Miraggi

Il cavallo muore e gli uccelli volano via

Lajos Kassák
Lajos Kassak (1887-1967), nato in terra slovena sotto il dominio del regno austro-ungarico, inizia a lavorare come fabbro all'età di undici anni. Nel 1909 un viaggio a piedi fino a Parigi gli fa scoprire l'arte e la poesia. La sua mancanza di istruzione scolastica non gli impedisce di sviluppare un proprio pensiero caratterizzato da una forte personalità, finendo col diventare la figura di punta dell'avanguardia ungherese. Nel 1915, prendendo spunto dalle riviste espressioniste tedesche che mescolavano assieme critica sociale ed espressione artistica, fonda la rivista A Tett (L'Azione) che da un lato farà scoprire al pubblico magiaro Apollinaire e Marinetti, e dall'altro farà infuriare le autorità per gli articoli libertari e antimilitaristi. Messa al bando A Tett nell'ottobre del 1916, un mese dopo Kassak crea una nuova rivista, Ma (Oggi), che questa volta verrà bandita dalla Repubblica dei Consigli di Budapest perché contraria all'arte di propaganda. Costretto all'esilio nel 1920 dopo un breve soggiorno in carcere, Kassak raggiunge Vienna dove potrà proseguire la propria opera artistica — sempre legata ad una visione di classe, ma mai messa al servizio di qualsivoglia partito — unendosi ai costruttivisti.
«Distruggi, così puoi creare. Crea, così puoi vincere» era il suo motto. Qui presentiamo il suo più celebre poema, pubblicato all’inizio degli anni 20.
 
 
***
 
Allora il tempo nitrì ossia modo di pappagallo aprì 
le ali dico porta rossa aperta 
con la mia amante a cui diamanti neri erano murati 
nel volto e trascinava 3 bambini per disperazione 
sedevamo sotto i camini delle fabbriche 
sapevamo domani le linee curve 
su issa su issa 
diceva domani te ne vai Kasacchino ed io mi disseccherò 
sui soppalchi e nelle croste del signor Nadler (1) 
certo 
certo 
il padreterno si dimentica delle belle donne 
già veniva lo scultore in legno mezzo-cristo 
era giovane e puzzava maledettamente di giustizia 
domani avremo passato il confine
già sì già sì 
certo certo 
la città ci galoppava vicino 
girava qua e là e talvolta s’impennava 
vedevo il cappello storto di mio padre mentre nuotava 
sopra il vetro smerigliato dalla farmacia alla statua della trinità e ritorno 
una volta il vecchio credeva che a 21 anni sarei stato cappellano 
nella parrocchia della mia città 
ma esattamente 10 anni prima mangiavo il fumo nella officina del fabbro signor Sporni 
ormai il vecchio tornava di rado a casa 
più tardi si bevve il mio bel futuro sognato e lo pisciò con la birra 
s’innamorò di una vecchia sguattera 
perse i capelli e faceva amicizia solo con gli zingari 
25 aprile 1907 
mi preparavo per andare a Parigi a piedi con lo scultore 
la cittadina sedeva nella pozza e suonava la fisarmonica 
io ti tolgo la mia protezione oh San Cristoforo non sarai il figlio di tuo padre 
un ubriaco piangeva lacrime di coccodrillo 
si appoggiava al muro dell’albergo del Leone d’Oro 
sentivo che tutto era finito 
mi attraversò un binario rosso e nei campanili suonavano le campane 
colombe facevano capriole sopra i tetti 
anzi per meglio dire galoppavano sul carro del sole 
la nuova campana dei francescani quasi cantava 
chi si prepara a dormire lucidi le sbarre di piombo 
le ore passavano spettrali su bianchi cani da pastore 
sentivo che tutto era finito 
osti e merciai chiudevano le botteghe 
torna torna dai tuoi figli amico mio 
le ruote non si voltavano più indietro 
l’uomo perde i denti da latte e guarda nel nulla dove 
la vita si morde la coda
nel nulla 
oh giramarri 
Oh lebbli 
Oh BUm BUmm (2) 
e la nave andava con noi lemme lemme come donna gravida 
e dietro di noi qualcuno chiuse le quinte 
quella fu la prima giornata tagliata in croce nella mia vita 
ardevano in me le fiaccole e cose senza fondo 
pappagallo (2)
oh fumigo pappagallo 
sulle rive stridevano uccelli di rame in gruppi di venti 
sugli alberi altalenavano impiccati e stridevano anch’essi come galli 
solo talvolta dal fondo dell’acqua guardavano verso di noi cadaveri fattisi seri 
ma avevamo 21 anni 
allo scultore spuntavano brutti peli rosa 
dal mento 
ma per il resto si viveva bene 
solo in mezzo al ventre 
stringevamo invano le viti i buoi sempre di nuovo
s’incamminavano per il campo arato 
e talvolta stentavamo a strapparci gli occhi dalle caviglie delle ragazze 
in quei casi gridavano in me i piatti turchi 
a Vienna dormimmo sulla strada per 3 giorni 
poi ci svitammo definitivamente fuori di noi stessi 
già cosa vuol dire civiltà 
ci si unge di qualche smalto e si comincia ad aborrire i pidocchi 
cosa vuol dire legami familiari 
ci si allunga con un nastro di seta il cordone ombelicale 
cosa vuol dire timordidio 
si comincia con l’aver paura per non aver paura 
noi c’inchiodammo le strade sulle piante dei piedi e il sole veniva 
con noi nello spazio su aurei piedi di miglia 
credetemi l’elefante non è più grande di una pulce 
e il rosso non è più rosso del bianco 
e se ciò malgrado noi andavamo avanti 
cameralogos (2)  se facciamo un bilancio tanto siamo 
noi ad avere la peggio 
e allora ci si aprivano gli occhi 
e fummo profondi come gli oscuri pozzi dei paesi minerari 
e andavamo andavamo 
13 angeli ci precedevano 
a piedi anch’essi 
e ci cantavano della nostra giovinezza 
eravamo già dei vagabondi tipici con pulci educate 
sotto le ascelle 
amavamo la frutta caduta nel fosso 
il latte cagliato 
e la cassa d’assistenza delle comunità ebraiche (3) 
e di qua e di là venivano verso di noi i fratelli 
con tutte le varie lingue del mondo e con facce straordinarie color mattone 
ognuno aveva un suo odore speciale
e qualcuno era piallato dai chilometri e qualcun altro 
aveva ancora sulla bocca il latte della tetta della mamma 
le strade giacevano sotto di noi con imbottite bianche 
i fili del telegrafo si stringevano e scrivevano 
cabale sul cielo 
la sera vedevamo come s’aprivano i fiori tra le gambe delle donne 
ma noi eravamo vegetariani e antifemministi 
e ci spingemmo oltre Passau 
Aquisgrana 
Anversa 
lo scultore si fece magro come uno stecco e la sua barba 
si fece tutta rossa 
a me crescevano in testa versi e boschi intricati 
sui fiumi di luce i ratti passarono due volte davanti a noi 
su grandi chiatte ornate di bottoni da calzoni e uova d’uccelli 
negli uffici postali mi aspettavano le lettere della mia mante 
ma sapevo che i pidocchi si muovono soprattutto la notte 
quindi lavoravo sui miei versi che mi uscivano 
dalla testa come pecore dal manto d’oro 
non c’è dubbio che quelle sono le bestie più sprovvedute 
ma se qualcuno si mette la lavagna dietro l’orecchio 
le saracinesche cadono spaventate 
ecco la nostra vita 
ad ogni stazione i doganieri ci battono un timbro sul cuore 
ma noi nuotiamo sempre avanti verso l’alba 
certo sarebbe meglio se tutti facessero commercio 
di carrube e caramelle per i bambini 
dividetevi il mondo in cui vivete 
per noi è facile facciamo ogni giorno 50 chilometri per 
uscirne 
nelle gallerie sui crinali dei monti e in taciti boschi tedeschi 
sentiamo l’odore del letame fresco sui campi 
e talvolta i monti si voltano e gli alberi suonano la chitarra nel vento 
dopo tutto gli alberi sono fanciulle gravide 
si parlano sotto voce e dicono così: 
se lui se ne va io m’ammazzo 
ieri tutto il giorno ho orlato con filo d’oro le fasce 
lo chiamerò angeletto e gli appenderò sulle orecchie
ciliegie di diamante 
oppure dicono semplicemente: 
tutti gli uomini sono cani zoppi 
i monti sono ormai tutti piegati sopra di noi 
mentre il serpente gigante inghiottisce il sole senza scrupoli 
alla fin fine io sarò poeta 
basterà tirare fino in fondo le raganelle tanto più che tutto il male 
viene dalla sbadataggine della signorina Anna 
ieri ho mandato due poesie all’«Ungheria Indipendente» 
e finimmo un’altra volta a Stuttgart
sedemmo alla tavola dei mendicanti mangiammo pizze con la marmellata 
e il cuore di un contadino stiriano splendeva dalle travi 
nel cortile della casa accanto l’ESERCITO DELLA SALVEZZA faceva messa 
flauti e clarinetti stridevano sotto le stelle 
vedevamo le gialle civette di vetro mentre si piegavano 
sopra le giovani madri 
oh agnello di dio che togli i peccati del mondo 
nello scultore in legno tornava ad agitarsi il mezzo-cristo 
e voleva parlare a tutti i costi 
chiudi il becco urlava il contadino stiriano 
ci mise sotto il naso il cuore 
vedete è trafitto con 7 pugnali rugginosi 
sono le 7 menzogne della mia amante in me fratellini 
guardate quell’orlo verde sul lato destro 
fratellini è l’ultima morsicatura del mio padrone 
ho 26 anni e la mia vita era pura come rugiada mattutina 
d’inverno pulivo la neve davanti alla casa
d’estate mietevo il grano pieno 
eh eh il destino dell’uomo è come 
tutti tenevano gli occhi aperti e dietro i muri noi vedevamo come
il mondo volta gabbana 
budapest-parigi-berlino-camciatka-pietroburgo 
lo scultore era ormai ubriaco e dai suoi occhi 
scorreva la tristezza come da canali 
le grida si volgevano sempre più verso i poli per spegnere 
le loro micce 
giurate che crederete ormai solo nella virtù magica dei 
legacci delle mutande 
dissi in modo inaspettato 
e vedevo come la mia voce giungeva dal cortile vicino 
io sono un poeta 
debbo dunque sapere 
che i lumi ardono bene perché due volte turatamo (2) 
e sono pieni di petrolio 
ero proprio disperato avrei voluto dare qualche cosa 
a quella povera gente 
ma le stelle avevano ormai lasciato i loro posti di guardia
i 13 angeli dormono evidentemente a bocca aperta sui 
gradini del soffitto
dio mio 
le cimici scendono dai muri in rosse schiere 
si mettano tutti del sale sulla punta del naso 
ecco come è breve la vita
ma noi diventeremo gatti maschi sui muri ciechi di Parigi 
ninna nanna bimba bella 
ci si addormenta 
così si fanno orizzontali le verticali 
e viceversa 
i bimbi d’inchiostro uscirono dal cielo 
passiamo il giardino insieme 
sulla riva di là Maria fa dormire suo figlio 
chiudano tutti quanti i chiavistelli sopra il cervello 
per terra i miei ricordi fosforescevano in pozze gialle pozze gialle 
negli angoli si aprirono i sacchi da montagna e si misero 
ad abbaiare come pazzi 
come Maria suo figlio 
io cullavo tutto il giardino nel mio grembo 
e più sotto 
ecco gli scaccini della comunità ebraica coi loro 1 ½ marchi (3) 
sospiri si vetrificano 
fiori fioriscono 
oh dunque ci sei anche tu 
tu ed io 
su di te 
io 
lega dunque su di me le tue ginocchia 
mia piccola donna 
salamandra d’argento 
pappagallo 
gala sulla mia vita 
albero da frutto 
stella strappata 
ohimè ohimè 
stringano tutti i tappi di vetro 
le ore sono uscite dalle loro gabbie di stelle 
e con i loro grandi nasi di sughero gli elefanti si sono volti ad oriente 
la prima voce che udii fu l’urlo di un grammofono dalle 
periferie 
quel mattino lo scultore non ebbe la forza d’alzarsi 
creperò piangeva lo scultore creperò 
la regina dei pitocchi stava sopra la sua testa con un grandissimo mastello 
dall’orologio uscì il cucù dalla testa di osso e s’inchinò 
umilmente 
creperò piangeva lo scultore creperò 
e tutti videro la morte 
mentre attraversò due volte la camera 
ma perché dovresti andartene fratello 
perché 
non hai ancora ricondotto il gregge dai campi 
non hai ancora acceso le lampade nei tuoi capelli gialli 
ed anche i serpenti dormono nei tuoi occhi 
oh non badare alla brutta caffettiera che ha morso 
l’ombelico della serva 
ed ora giacciono tutti e due in stato di gravidanza 
creperò strideva lo scultore 
creperò 
e le case si piegavano con lungo ritmo verso la chiesa 
un puledro falbo entrò nella finestra con la testa 
e nitrì 
chi vuole comperare il mio cappotto dissi anch’io 
5 corone nessuno dà più di 5 corone 
e all’improvviso tutte le strade corsero giù dai monti 
e dunque andare 
ancora andare 
da allora non vidi più il povero scultore 
eppure eravamo amiconi e tutte le sere la sua barba 
ardeva dinnanzi a me come il roveto 
per 2 settimane vagabondai da solo 
ero triste come un vecchio somaro e ad ogni 
pozzanghera mi lavavo la testa 
avrei voluto lavare dalla mia testa i ricordi che si erano 
terribilmente sedimentati 
e agitavano bandiere nere verso le rive 
ma non so più verso quali rive 
e sentivo di essere un fiume impetuoso e di avere rive 
con palme striminzite e verdi ramarri 
perché in quel tempo ero ormai poeta inoperabilmente 
avevo una corrispondenza regolare con la mia amante 
e sapevo che bastava aprirmi il petto 
e dal mio cuore sarebbe colato oro puro 
se solo questi contadini belgi non fossero tanto sporchi 
questi animali sciovinisti non sanno nulla delle cose del mondo 
inutile che io stia dinnanzi a loro 
non ce n’è uno che veda la stella sulla mia fronte 
io ero come i 7 orfani 
eppure fu lì che si toccarono in me le linee curve 
fu lì che incontrai szittya (4) che veniva da zurigo e 
si preparava ad andare in cile per fondarvi una religione 
io ero convinto che sarebbe diventato davvero un pezzo grosso 
aveva le orecchie curiosamente luride 
giacevamo sulla riva del porto di anversa e lui 
fece una concione alle balle di cotone e ai barili di pece 
cittadini cantava cittadini 
i conigli sono le galline più prolifiche e i mulini 
mettono di soppiatto nel grano dei denti di ratto 
eppure macinano e questo non accade senza ragione 
di che cosa avete paura disgraziati 
i miei verbi arsero già nei fiori sui campi 
crepino tutti quelli che riconoscono la necessità dei punti 
d’appoggio 
domattina noi partiremo verso l’osteria di dio 
nella mia povera mente si aprirono i gigli 
eh sì domattina partiamo verso l’osteria di dio 
berremo le lacrime di Cristo nella catapecchia di paglia 
e liquore di prugna 
oh ma nel destino di ogni brava persona finisce col cadere 
almeno un coccodrillo 
e lui che veniva dall’ostello di Zurigo e si preparava ad andare nel cile per fondare una religione 
si prese quella notte lo scolo nel bordello da marinai della rue de rivoli 
i castelli di carta caddero senza rumore 
crebbero intorno a noi steccati come li vediamo nello zoo 
ancora 21 volte io grido di seguito al cielo: 
latabagomar 
oh talatta 
latabagomar e finfi (2)
i dischi continuavano a girare ininterrottamente. 
bisognerebbe segare le mani nere degli artigiani 
i falegnami tolgono dal legno tutti i nodi
e i fabbri non sanno mettere al loro posto i chiavistelli 
e un bel giorno la nostra gabbia crollerà per questo 
vedete anche Isabella ha perduto uno dei suoi guanti 
oh ma chi mai può avere cura di noi poveri treocchi 
sopra le case gli uccelli volarono sferragliando verso altri 
paesi 
szittya dimenticò nel guardaroba la chiave della nuova religione 
e il primo giorno pianse come un bambino 
poi si unse di vaselina le orecchie e partimmo verso bruxelles 
come due derubati 
rinunciammo ad ogni cosa e sapevamo che solo il tempo ci comprenderà 
non ci lascerà cadere fuori di sé 
la sera sedevamo già ai lunghi tavoli della maison du peuple 
e fumavamo il buon tabacco belga 
vedemmo vanderwelde (5) mentre attraversò la sala per 
andare alla segreteria 
ed altri capi famosi giocavano davanti alla cassa 
con carte francesi nuove 
in un immenso bacino di raccolta vi si trovava tutta la pappa de mondo 
russi dagli occhi azzurri fidanzati della rivoluzione 
olandesi odoranti di olio 
prussiani 
magri montanari 
ungheresi dai baffi sfioriti 
parenti patetici di garibaldi 
e c’erano tutti quelli che erano stati bastonati e quelli 
che a casa non avevano abbastanza pane 
sulle spalle di taluni vegliavano i grattacieli di New York 
dagli occhi di altri fuoriusciva rossastro l’odio 
guardate gli slanci più grandi dell’umanità partono dalla 
stazione 
rombano tempeste 
fili telefonici stridono dal cuore di mosca 
compagna siediti al pianoforte 
i camerieri passano sopra di noi con la broda nera 
i proletari fanno capannello dinnanzi ai cinema 
quello del sindacato dà i biglietti a gruppi di dieci 
i cani s’arrampicano per i muri dai denti sbrecciati e cantano 
come vecchie donne 
disse qualcuno abbasso l’oligarchia 
e tutti insieme: 
roma 
parigi 
tiflis 
stoccolma 
samarcanda 
e miniere della ruhr 
senti le piccole campane del municipio di monaco
a firenze le colombe dormono sulle spalle degli apostoli 
sapevano tutti che non poteva essere lontana l’ora di dio 
la pelle della gente fanatica è più sensibile di un sismografo 
e noi ci grattavamo tutti 
compagna siediti al pianoforte 
su 
su 
oh se potessi agganciare gli occhi di diamante della mia amante 
intorno alla lampada centrale passarono navigando le salamandre 
szittya dormiva nelle pozze rosse 
ed era bello come un giovane bulldog 
di quante cose potrebbe farsi ricco un uomo in un un’ora sola 
se fosse intelligente come mettiamo una macchina fotografica 
ma l’uomo è sempre chiuso e sopra la sua pelle 
passano senza notizia i mondi 
a mezzanotte andammo nel petit passage all’assemblea dei russi 
parlava un tovarisc biondo era quasi un bambino 
fiorivano fiamme dalla sua bocca e le sue mani volavano 
come colombe rosse 
eh sì siamo parenti dei posseduti di dostoewskij 
abbiamo troncato in noi con la nostra bocca la settima testa del sentimentalismo 
e vogliamo distruggere ogni cosa 
oh russia terra maledetta 
chi vedrebbe le tue sofferenze senza difesa se non le vedessero 
i tuoi figli segnati con una stella 
l’europa sputa sull’asiatico che è in noi 
eppure siamo solo noi che saliamo sul monte 
non è dubbio che la fornaia di astrakhan o la bagascia 
di pietrogrado 
partorirà un giorno l’uomo nuovo 
la russia è gravida della rossa primavera della rivoluzione 
ma i fiori non hanno ancora potuto aprirsi sulle pianure della russia 
ma la russia è simile alla terra incolta 
aiutate dunque
fratelli 
figli infelici d’europa somiglianti a noi 
aiutateci aiutateci 
e vedemmo come gli si accese la testa sotto il vecchio berretto 
noi sedevamo tutti nella sua mano
urrà per la russia evviva živio (6) urrà 
allora dalla mia schiena cadde una gobba 
sulle finestre si aprirono i fiori di ghiaccio 
e szittya che più tardi diventò agente provocatore e spia 
baciò la giacca del russo 
sono puro come un bimbo 
disse se non avessi lo scolo andrei 
a carskoje selo per uccidere lo zar 
quella notte non bevemmo acquavite 
ci lavammo i piedi e non pensammo all’amore 
un tipografo ungherese che più tardi fu condannato a 12 anni per rivolta 
disse la ventura con le carte della cameriera 
e cantavamo sotto voce ma s’udiva lontano 
finalmente ecco finalmente 
è venuto il tempo e noi siamo maturi come gli alberi da frutto 
credevamo che sopra di noi si schierassero le bandiere d’oro dei marzi 
e i cigni sedevano in alto sulle altalene e ridevano con due voci 
sulla place edouard volevo offrire me stesso sulla tavola dei poveri 
ma all’alba vennero a prenderei i gendarmi belgi 
albeggiava appena 
davanti alla statua che piscia non c’erano ancora i visitatori con la guida in mano 
e le strade sporche credevano davvero 
di essere a parigi 
ridevano di noi le sculture d’oro del municipio 
e noi andavamo con le mani incatenate nell’azzurro precipite 
giù per le ripide scale 
davanti alle stufe di ferro dei venditori di patate calde 
tra i rifiuti delle osterie 
nella puzza mattutina dei pescivendoli 
poveri vagabondi intruppati dall’ordine e allora 
dio moriva in noi 
incontrammo le puttane della rue mouffetar 
ero felice 
assai mi piaceva che fossero tanto belle all’alba 
nel vento spennellato di sghembo avevano la crocchia storta 
dietro un velo di diamante il sole gli faceva l’occhiolino 
dietro i muri ciechi 
vegliammo tutta la notte come dei santi 
e sbavavo per la voglia di una sigaretta 
potessi almeno grattarmi la schiena gemeva szittya 
che poco prima voleva fare il messia nel cile 
qualcuno sventolò da un balcone una coperta bianca 
noi pensavamo al biondo ragazzo russo che viveva di fiamme 
come il dio futurista di marinetti 
ed amava la russia più che il figlio la madre 
ora lo butteranno oltre il confine belga e in una mattina azzurra 
lo impiccheranno davanti al cremlino 
aiutateci dunque 
fratelli 
figli d’europa infelici come noi 
aiutate! aiutate! 
io sono soltanto un poeta ingenuo ma la mia parola ha taglio 
a che serve se uno trafigge con una spada di carta la strega 
di turamom 
restammo 12 giorni nella prigione che puzzava di topi  
eravamo 105 in una sala 
giorno e notte  
notte e giorno 
di notte pensavamo alle strade maestre e uccidevamo 
le cimici 
il mattina ci davano dell’acqua calda a mezzogiorno della pappa fredda 
e tutto il giorno dovevamo recitare preghiere belghe incomprensibili 
ripetendo ad alta voce quello che diceva un carceriere barbuto 
che sedeva su un’alta cattedra come un idolo 
poi ci misero in carri verde-scuro e ci portarono al confine francese 
trovai 9 specie di uova nei nidi 
mio dio eppure 
viene Parigi 
di cui udii meraviglie sonore 
e che non conosco ancora 
sapevo che nello stemma della francia sta un gallo rosso 
sapevo che la terra di francia è benedetta di ragazze e d’arte 
i contadini di zola nuotavano nell’alba su chitarre d’argento 
la senna poneva su un letto d’erbe i suoi azzurri cadaveri 
szittya raccontava di dunajec del maestro ungherese 
che ora fa il primo violino allo chat noir 
ha 9 amanti ragazze francesi nervose che furono cavalli da battaglia 
nella guerra franco-prussiana 
guardai i miei appunti: avevo visto 3004 ritratti di cristo 
trovato 9 specie di uova nei nidi 
presso liegi condussi via due vacche 
dunque 
ero a 300 chilometri da Parigi 
sopra le nostre teste camminavano pappagalli su stampelle 
oh PARIGI 
PARIGI 
endre ady ti vide nuda e sopra le tue rovine sanguinose 
nacque guillaume apollinaire poeta simultaneo 
sentivamo chiaramente che avevamo odore di pellegrini 
e facevamo 60-70 chilometri al giorno 
andavamo verso l’ombra della torre di ferro
comperate le nostre vesciche dicevamo alla gente 
comperate le nostre vesciche in ottimo stato 
se le pungete con un ago sottile non sentirete nemmeno 
il gusto di bruciato 
eppure i francesi somigliano molto ai belgi 
i tonti più umani vivono nel belgio 
forse è la buona birra di malto che li fa diventare così 
ma forse è perché in loro si sedette sulla ceralacca 
la filosofia cristiana 
ci tenevamo sempre al collo le nostre ghiandole lacrimali gonfie 
come pesanti campani salati 
per giorni e giorni non trovavamo da dormire 
oh perché ci partorì la madre se non fu in grado 
di farci una casa sulla schiena 
un carceriere che faceva anche il calzolaio 
ci ficcò per 12 ore nella paglia 
dai tubi gialli con lance e tenaglie 
e picche da cosacco mossero contro di noi i pidocchi 
ma tutto ciò non importava 
noi dormivamo su lontane altalene di luna nel suono dei flauti 
uno continuava a cantare sopra di noi 
VOI SIETE I MIEI DUE DITI INDICI 
e al mattino bevemmo il caffè intorno alla gonna della calzolaia 
disse che avevo i capelli bellissimi 
e che se mi guardava meglio trovava che somigliavo ad un ragazzo di nome igor 
che 20 anni prima si era gettato nella senna per lei 
il caffè ci scaldò la pancia all’uso dei preti 
ed io le promisi 
che da parigi le avrei mandato una cartolina 
con due mani che si stringono ed una colomba che tuba 
PARIGI oh PARIGI quanta bella gente si uccise in te 
e la voce della città non si sciolse più da me 
piangeva nel fischietto dei doganieri 
rideva nelle trombe elettriche di parigi 
ridi dunque somaro 
non vedi che stai nel nido d’oro della vita 
ora ci culla parigi disse szittya 
dimenticando completamente il suo scolo 
già una volta trassi qui sangue di angeli dalle stelle 
al confronto il latte di mia madre era come acqua di seltz 
metti su le tue ali 
domani andremo da GRISETTE 
mangeremo ostriche sul boulevard des italiens 
guarderemo gli uccelli elettrici 
passeremo per la tuileries 
e per il bar delle stelle 
già sì 
sì 
ero molto triste e sentivo come ai miei piedi malati 
mi crescevano le unghie 
ohi 
ahi 
a me i miracoli arrivano con la barba e senza intonaco 
2 per 2 = 4 
un roveto si apre dappertutto 
ma i cavalli moderni hanno denti di ferro 
e chi parte la mattina non è sicuro di arrivare la sera 
più felice di tutti chi sa rivoltare la propria pelle 
perché nessuno sa guardare oltre se stesso 
ciò che abbiamo messo su è messo su 
ma ciò che mettiamo su non significa nulla 
i fiumi sono pronti a farlo a pezzi se hanno fretta 
i signori non sanno camminare a due gambe come i passerotti 
sappiamo che ogni donna lascia il suo compagno 
e le scimmie guardarono il loro deretano nello specchio 
del signor goldmann 
e sono completamente felici 
forse se sapessi giocare agli scacchi 
ma io non m’intendo di nulla sul serio 
i coscioni dei maiali macellati siedono su una giostra nelle vetrine 
e vidi parigi e non vidi nulla 
la mia amante mi aspettava gravida alla stazione di periferia 
la testa di mia madre si era fatta come un limone per la miseria 
volevo ridere davanti a loro ma mi vergognavo assai 
di indossare due calzoni senza mutande 
è certo che o il poeta costruisce per sé una cosa di cui ha piacere 
oppure vada a raccogliere cicche 
oppure 
oppure 
gli uccelli hanno inghiottito la voce 
ma gli alberi continuano a cantare 
questo è già un segno di vecchiaia 
ma non vuole dire nulla 
io sono LAJOS KASSÁK 
e sopra le nostre teste parte in volo il samovar di nichelio. 
 
Vienna
 
 
Note
(1)  In quel tempo, la compagna di Kassák faceva la modella e lavorava in particolare per un pessimo «pittore della domenica», che si chiamava Nadler.
(2)  Parole «in libertà», senza alcun senso definito.
(3)  Allude alle sovvenzioni caritatevoli che le fondazioni pie delle comunità ebraiche in Germania elargivano ai correligionari di passaggio, privi di mezzi di sostentamento.  Vagabondando in compagnia dello scultore in legno, ebreo, Kassák si fingeva ebreo anche lui, per quei pochi soldi.
(4)  Pronuncia: «Sìttia».
(5)  È il noto capo socialista belga.
(6)  «Evviva» in serbo-croato.