e le ossa deboli, non sono alteri né servili; vivendo separati gli anziani dai giovani, non hanno principi né sudditi; andando mescolati uomini e donne, non hanno paraninfi e sponsali; vivendo nelle vicinanze dell’acqua, non arano e non seminano; essendo il clima mite e uniforme, non tessono e non si vestono. Muoiono a cent’anni, senza morti premature o malattie; il popolo si moltiplica a iosa, gode di piaceri e di gioie e non conosce decadimento e vecchiaia, tristezza e dolore. Per costume sono amanti della musica e, prendendosi per mano, cantano a turno senza mai smettere per tutto il giorno. Quando hanno fame e sono stanchi, bevono alla Polla Sovrannaturale e ne sono rinfrancati nelle forze e nella volontà, se eccedono si ubriacano e tornano sobri dopo dieci giorni. Bagnandosi nella Polla Sovrannaturale, la loro pelle diventa liscia e lucida e la fragranza svanisce solo dopo dieci giorni».
Questo testo dal Lieh-tzu descrive una comunità immaginaria reminiscenza della comunità contadina arcaica, precedente l’inizio leggendario della regolazione della Cina primitiva. Esprime il sogno comune ai contadini-servi oppressi, l’assenza assoluta di ogni potere al di sopra delle loro teste, la liberazione dal lavoro, l’aspirazione ad una lunga vita gioiosa, il desiderio dell’unione libera fra uomini e donne, e infine la fuga dal massacro perpetuo della morte sotto il pugno dei padroni feudali dell’epoca.
L’autore, Lao-tzu — uno dei maestri della scuola del Tao o Dao (Daokia, taoismo) — nacque intorno al 450 a.C. (periodo dei Regni combattenti), condusse una vita oscura in mezzo agli uomini comuni e visse grazie all’aiuto dei suoi discepoli.
Radicato nel suolo contadino, nel II secolo d.C. il pensiero taoista si incarnerà nella formidabile guerra dei contadini che contribuì alla caduta dell’impero degli Han Posteriori (25-220).
 
La plebe contadina nella società feudale arcaica
Nel primo millennio a.C., la società feudale arcaica si divide grosso modo in due classi principali: in alto l’aristocrazia, in basso la plebe contadina. Nobili e patrizi, detentori del potere e padroni della terra, dominano e sfruttano i contadini. I riti reggono i rapporti all’interno della nobiltà, i costumi ritmano la vita plebea.
I contadini bisognosi come servi, braccianti, operai agricoli ed i frutti del loro lavoro riempivano i granai dei nobili. Altri senza-terra e schiavi per debiti sgobbavano nelle miniere, nelle fonderie, nelle saline, nei laboratori artigianali appartenenti ai feudatari o ai ricchi mercanti.
Così in tempo di pace, per mantenere gli «uomini superiori» (kiuntseu, figlio del principe), le «persone da poco» (siaojen) lavoravano e crepavano di fame, tessendo senza avere di che vestirsi. «Il principe mangia le sue imposte, i grandi ufficiali mangiano i loro feudi, i patrizi mangiano i loro possedimenti, i plebei mangiano la loro forza lavoro, gli artigiani ed i commercianti mangiano i prezzi fissati dallo Stato, i funzionari mangiano le loro funzioni, gli amministratori mangiano i loro appannaggi; il governo è in ordine, il popolo è in pace...», dice il Discorso sui Regni (Kouo Yu, I secolo).
E durante le feroci guerre fra feudi per la conquista dei territori e per l’egemonia, i plebei costituivano la manovalanza e morivano in massa.
 
In mezzo a tutti questi sconvolgimenti e disordini sociali dei Regni Combattenti (500-222 a.C. circa) comparvero le «Cento scuole» di pensiero presso i letterati (che, patrizi) pensatori alla ricerca della «via per ristabilire la pace sotto il cielo». Ma la dislocazione delle Corti reali, la caduta delle Case principesche e signorili finirono per disperderli fra il popolo. Fra questi letterati divenuti molto poveri, gli uni campavano dispensando i loro insegnamenti in privato, gli altri cercavano di trovare impiego presso i feudatari ancora potenti, come consiglieri politici, specialisti di diverse arti e tecniche o praticanti delle arti esoteriche...
Lo stesso Confucio per campare si fece consigliere di una Corte o l’altra. Lao-tzu, il suo antagonista, ispiratore dei taoisti, sarebbe stato archivista alla Corte dei Tsheou.
Fra queste scuole, la scuola taoista riflette il pensiero contadino plebeo.
 
La scuola di Lao-tzu
Questa scuola del Tao si contrappone alla scuola tradizionalista di Confucio, che è il fondamento ideologico delle classi dominanti feudali — dell’ordine feudale ideale, retto da rituali. La scuola confuciana insegna le regole di convenienza nei rapporti fondamentali fra sovrano e sudditi, marito e moglie, fratello e sorella, seguendo le cinque virtù cardinali: lealtà e pietà filiale, equità, correttezza, saggezza e fiducia, alle quali si aggiungono la stretta separazione dei sessi, come si conviene in base al rango sociale a cui si appartiene.
I taoisti, a disagio in un mondo in perdizione, conducono una esistenza da eremiti o da reclusi all’interno della plebe contadina. Il loro ideale: il ritorno alla natura, la semplicità primitiva, la vita naturale, spontanea, libera e gioiosa, denudata da ogni convenzione, senza legge né morale. Questa filosofia taoista deriva dalle antiche pratiche magico-religiose ereditate dagli sciamani dell’alta antichità e radicate nel suolo contadino. La parola Tao o Dao significa correntemente la religione, la Via: Dao Lao, la religione di Lao-tzu; Dao làm nguoi, la Via d’essere uomo. Il Tao come principio immanente della natura, del movimento cosmico, suggerisce l’idea di una potenza in cammino, dell’incessante divenire universale. I suoi discepoli predicano il non-agire (wu-wei), il non-intervento dell’uomo nell’universo naturale e umano, il ritorno alla spontaneità e alla semplicità primitiva, alla vita in piccole comunità autonome, in cui
«Se anche vi son navigli e vi son carri, il popolo non tenti di salirvi; se anche vi son corazze e vi son armi, mai e poi mai le tiri fuori il popolo. E ritorni ad usar nodi di corda; e trovi gusto in cibi e vesti suoi; ed ami la sua casa, i suoi costumi. Se stati vi vedessero vicini, tanto che cani e galli se ne udissero, invecchino così, fino alla morte, quei due popoli: senza alcun contatto» (Tao Te Ching).
All’opposto dei confucianisti che si fidano del destino dettato dal Cielo (t’ien ming), i taoisti conducono la propria esistenza seguendo il motto: Il mio destino dipende da me stesso e non dal Cielo (Wo ming tsai wo pou tsai t’ien, Bao P’u Tzu). «Non è colpa degli astri, ma di noi stessi, se restiamo schiavi», scriveva Shakespeare in Giulio Cesare.
 
Di questa corrente antifeudale, anti-tradizionalista, ci restano tre raccolte di massime, il Tao Te Ching, attribuito a Lao-tzu (570-490 circa), il Lieh Tzu (450 circa), citato all’inizio di questo studio, ed il Zhuang-zi, opera di Chuang-tzu (370-300 circa). Questi pensatori vivevano fuori da ogni funzione pubblica, nell’oscurità e in povertà. Sottraendosi al condizionamento sociale e materiale, questi reclusi cercavano di sfuggire alla morsa della malattia, all’invecchiamento e alla morte. Coltivavano l’arte della lunga vita, per «nutrire il principio vitale», seguendo le discipline respiratorie, dietetiche, alchemiche, praticando l’«arte della camera in cui stendersi», dedicandosi ad esercizi fisici che imitavano gli animali nei loro giochi e danze. Tendevano anche ad astrarsi dal mondo per realizzarsi liberamente nei viaggi estatici.
Infine i taoisti si opposero ugualmente alla scuola delle Leggi (legismo, fakia), preminente sotto il Primo impero (221-207). I legisti condannavano le tradizioni feudali, gli antichi metodi di governo, per proclamare la necessità della legge draconiana uguale per tutti, senza distinzioni fra vicini e stranieri, nobili o villani, così come l’applicazione imparziale di pene e ricompense, sotto l’autorità di un sovrano illuminato, padrone assoluto dello Stato. Il signore di Quin arrivò a distruggere i sei reami e l’insieme delle signorie, e sotto l’influenza dei legisti fondò il Primo impero e si proclamò Primo imperatore, Quin Shi Huangdi, nel 221 a.C. L’impero centralizzato funziona con una burocrazia complessa, comporta 36 province gestite ognuna da un amministratore civile e da un governatore militare. Istituzioni totalitarie — responsabilità collettiva e denuncia obbligatoria dei delitti all’interno dei gruppi familiari — sostituivano i riti e la morale di un tempo. I letterati confucianisti che propagavano la loro dottrina venivano messi a morte. I libri classici, le opere delle «Cento scuole» — eccetto i libri di medicina, agricoltura e divinazione — erano dati alle fiamme e coloro che li possedevano erano puniti con i lavori forzati.
Sotto il Primo impero la plebe contadina, anticamente collegata ai feudi feudali distrutti, si vide concedere le terre che coltivava pagando un canone con una parte del raccolto, le tasse sulla paglia ed il fieno e l’imposta pro capite. Le corvée legate alle gigantesche opere (costruzione di palazzo dell’imperatore, di strade e canali attraverso l’Impero, della Grande muraglia e del mausoleo dell’imperatore...), l’arruolamento per le operazioni militari di conquiste lontane, aggravavano all’estremo la condizione contadina.
 
La guerra dei contadini dal primo secolo a.C. al secondo secolo d.C.
Dopo la morte del tiranno, il sollevamento degli antichi feudi, unito alle insurrezioni contadine generalizzate nel 209-207, misero fine al Primo impero.
Un vecchio gendarme dei Quin, Liu Pang, alla testa della guerra dei contadini, uscì vittorioso da questo imbroglio di massacri, si proclamò imperatore e fondò la dinastia dei Primi Han (206 a.C.- 8 d.C.). I membri della famiglia imperiale ricevettero appannaggi ereditari, divenuti reami e marchesati. Il nuovo impero conservò a grandi linee la struttura politica e amministrativa dell’impero caduto. Come sempre, il lavoro contadino costituiva la risorsa d’esistenza dei feudatari, dell’aristocrazia terriera e dei mercanti. Il lavoro dei bifolchi manteneva anche i funzionari colti e le truppe.
Alla fine dei Primi Han, negli anni in cui infierivano siccità e inondazioni, i contadini oppressi dall’intollerabile sfruttamento dei proprietari, affamati, diventarono nomadi e si diedero al saccheggio per sopravvivere. Non erano rari i casi di cannibalismo. Nell’anno 18, il sollevamento dei Sopracciglia Rosse (Chi mei) diede impulso all’insurrezione generalizzata dei contadini. Nelle loro bande armate, si contavano a decine di migliaia. Affrontarono le truppe dei sostenitori degli Han, così come quelle costituire da avventurieri a caccia di potere.
Un mercante e grosso proprietario terriero, Liu Xiu, uscì vittorioso dall’anarchia militare, proclamandosi imperatore dei Secondi Han (25-220). La dinastia crollò sotto la spinta della guerra dei contadini provocata da una nuova grave crisi agraria.
 
Utopia libertaria e movimenti contadini sotto i Secondi Han (25-220)
La guerra dei contadini, all’epoca condotta da due organizzazioni messianiche d’ispirazione taoista, il T’aip’ingtao (Regno celeste della Grande pace), ed il Wuteumitao (Regno celeste dei Cinque Vasi di Riso),  ha contribuito alla disgregazione dell’Impero dei Secondi Han nel II secolo.
Negli anni 170, in seguito alle inondazioni del fiume Giallo, i contadini immersi nell’estrema miseria si radunavano in bande erranti, rubando e saccheggiando. Nelle sei province ai confini del Chan-tong e del Honan si sviluppò il movimento del T’aip’ingtao, il cui maestro, Chang Kiao, si dedicava al culto di Huang Lao, sintesi del sovrano mitico Huang’i e di Lao-tzu divinizzato. Il suo insegnamento si basava sui testi sacri del Tao Te Ching, Canone della Via e della Virtù, e del T’aip’ingking, Canone della Grande Pace, testo rivelato al maestro taoista Yu Ki all’inizio del II secolo.
L’ultima opera — nello stesso spirito del Tao Te Ching — è basata sulle teorie cosmologiche del YinYang e dei Cinque Elementi, accompagnate da severe critiche contro le disuguaglianze sociali, il parassitismo dei possidenti, la discriminazione verso le donne.
 
«È naturale che l’insieme delle ricchezze e dei prodotti della natura appartengano al Cielo, alla terra e al mondo, e nutrano l’uomo... L’uomo ha il dovere di vestirsi, di nutrirsi da sé attraverso la propria forza... L’uomo ricco, che scarta i poveri che muoiono di fame e di freddo, agisce contro il principio del Tao e da grande nemico dell’uomo. Il suo crimine è senza assoluzione» (T’aop’ingking).
 
Questi pensieri nuovi nutrono il sogno millenario dei contadini dell’instaurazione sotto il cielo di una umanità senza ricchi né poveri, senza nobili né villani. Organizzata militarmente, dopo un decennio di espansione la comunità conta circa 300.000 adepti.
I gruppi si riuniscono spesso per giorni per cerimonie, feste o digiuni purificatori. Nel corso di queste assemblee, gli adepti si dedicano a trance collettive ritmate dalla musica, a scene di tripudio in cui uomini e donne «mescolano il loro respiro», realizzando così l’unione dello Yin e dello Yang, il rafforzamento degli spiriti vitali. Essendo considerate le malattie delle conseguenze del peccato, i malati devono confessarsi, essere messi in isolamento nelle stanze di meditazione. Guariranno ingerendo carpini inceneriti.
Agli affiliati vengono distribuiti amuleti guerrieri negli equinozi di primavera e d’autunno. Ovunque, sulle porte degli edifici amministrativi nelle grandi città con muraglie, nelle province e nei conventi, appaiono tracciati con l’inchiostro, come appello alla sovversione, i caratteri kiatseu, inizio di un ciclo di un’era nuova, l’anno 184, che annuncia la morte del vecchio Cielo Azzurro e l’avvento del Cielo Giallo, del trionfo della grande felicità.
Essendo i culti taoisti considerati dal potere come «religione demoniaca» (Koueutao), opposta ai culti ortodossi ufficiali, gli affiliati sono passibili di essere condannati a morte. Lo squartamento di un capo religioso e l’esecuzione di più di mille adepti del T’api’ingtao a Loyang, la capitale, precipiteranno l’insurrezione nel corso della seconda luna dell’anno 184. Come segno di riconoscimento, gli insorti indossano un turbante giallo, colore del Cielo giallo, da qui la loro definizione Turbanti gialli o Ribelli-formiche in ragione del loro grande numero.
Si impadroniscono di diverse città, di centri di provincia del Chan-tong e del Honan malgrado la resistenza delle truppe imperiali di Luoyang. I funzionari sono costretti a fuggire o a perire. Bruciano gli edifici amministrativi. Diventano padroni delle città di Chan-tong e del Honan, occupando nel 185 la regione montuosa del Taihangshan — fra il Chansi e il Chan-tong — nel 186 il Chensi, l’Hopei ed il Leaotong, ed il Chansi nel 188. Il patriarca Zhang Jao e i suoi due fratelli Zhang Bao e Zhang Liang moriranno all’inizio dei combattimenti, mentre la repressione imperiale imperversa e diverse migliaia di insorti vengono messi a morte. Ciò non impedirà ai Turbanti gialli di sollevare la testa a centinaia di migliaia in diverse province. Malgrado la loro sconfitta, la loro influenza permane duratura.
 
Prima città teocratica
Nella stessa epoca si sviluppò nella vallata di Han la comunità religiosa dei Cinque sacchi di riso (Wuteumitao) fondata da Zhang Daoling, che studia il Tao nei monti K’eouming. Coloro che lo seguivano per ricevere il suo insegnamento dovevano versare cinque sacchi di riso. venivano chiamati Ribelli-riso (mitsei). Zhang Lou, nipote di Zhang Daoling, continuò l’opera del nonno.
Il potere, scosso dai Turbanti gialli, cercò di far aderire Zhang Lou. Ma questi uccise l’ufficiale delle forze imperiali e incorporò le sue truppe. Divenuto padrone della regione, organizzò una città teocratica nel Seutch’ouan e nel sud del Tch’enseu, senza funzionari, senza prigioni e senza proprietà individuale.
A proposito di questa comunità, le Cronache dei Tre Regni riportano:
«I novizi sono chiamati Soldati-demoni (Koueitsou). Quelli che sono iniziati al tao e che hanno la fede sono chiamati Addetti alle libagioni (tsitsiu). Ognuno comanda un gruppo organizzato. Tutti insegnano che bisogna essere in buona fede, fiduciosi, non ingannatori. Gli Addetti gestiscono le “locande dell’equità” nelle quali dispongono il riso e appendono la carne detta d’equità. I viaggiatori possono ristorarsi a seconda della loro fame. Se abusano, gli Spiriti del Tao li colpiscono presto con malattie. Non ci sono prigioni: quelli che hanno commesso una mancanza leggera si dedicano al rifacimento di cento passi di strada e con ciò la colpa è assolta. Quelli che hanno commesso gravi mancanze, se recidivi per tre volte, sono giustiziati. Non ci sono funzionari: tutta “l’amministrazione” è affidata agli Addetti alle libagioni. Il popolo (cinese) e gli aborigeni erano molto soddisfatti del regime».
Un’altra opera, il Tien Lo, precisa che gli Addetti alle libagioni non si occupavano solo delle locande d’equità e del benessere materiale del popolo, ma aiutavano gli adepti anche alla conoscenza del libro canonico di cinquemila parole, il Lao-tzu (Tao Te Ching).
La città teocratica fondata verso l’anno 190 dalla comunità religiosa dei Cinque sacchi di riso (Wuteumitao) durerà trent’anni. Essa scomparirà nel vortice dell’anarchia guerriera che segnerà la fine della dinastia dei Secondi Han nel 220 e la formazione dei Tre Regni (220-280).
Lo spirito di rivolta della comunità dei Cinque Sacchi di riso permarrà vivace. Nel 399 Suen Ngen, affiliato alla comunità — come suo padre, originario del Chan-tong — recluta i suoi fedeli fra marinai, pescatori e pirati delle coste del Tchekiang, e forma delle «armate di demoni». La loro insurrezione, scatenata nel 400, guadagna le coste e minaccia Nanchino. Sconfitti nel 402, molti insorti compiono un suicidio collettivo.
 
Nel III secolo Ko Hung (253-333), il maestro taoista alchimista, riproduce nella sua opera Baopuzi il trattato di un certo Bao Jingyan, che riteneva che nei tempi antichi senza re il mondo fosse migliore rispetto al tempo attuale. Questo primo anarchico libertario, lettore appassionato del LaoZi e dello Zhuang-zi, evoca l’età d’oro delle comunità primitive, poi affronta d’un tratto il terreno politico e formula in maniera concreta la lotta contro l’assolutismo dispotico.
«I letterati confucianisti affermano: “Il cielo ha partorito il popolo e poi ha mandato i governanti”. Ma come può l’Alto cielo dire tante parole? Non è che le parti interessate usano ciò come pretesto? I forti opprimono i deboli e i deboli si sottomettono; gli astuti ingannano gli sciocchi e gli sciocchi si pongono al loro servizio. Grazie alla sottomissione è sorta la relazione tra il sovrano ed il suddito ed è a causa della servitù che le persone, esseri impotenti, possono essere tenute sotto controllo… ma il cielo azzurro non ha nulla a che vedere con questo… 
Costringere la gente a lavorare e a nutrire i funzionari significa sfinirla mentre i loro superiori ingrassano…
Nei tempi antichi, non c’erano né signori né schiavi. Venivano scavate buche per l’acqua potabile, i campi venivano coltivati per il cibo; i lavori iniziavano all’alba e al tramonto cessavano; tutti erano liberi e spensierati, non in concorrenza fra loro, e non si odiavano l’un l’altro, nessuno era glorificato o umiliato. Nelle montagne non c’erano sentieri o strade ed i corsi d’acqua erano senza barche o ponti, e non essendoci mezzi di comunicazione via terra o via acqua, la gente non si appropriava della proprietà degli altri; nessun esercito si era formato, e così la gente non attaccava gli altri. Dal momento che nessuno pensava di arrivare al potere o alla ricerca del profitto, non vi erano eventi terribili e ribellioni, così come non vi era l’uso di lance e scudi o costruzioni di fossati e bastioni. Tutte le creature vivevano insieme in un’unica uguaglianza trascendente, tutti uniti nella Via (Tao). Le malattie non si propagavano e potevano vivere una lunga vita e morire di morte naturale. I loro cuori puri e innocenti erano privi di astuzia.
Godendo di abbondanti riserve di cibo, essi passeggiavano con la pancia piena. La loro parola era senza orpelli, il loro comportamento non era ostentato. Come poteva, allora, esserci un accumulo di beni tale da privare la gente della loro ricchezza, o punizioni severe per intercettarla e irretirla? Quando questa età entrò nella sua decadenza, la conoscenza e l’astuzia entrarono in uso. La Via e la sua virtù (Tao te) caddero in rovina: si stabilì una gerarchia. Le norme consuetudinarie per la promozione, la degradazione, i profitti e le perdite proliferavano, nacquero gli indumenti cerimoniali come quelli della nobiltà, quelli religiosi e il blu e il giallo imperiale [abiti per adorare il Cielo e la Terra]. Le costruzioni in terra e legno vennero sollevate verso il cielo, con le travi e travicelli dipinti di rosso e verde. Le altezze vennero depredate per la ricerca di gemme, ci si tuffava nelle profondità delle acque in cerca di perle; ma per quanto vasta fosse la collezione di pietre preziose, per le persone non era sufficiente per soddisfare i capricci, e una montagna d’oro non sarebbe stata sufficiente per soddisfare le loro spese: erano così immersi nella depravazione e nel vizio che avevano trasgredito i principi fondamentali dei grandi inizi. La quotidianità era diventata più lontana dai modi di fare dei loro antenati, ed essi avevano voltato le spalle alla semplicità originaria dell’uomo. Così fecero armi appuntite, e dopo non c’era fine alle usurpazioni e agli atti di aggressione, avevano solo paura che le balestre non fossero forti abbastanza, gli scudi abbastanza robusti, le lance abbastanza appuntite e le difese abbastanza solide. Eppure di tutto questo si sarebbe potuto fare a meno, se non ci fossero state l’oppressione e la violenza fin dall’inizio…
Anche se i tiranni come Chieh e Chou sono stati in grado di bruciare gli uomini, massacrando i loro alleati, rendendo carne da macello i signori feudali, affettando i baroni, strappando i cuori agli uomini e rompendogli le ossa, e andando agli estremi più lontani della criminalità tirannica nell’uso della tortura come l’arrostimento, per quanto crudele possa essere, come potrebbero aver fatto queste cose se fossero rimasti tra le fila della gente comune? Se essi diedero modo della loro crudeltà e della lussuria e massacrarono tutto l’impero, era perché, come governanti, potevano fare quello che volevano. Non appena il rapporto tra signore e suddito è stabilito, i cuori diventano ogni giorno pieni di disegni malvagi, fino a quando i criminali, ammanettati, durante i lavori forzati nel fango e nella polvere, si danno a pensieri ribelli, facendo tremare il Sovrano di paura ansiosa nel suo tempio ancestrale, e la gente fremerà la rivolta in mezzo alla povertà e alla sofferenza; e [il sovrano] cercherà di fermarli per mezzo di regole e regolamenti; o controllandoli per mezzo di sanzioni e punizioni. Ma tutto questo è impossibile, in quanto è come cercare di arginare un fiume in piena con una manciata di terra, o far tornare indietro le acque dei torrenti con un dito».
 
I pensatori taoisti mettono in discussione la disuguaglianza fra gli umani sotto il cielo della Cina, mentre lo spirito di rivolta scuote i contadini nei periodi di crisi agraria. Nelle campagne, lo scarto fra ricchi e poveri aggrava le tensioni sociali e le insurrezioni contadine sono endemiche attraverso le epoche. In certi periodi (sotto i Tang, VII-VIII sec., i Song XII sec.) il potere imperiale ha dovuto procedere alla redistribuzione delle terre per stabilire una certa pace sociale.
È con la parola d’ordine «livellare ricchi e poveri» (Kiun p’in fou) che si è scatenata la grande insurrezione contadina del 993 nel Seutch’ouan, guidata dai mistici Wang La Po e Li Chouen. 
Nel 1120, nel Tchekiang, gli espropri per la costruzione del palazzo imperiale di K’aifong hanno provocato una breve insurrezione, guidata da una società segreta buddista sulla linea dello spirito sovversivo taoista. Gli insorti, male armati, strettamente vegetariani e che rendevano culto ai demoni, massacrarono ricchi, funzionari e notabili. Quando il loro capo Fong La venne catturato dopo un anno di combattimenti, essi sfuggirono alla repressione attraverso suicidi collettivi.
Dieci anni più tardi, nel 1130 – nella tradizione taoista dei Cinque sacchi di riso – si scatenò il sollevamento contadino a sud di Hounan, nella regione del lago Tongt’ing. Le vessazioni dei funzionari, i saccheggi di un esercito semi ufficiale e semi privato, avevano spinto al limite i lavoratori, la maggior parte dei quali facevano parte della setta taoista animata da Tchong Siang. Il patriarca, mago e capo di guerra, dichiarò «scellerate le leggi dei Song (dinastia regnante)» e proclamò il famoso «livellare nobili e villani; rendere uguali ricchi e poveri». Le insurrezioni fecero tabula rasa dei segni dell’antico ordine, «incendiarono gli edifici amministrativi, le cittadelle ed i mercati, le pagode ed i templi, le case dei potenti briganti, massacrarono i funzionari, senza risparmiare i letterati jou (confucianisti), monaci, guaritori, indovini...», vale a dire tutti coloro che sembravano loro vivere senza lavorare, senza faticare per avere il loro riso. Tchong Siang cadde il trentacinquesimo giorno dell’insurrezione. I suoi discepoli continuarono la lotta con più di 400.000 fedeli, che fino al 1134 sconvolsero diciannove distretti prima di essere tutti massacrati.
Verso il 1300, il duro sfruttamento del potere mongolo provoca l’ostilità crescente delle masse cinesi, pronte a sollevarsi e a resistere all’occupante.
L’opposizione si cristallizza nelle società segrete proibite e perseguitate. Gli adepti della setta buddista del Loto bianco (P’ailien), la maggioranza dei contadini poveri, rifiutano di pagare le imposte e di faticare. Accade lo stesso per gli affiliati della setta della Nuvola bianca (P’aiyun), presente nel sud del corso inferiore del fiume Yangtzu. Altri movimenti millenaristi, nell’attesa dell’arrivo del Budda-messia, si sollevano nel Honan nel 1335, nel Hounan nel 1337 e nel Kuang-tong e nel Seutch’ouan negli anni seguenti.
Nel 1351, il sollevamento dei Turbanti rossi (Hongkin) – così chiamato per via della loro acconciatura – inaugura le grandi insurrezioni nel fiume Giallo inferiore, a seguito delle inondazioni, movimenti che si estenderanno negli anni seguenti ad Anhouei.
Le guerre dei contadini hanno provocato la caduta delle dinastie o hanno portato alla creazione di una nuova dinastia. Nel 1352, un giovane monaco di 24 anni, Tchou Yuantchang, alla testa di una truppa di insorti, si impadronisce di una cittadina del nord-est di Anhouei. Alleato dei Turbanti rossi, egli riesce ad eliminare i suoi rivali ed infine a prendere Pechino. Mette fine alla dinastia mongola dei Yuan e fonda la dinastia dei Ming nel 1368.
 
I disordini sociali dei secoli XV e XVI hanno le medesime cause di quelli delle epoche precedenti. A partire dal X sec. si sviluppa una classe di fattori ed operai agricoli, e il numero di contadini senza terra, erranti e senza risorse, aumenta. Nelle miniere, nella metallurgia, nella ceramica, nelle fabbriche di carta, nella stampa, nelle saline, fatica una manodopera in condizioni prossime alla schiavitù. Durante la grande ribellione guidata da Tong Maotsi nel 1448-1449 ai confini del Tchekiang e del Foukien, gli insorti contadini si alleano agli operai delle miniere d’argento in rivolta, guidati da Ye Tsongliou. La conquista di borghi e città permettre la presa dei depositi d’armi ed il sollevamento diventa un movimento rivoluzionario. La repressione causa un milione di persone uccise o espulse. Nel 1476 si ripete lo stesso fenomeno, e nel 1565 scoppiano insurrezioni di minatori clandestini nelle regioni montuose situate fra Tchekiang, Anhouei e Kiangsi.
Nel XVII sec., alla fine della dinastia dei Ming, un vecchio soldato, Tchang Siantchong, alla testa della plebe, fa massacrare i ricchi proprietari, i notabili ed i funzionari imperiali, libera tutti gli schiavi per debiti e si concede il titolo di re a Tch’engtou, capitale del Seutch’ouan. Cadrà in combattimento nel 1646, dopo essersi impadronito della vallata del Fiume Azzurro e del Seutch’ouan per due anni.
Sotto l’ultimo regno dei Manciù, scoppiano le grandi insurrezioni dei miserabili raggruppati nella società segreta del Loto bianco negli anni 1780 e non si estingueranno che nel 1803.
 
A margine del XIX secolo, la Cina rimane medioevale nella sua struttura economica, politica e sociale. L’invasione di potenze imperialiste occidentali in Cina riduce l’Impero allo stato di paese semi-coloniale. Attraverso una serie di trattati a colpi di cannone (le guerre dell’oppio del 1842 e del 1857), il potere della dinastia dei Manciù al declino apre le porte dapprima alle potenze franco-inglesi, poi alle altre potenze, esentandole dai diritti doganali, accordando loro concessioni in diverse città, enclave in terra cinese che sfuggono alle autorità del governo di Pechino. Il commercio dell’oppio è legalizzato. I vincitori impongono pesanti indennità di guerra alla Cina. Le flotte straniere possono liberamente circolare nella rete fluviale del paese. L’assoggettamento completo del governo di Pechino si compie dopo il 1860, data del saccheggio e dell’incendio del celebre Palazzo d’estate da parte della soldatesca del corpo spedizionieri franco-britannico al momento del suo ingresso nella capitale.
La penetrazione delle potenze imperialiste fa nascere una nuova classe, genesi della borghesia cinese, quella dei compradores, intermediari del capitale straniero nello sfruttamento delle masse. Le esplosioni di disperazione dei contadini scoppiano in insurrezioni, sollevamenti e guerre di contadini, la più importante delle quali è stata la guerra dei T’aip’ing.
La tendenza egualitaria e comunitaria che aveva — in un contesto storico differente — ispirato il grande sollevamento dei Turbanti gialli e dei Cinque sacchi di riso nel II secolo riprenderà vita nella rivoluzione dei T’aip’ing.
 
Il Regno del Cielo dei T’aip’ing (T’aip’ing T’ien K’ouo 1851-1864)
Nella prima metà del XIX sec. la guerra dei contadini, sotto la guida delle sette buddiste del Loto bianco e dell’Ordine celeste, scoppia nella Cina del nord. La pirateria imperversa sulle coste del Kouangtong, del Foukien e del Tchekiang. La Cina del sud è teatro di sollevamenti sporadici di contadini travagliati da organizzazioni clandestine affiliate alla Società della Triade (Sanhohouei), altro appellativo della Società del Cielo e della Terra (T’eintihouei).
Nella Cina centrale, nella stessa epoca, nelle province di Kouangsi e Kouangtong, del Medio e del Basso Yangtse, nasce l’Associazione degli adoratori di Dio (Paichangt’ihouei), all’interno dei settori contadini oppressi sotto il giogo dei proprietari terrieri, la rapacità degli usurai, le esazioni dei mandarini. Nella loro profonda disperazione, i contadini guardano verso il Cielo. Ispirati dal cristianesimo, gli «adoratori di Dio» hanno ripreso il nome di T’aip’ing (Grande pace), nella tradizione della comunità taoista dei Turbanti gialli del II secolo. Sebbene i due movimenti siano nati in contesti storici differenti, essi perseguono il medesimo scopo, realizzare l’utopia della Grande pace, una società «senza ricchi né poveri», il ritorno all’era della felicità, alla mitica età dell’oro scomparsa.
Alla testa dei T’aip’ing si trova Hong Sioutch’ouan (1813-1864), un illuminato uscito dalla minoranza cinese Hakka convertito al cristianesimo sotto l’influenza dei missionari protestanti. Egli si crede fratello minore di Gesù Cristo e messia incaricato di salvare il mondo. Con l’aiuto della depressione economica, e della carestia del 1849, l’Associazione degli adoratori di Dio si sviluppa rapidamente. In due o tre anni, conterà circa 30.000 affiliati. Fra gli adepti, la maggior parte sono contadini poveri, così come 3.000 minatori del carbone, un gran numero fra i 10.000 trasportatori disoccupati sulla strada che collega Canton alla valle del Siang a Hounan, migliaia di disertori dell’esercito imperiale, fuorilegge, aborigeni delle province Kouangtiong e Kouangsi. Intellettuali cinesi, membri della piccola nobiltà spossessati delle loro terre, si uniscono alle loro fila. Gli adoratori di Dio si fondono con le società segrete anti-manciù.
Il sollevamento si scatena nel 1850 nel Kouangsi orientale, nel villaggio di Kint’ients’uen, una località nelle vicinanze del Kik’ingtchan, Monte dei Cardi dove si è stabilito il quartiere generale dell’Associazione degli adoratori di Dio. Il movimento prevalentemente contadino tende ad eliminare i proprietari terrieri, i mandarini che rappresentano il potere imperiale dei Manciù, oggetto di ostilità generale dei cinesi.
Nel 1851 Hong Sioutch’ouan si proclama Re del Cielo (t’ienwang), fondatore del Regno del Cielo della Grande Pace. Egli conferisce ai suoi ministri e capi militari i titoli di viceré, re dell’Est, dell’Ovest, del Sud e del Nord. Fra di loro, Yang Sieouk’ing, organizzatore e stratega di genio, e Che Tak’ai, generale di talento.
L’anno seguente i T’aip’ing occupano il nord-est del Kouangsi, il sud-ovest del Hounan, poi avanzano verso Tchangcha, raggiungono le regioni situate a sud-est di Nanchino. Si impadroniscono di Nanchino nel 1853 dopo sedici mesi di combattimenti accaniti contro le forze imperiali manciù. Nanchino, ribattezzata Capitale del Cielo (T’ienking) rimarrà il centro politico del Regno Celeste fino alla sua caduta nel 1864. Allo scopo di estendere il regno, le armate T’aip’ing si dedicano alla conquista del Basso Yangtse, si avventurano verso il nord fino alla regione di T’ientsin, minacciando Pechino. Costretti alla ritirata dal freddo e dalla carestia, vengono sconfitte nella regione di Chantong nel 1855.
Il primo atto della ribellione dei T’aip’ing è l’abolizione del porto della treccia da loro considerato un segno di servitù imposto dai Manciù regnanti. I T’aip’ing portano i capelli lunghi, così i loro nemici li definiscono «banditi dai capelli lunghi» (tch’angmaofei). Costituito il loro Stato teocratico, i T’aip’ing procedono alla confisca e alla suddivisione delle terre fra coloro che sono in età di coltivarle, a titolo precario, ispirandosi al sistema antico dei campi quadrati ripartiti in 9 lotti eguali, disposti come i tratti del carattere # che indica il pozzo (tsingt’ien). È la «ripartizione uguale delle terre», una condivisione collettiva. Le donne ricevono una parte di terra uguale agli uomini. La legge agraria dei T’aip’ing riflette il collettivismo agrario primitivo dei tempi antichi: «Se c’è della terra, la si lavora insieme, gli abitanti dell’Impero Celeste non possiedono alcun bene proprio, tutto è a disposizione del Sovrano supremo che ripartisce gli oggetti e i prodotti in modo uguale fra tutti gli abitanti dell’Impero Celeste, in maniera tale che ognuno mangi a sazietà ed abbia caldo...».
Abolita la proprietà fondiaria privata, soppresso il commercio privato, la collettività assicura la soddisfazione dei bisogni indispensabili di ognuno. I T’aip’ing tendono verso l’uguaglianza assoluta dei sessi, condannano l’adulterio e la prostituzione e proibiscono la fasciatura dei piedi alle bambine, pratica diffusa a partire dai Song. Le donne godono di uno stato civile uguale a quello degli uomini. Esse formano un esercito dai quadri esclusivamente femminili.
Sotto l’impulso di Hong Jenk’an (1822-1864), suo cugino, il Re del Cielo si dedica ad un programma di modernizzazione — costruzione di ferrovie, sviluppo di scienze e tecniche...
I T’aip’ing tenteranno di mettersi d’accordo con gli stranieri per il libero scambio di merci e la soppressione del commercio dell’oppio. Il Re del Cielo ricalca la sua monarchia su quella antica, circondandosi di una Corte a Nanchino. Esami imperiali basati sulla bibbia che sostituiscono i classici confuciani servono al reclutamento dei funzionari. Con rapidità si sviluppa una aristocrazia che si assicura dei privilegi. Il programma di modernizzazione rimane lettera morta. Il potere corrompe.
Nel 1860 la Corte dei Manciù si attiva nella riconquista del territorio, basandosi sui due uomini di Stato cinesi, Tseng Kuo-fen, rappresentante gli interessi dei proprietari terrieri cinesi e Li Hiong-chang, leader dei borghesi compradores cinesi. Questi due massacratori organizzano e dirigono la guerra contro i T’aip’ing con l’aiuto considerevole delle potenze occidentali in mercenari e materiale. Gli eserciti imperiali incontrano l’accanita resistenza dei T’aip’ing. Nel 1864, Nanchino cade. Hong Sioutch’ouan, il Re del Cielo, si suicida. La repressione conterà un milione di morti. Gli elementi delle armate T’aip’ing continuano a battersi ancora per due anni a Fou-Kien, alcuni passano a Formosa, altri a Tonchino (Vietnam del nord) dove sotto il nome di Bandiere nere si batteranno valorosamente contro le truppe della conquista coloniale francese.
Inglobando le province più popolose della Cina del centro e del sud nel loro movimento, i Taiping hanno tenuto in scacco gli eserciti imperiali per tredici anni, dal 1851 al 1864.
Il loro progetto di instaurazione di una comunità mistica ed egualitaria era in sintonia con l’utopia che aveva alimentato le insurrezioni e le guerre dei contadini attraverso il medioevo cinese fino ai tempi moderni. Il movimento dei T’aip’ing appariva come il prologo della Rivoluzione cinese del 1925-1927.
Ma dopo la sconfitta tragica di questa, è sotto la guida ed il pugno del partito maoista che l’ultima guerra di contadini ha portato al potere l’imperatore Mao Tse-Tung.
In Cina, come in occidente, l’utopia che era così fortemente radicata fra gli spossessati, è partecipe di un sapere popolare dell’emancipazione che è importante rimettere in luce, prima che anneghi negli adattamenti contorti e brutali della modernità economica alle coercizioni del passato.
 
 
[20 luglio 2004]