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Lajos Kassak (1887-1967), nato in terra slovena sotto il dominio del regno austro-ungarico, inizia a lavorare come fabbro all’età di undici anni. Nel 1909 un viaggio a piedi fino a Parigi gli fa scoprire l’arte e la poesia. La sua mancanza di istruzione scolastica non gli impedisce di sviluppare un proprio pensiero caratterizzato da una forte personalità, finendo col diventare la figura di punta dell’avanguardia ungherese. Nel 1915, prendendo spunto dalle riviste espressioniste tedesche che mescolavano assieme critica sociale ed espressione artistica, fonda la rivista A Tett (L’Azione) che da un lato farà scoprire al pubblico magiaro Apollinaire e Marinetti, e dall’altro farà infuriare le autorità per gli articoli libertari e antimilitaristi. Messa al bando A Tett nell’ottobre del 1916, un mese dopo Kassak crea una nuova rivista, Ma (Oggi), che questa volta verrà bandita dalla Repubblica dei Consigli di Budapest perché contraria all’arte di propaganda. Costretto all’esilio nel 1920 dopo un breve soggiorno in carcere, Kassak raggiunge Vienna dove potrà proseguire la propria opera artistica — sempre legata ad una visione di classe, ma mai messa al servizio di qualsivoglia partito — unendosi ai costruttivisti.

«Distruggi, così puoi creare. Crea, così puoi vincere» era il suo motto. Qui presentiamo il suo più celebre poema, pubblicato all’inizio degli anni 20.



***


Allora il tempo nitrì ossia modo di pappagallo aprì

le ali dico porta rossa aperta

con la mia amante a cui diamanti neri erano murati

nel volto e trascinava 3 bambini per disperazione

sedevamo sotto i camini delle fabbriche

sapevamo domani le linee curve

su issa su issa

diceva domani te ne vai Kasacchino ed io mi disseccherò

sui soppalchi e nelle croste del signor Nadler (1)

certo

certo

il padreterno si dimentica delle belle donne

già veniva lo scultore in legno mezzo-cristo

era giovane e puzzava maledettamente di giustizia

domani avremo passato il confine

già sì già sì

certo certo

la città ci galoppava vicino

girava qua e là e talvolta s’impennava

vedevo il cappello storto di mio padre mentre nuotava

sopra il vetro smerigliato dalla farmacia alla statua della trinità e ritorno

una volta il vecchio credeva che a 21 anni sarei stato cappellano

nella parrocchia della mia città

ma esattamente 10 anni prima mangiavo il fumo nella officina del fabbro signor Sporni

ormai il vecchio tornava di rado a casa

più tardi si bevve il mio bel futuro sognato e lo pisciò con la birra

s’innamorò di una vecchia sguattera

perse i capelli e faceva amicizia solo con gli zingari

25 aprile 1907

mi preparavo per andare a Parigi a piedi con lo scultore

la cittadina sedeva nella pozza e suonava la fisarmonica

io ti tolgo la mia protezione oh San Cristoforo non sarai il figlio di tuo padre

un ubriaco piangeva lacrime di coccodrillo

si appoggiava al muro dell’albergo del Leone d’Oro

sentivo che tutto era finito

mi attraversò un binario rosso e nei campanili suonavano le campane

colombe facevano capriole sopra i tetti

anzi per meglio dire galoppavano sul carro del sole

la nuova campana dei francescani quasi cantava

chi si prepara a dormire lucidi le sbarre di piombo

le ore passavano spettrali su bianchi cani da pastore

sentivo che tutto era finito

osti e merciai chiudevano le botteghe

torna torna dai tuoi figli amico mio

le ruote non si voltavano più indietro

l’uomo perde i denti da latte e guarda nel nulla dove

la vita si morde la coda

nel nulla

oh giramarri

Oh lebbli

Oh BUm BUmm (2)

e la nave andava con noi lemme lemme come donna gravida

e dietro di noi qualcuno chiuse le quinte

quella fu la prima giornata tagliata in croce nella mia vita

ardevano in me le fiaccole e cose senza fondo

pappagallo (2)

oh fumigo pappagallo

sulle rive stridevano uccelli di rame in gruppi di venti

sugli alberi altalenavano impiccati e stridevano anch’essi come galli

solo talvolta dal fondo dell’acqua guardavano verso di noi cadaveri fattisi seri

ma avevamo 21 anni

allo scultore spuntavano brutti peli rosa

dal mento

ma per il resto si viveva bene

solo in mezzo al ventre

stringevamo invano le viti i buoi sempre di nuovo

s’incamminavano per il campo arato

e talvolta stentavamo a strapparci gli occhi dalle caviglie delle ragazze

in quei casi gridavano in me i piatti turchi

a Vienna dormimmo sulla strada per 3 giorni

poi ci svitammo definitivamente fuori di noi stessi

già cosa vuol dire civiltà

ci si unge di qualche smalto e si comincia ad aborrire i pidocchi

cosa vuol dire legami familiari

ci si allunga con un nastro di seta il cordone ombelicale

cosa vuol dire timordidio

si comincia con l’aver paura per non aver paura

noi c’inchiodammo le strade sulle piante dei piedi e il sole veniva

con noi nello spazio su aurei piedi di miglia

credetemi l’elefante non è più grande di una pulce

e il rosso non è più rosso del bianco

e se ciò malgrado noi andavamo avanti

cameralogos (2) se facciamo un bilancio tanto siamo

noi ad avere la peggio

e allora ci si aprivano gli occhi

e fummo profondi come gli oscuri pozzi dei paesi minerari

e andavamo andavamo

13 angeli ci precedevano

a piedi anch’essi

e ci cantavano della nostra giovinezza

eravamo già dei vagabondi tipici con pulci educate

sotto le ascelle

amavamo la frutta caduta nel fosso

il latte cagliato

e la cassa d’assistenza delle comunità ebraiche (3)

e di qua e di là venivano verso di noi i fratelli

con tutte le varie lingue del mondo e con facce straordinarie color mattone

ognuno aveva un suo odore speciale

e qualcuno era piallato dai chilometri e qualcun altro

aveva ancora sulla bocca il latte della tetta della mamma

le strade giacevano sotto di noi con imbottite bianche

i fili del telegrafo si stringevano e scrivevano

cabale sul cielo

la sera vedevamo come s’aprivano i fiori tra le gambe delle donne

ma noi eravamo vegetariani e antifemministi

e ci spingemmo oltre Passau

Aquisgrana

Anversa

lo scultore si fece magro come uno stecco e la sua barba

si fece tutta rossa

a me crescevano in testa versi e boschi intricati

sui fiumi di luce i ratti passarono due volte davanti a noi

su grandi chiatte ornate di bottoni da calzoni e uova d’uccelli

negli uffici postali mi aspettavano le lettere della mia mante

ma sapevo che i pidocchi si muovono soprattutto la notte

quindi lavoravo sui miei versi che mi uscivano

dalla testa come pecore dal manto d’oro

non c’è dubbio che quelle sono le bestie più sprovvedute

ma se qualcuno si mette la lavagna dietro l’orecchio

le saracinesche cadono spaventate

ecco la nostra vita

ad ogni stazione i doganieri ci battono un timbro sul cuore

ma noi nuotiamo sempre avanti verso l’alba

certo sarebbe meglio se tutti facessero commercio

di carrube e caramelle per i bambini

dividetevi il mondo in cui vivete

per noi è facile facciamo ogni giorno 50 chilometri per

uscirne

nelle gallerie sui crinali dei monti e in taciti boschi tedeschi

sentiamo l’odore del letame fresco sui campi

e talvolta i monti si voltano e gli alberi suonano la chitarra nel vento

dopo tutto gli alberi sono fanciulle gravide

si parlano sotto voce e dicono così:

se lui se ne va io m’ammazzo

ieri tutto il giorno ho orlato con filo d’oro le fasce

lo chiamerò angeletto e gli appenderò sulle orecchie

ciliegie di diamante

oppure dicono semplicemente:

tutti gli uomini sono cani zoppi

i monti sono ormai tutti piegati sopra di noi

mentre il serpente gigante inghiottisce il sole senza scrupoli

alla fin fine io sarò poeta

basterà tirare fino in fondo le raganelle tanto più che tutto il male

viene dalla sbadataggine della signorina Anna

ieri ho mandato due poesie all’«Ungheria Indipendente»

e finimmo un’altra volta a Stuttgart

sedemmo alla tavola dei mendicanti mangiammo pizze con la marmellata

e il cuore di un contadino stiriano splendeva dalle travi

nel cortile della casa accanto l’ESERCITO DELLA SALVEZZA faceva messa

flauti e clarinetti stridevano sotto le stelle

vedevamo le gialle civette di vetro mentre si piegavano

sopra le giovani madri

oh agnello di dio che togli i peccati del mondo

nello scultore in legno tornava ad agitarsi il mezzo-cristo

e voleva parlare a tutti i costi

chiudi il becco urlava il contadino stiriano

ci mise sotto il naso il cuore

vedete è trafitto con 7 pugnali rugginosi

sono le 7 menzogne della mia amante in me fratellini

guardate quell’orlo verde sul lato destro

fratellini è l’ultima morsicatura del mio padrone

ho 26 anni e la mia vita era pura come rugiada mattutina

d’inverno pulivo la neve davanti alla casa

d’estate mietevo il grano pieno

eh eh il destino dell’uomo è come

tutti tenevano gli occhi aperti e dietro i muri noi vedevamo come

il mondo volta gabbana

budapest-parigi-berlino-camciatka-pietroburgo

lo scultore era ormai ubriaco e dai suoi occhi

scorreva la tristezza come da canali

le grida si volgevano sempre più verso i poli per spegnere

le loro micce

giurate che crederete ormai solo nella virtù magica dei

legacci delle mutande

dissi in modo inaspettato

e vedevo come la mia voce giungeva dal cortile vicino

io sono un poeta

debbo dunque sapere

che i lumi ardono bene perché due volte turatamo (2)

e sono pieni di petrolio

ero proprio disperato avrei voluto dare qualche cosa

a quella povera gente

ma le stelle avevano ormai lasciato i loro posti di guardia

i 13 angeli dormono evidentemente a bocca aperta sui

gradini del soffitto

dio mio

le cimici scendono dai muri in rosse schiere

si mettano tutti del sale sulla punta del naso

ecco come è breve la vita

ma noi diventeremo gatti maschi sui muri ciechi di Parigi

ninna nanna bimba bella

ci si addormenta

così si fanno orizzontali le verticali

e viceversa

i bimbi d’inchiostro uscirono dal cielo

passiamo il giardino insieme

sulla riva di là Maria fa dormire suo figlio

chiudano tutti quanti i chiavistelli sopra il cervello

per terra i miei ricordi fosforescevano in pozze gialle pozze gialle

negli angoli si aprirono i sacchi da montagna e si misero

ad abbaiare come pazzi

come Maria suo figlio

io cullavo tutto il giardino nel mio grembo

e più sotto

ecco gli scaccini della comunità ebraica coi loro 1 ½ marchi (3)

sospiri si vetrificano

fiori fioriscono

oh dunque ci sei anche tu

tu ed io

su di te

io

lega dunque su di me le tue ginocchia

mia piccola donna

salamandra d’argento

pappagallo

gala sulla mia vita

albero da frutto

stella strappata

ohimè ohimè

stringano tutti i tappi di vetro

le ore sono uscite dalle loro gabbie di stelle

e con i loro grandi nasi di sughero gli elefanti si sono volti ad oriente

la prima voce che udii fu l’urlo di un grammofono dalle

periferie

quel mattino lo scultore non ebbe la forza d’alzarsi

creperò piangeva lo scultore creperò

la regina dei pitocchi stava sopra la sua testa con un grandissimo mastello

dall’orologio uscì il cucù dalla testa di osso e s’inchinò

umilmente

creperò piangeva lo scultore creperò

e tutti videro la morte

mentre attraversò due volte la camera

ma perché dovresti andartene fratello

perché

non hai ancora ricondotto il gregge dai campi

non hai ancora acceso le lampade nei tuoi capelli gialli

ed anche i serpenti dormono nei tuoi occhi

oh non badare alla brutta caffettiera che ha morso

l’ombelico della serva

ed ora giacciono tutti e due in stato di gravidanza

creperò strideva lo scultore

creperò

e le case si piegavano con lungo ritmo verso la chiesa

un puledro falbo entrò nella finestra con la testa

e nitrì

chi vuole comperare il mio cappotto dissi anch’io

5 corone nessuno dà più di 5 corone

e all’improvviso tutte le strade corsero giù dai monti

e dunque andare

ancora andare

da allora non vidi più il povero scultore

eppure eravamo amiconi e tutte le sere la sua barba

ardeva dinnanzi a me come il roveto

per 2 settimane vagabondai da solo

ero triste come un vecchio somaro e ad ogni

pozzanghera mi lavavo la testa

avrei voluto lavare dalla mia testa i ricordi che si erano

terribilmente sedimentati

e agitavano bandiere nere verso le rive

ma non so più verso quali rive

e sentivo di essere un fiume impetuoso e di avere rive

con palme striminzite e verdi ramarri

perché in quel tempo ero ormai poeta inoperabilmente

avevo una corrispondenza regolare con la mia amante

e sapevo che bastava aprirmi il petto

e dal mio cuore sarebbe colato oro puro

se solo questi contadini belgi non fossero tanto sporchi

questi animali sciovinisti non sanno nulla delle cose del mondo

inutile che io stia dinnanzi a loro

non ce n’è uno che veda la stella sulla mia fronte

io ero come i 7 orfani

eppure fu lì che si toccarono in me le linee curve

fu lì che incontrai szittya (4) che veniva da zurigo e

si preparava ad andare in cile per fondarvi una religione

io ero convinto che sarebbe diventato davvero un pezzo grosso

aveva le orecchie curiosamente luride

giacevamo sulla riva del porto di anversa e lui

fece una concione alle balle di cotone e ai barili di pece

cittadini cantava cittadini

i conigli sono le galline più prolifiche e i mulini

mettono di soppiatto nel grano dei denti di ratto

eppure macinano e questo non accade senza ragione

di che cosa avete paura disgraziati

i miei verbi arsero già nei fiori sui campi

crepino tutti quelli che riconoscono la necessità dei punti

d’appoggio

domattina noi partiremo verso l’osteria di dio

nella mia povera mente si aprirono i gigli

eh sì domattina partiamo verso l’osteria di dio

berremo le lacrime di Cristo nella catapecchia di paglia

e liquore di prugna

oh ma nel destino di ogni brava persona finisce col cadere

almeno un coccodrillo

e lui che veniva dall’ostello di Zurigo e si preparava ad andare nel cile per fondare una religione

si prese quella notte lo scolo nel bordello da marinai della rue de rivoli

i castelli di carta caddero senza rumore

crebbero intorno a noi steccati come li vediamo nello zoo

ancora 21 volte io grido di seguito al cielo:

latabagomar

oh talatta

latabagomar e finfi (2)

i dischi continuavano a girare ininterrottamente.

bisognerebbe segare le mani nere degli artigiani

i falegnami tolgono dal legno tutti i nodi

e i fabbri non sanno mettere al loro posto i chiavistelli

e un bel giorno la nostra gabbia crollerà per questo

vedete anche Isabella ha perduto uno dei suoi guanti

oh ma chi mai può avere cura di noi poveri treocchi

sopra le case gli uccelli volarono sferragliando verso altri

paesi

szittya dimenticò nel guardaroba la chiave della nuova religione

e il primo giorno pianse come un bambino

poi si unse di vaselina le orecchie e partimmo verso bruxelles

come due derubati

rinunciammo ad ogni cosa e sapevamo che solo il tempo ci comprenderà

non ci lascerà cadere fuori di sé

la sera sedevamo già ai lunghi tavoli della maison du peuple

e fumavamo il buon tabacco belga

vedemmo vanderwelde (5) mentre attraversò la sala per

andare alla segreteria

ed altri capi famosi giocavano davanti alla cassa

con carte francesi nuove

in un immenso bacino di raccolta vi si trovava tutta la pappa de mondo

russi dagli occhi azzurri fidanzati della rivoluzione

olandesi odoranti di olio

prussiani

magri montanari

ungheresi dai baffi sfioriti

parenti patetici di garibaldi

e c’erano tutti quelli che erano stati bastonati e quelli

che a casa non avevano abbastanza pane

sulle spalle di taluni vegliavano i grattacieli di New York

dagli occhi di altri fuoriusciva rossastro l’odio

guardate gli slanci più grandi dell’umanità partono dalla

stazione

rombano tempeste

fili telefonici stridono dal cuore di mosca

compagna siediti al pianoforte

i camerieri passano sopra di noi con la broda nera

i proletari fanno capannello dinnanzi ai cinema

quello del sindacato dà i biglietti a gruppi di dieci

i cani s’arrampicano per i muri dai denti sbrecciati e cantano

come vecchie donne

disse qualcuno abbasso l’oligarchia

e tutti insieme:

roma

parigi

tiflis

stoccolma

samarcanda

e miniere della ruhr

senti le piccole campane del municipio di monaco

a firenze le colombe dormono sulle spalle degli apostoli

sapevano tutti che non poteva essere lontana l’ora di dio

la pelle della gente fanatica è più sensibile di un sismografo

e noi ci grattavamo tutti

compagna siediti al pianoforte

su

su

oh se potessi agganciare gli occhi di diamante della mia amante

intorno alla lampada centrale passarono navigando le salamandre

szittya dormiva nelle pozze rosse

ed era bello come un giovane bulldog

di quante cose potrebbe farsi ricco un uomo in un un’ora sola

se fosse intelligente come mettiamo una macchina fotografica

ma l’uomo è sempre chiuso e sopra la sua pelle

passano senza notizia i mondi

a mezzanotte andammo nel petit passage all’assemblea dei russi

parlava un tovarisc biondo era quasi un bambino

fiorivano fiamme dalla sua bocca e le sue mani volavano

come colombe rosse

eh sì siamo parenti dei posseduti di dostoewskij

abbiamo troncato in noi con la nostra bocca la settima testa del sentimentalismo

e vogliamo distruggere ogni cosa

oh russia terra maledetta

chi vedrebbe le tue sofferenze senza difesa se non le vedessero

i tuoi figli segnati con una stella

l’europa sputa sull’asiatico che è in noi

eppure siamo solo noi che saliamo sul monte

non è dubbio che la fornaia di astrakhan o la bagascia

di pietrogrado

partorirà un giorno l’uomo nuovo

la russia è gravida della rossa primavera della rivoluzione

ma i fiori non hanno ancora potuto aprirsi sulle pianure della russia

ma la russia è simile alla terra incolta

aiutate dunque

fratelli

figli infelici d’europa somiglianti a noi

aiutateci aiutateci

e vedemmo come gli si accese la testa sotto il vecchio berretto

noi sedevamo tutti nella sua mano

urrà per la russia evviva živio (6) urrà

allora dalla mia schiena cadde una gobba

sulle finestre si aprirono i fiori di ghiaccio

e szittya che più tardi diventò agente provocatore e spia

baciò la giacca del russo

sono puro come un bimbo

disse se non avessi lo scolo andrei

a carskoje selo per uccidere lo zar

quella notte non bevemmo acquavite

ci lavammo i piedi e non pensammo all’amore

un tipografo ungherese che più tardi fu condannato a 12 anni per rivolta

disse la ventura con le carte della cameriera

e cantavamo sotto voce ma s’udiva lontano

finalmente ecco finalmente

è venuto il tempo e noi siamo maturi come gli alberi da frutto

credevamo che sopra di noi si schierassero le bandiere d’oro dei marzi

e i cigni sedevano in alto sulle altalene e ridevano con due voci

sulla place edouard volevo offrire me stesso sulla tavola dei poveri

ma all’alba vennero a prenderei i gendarmi belgi

albeggiava appena

davanti alla statua che piscia non c’erano ancora i visitatori con la guida in mano

e le strade sporche credevano davvero

di essere a parigi

ridevano di noi le sculture d’oro del municipio

e noi andavamo con le mani incatenate nell’azzurro precipite

giù per le ripide scale

davanti alle stufe di ferro dei venditori di patate calde

tra i rifiuti delle osterie

nella puzza mattutina dei pescivendoli

poveri vagabondi intruppati dall’ordine e allora

dio moriva in noi

incontrammo le puttane della rue mouffetar

ero felice

assai mi piaceva che fossero tanto belle all’alba

nel vento spennellato di sghembo avevano la crocchia storta

dietro un velo di diamante il sole gli faceva l’occhiolino

dietro i muri ciechi

vegliammo tutta la notte come dei santi

e sbavavo per la voglia di una sigaretta

potessi almeno grattarmi la schiena gemeva szittya

che poco prima voleva fare il messia nel cile

qualcuno sventolò da un balcone una coperta bianca

noi pensavamo al biondo ragazzo russo che viveva di fiamme

come il dio futurista di marinetti

ed amava la russia più che il figlio la madre

ora lo butteranno oltre il confine belga e in una mattina azzurra

lo impiccheranno davanti al cremlino

aiutateci dunque

fratelli

figli d’europa infelici come noi

aiutate! aiutate!

io sono soltanto un poeta ingenuo ma la mia parola ha taglio

a che serve se uno trafigge con una spada di carta la strega

di turamom

restammo 12 giorni nella prigione che puzzava di topi

eravamo 105 in una sala

giorno e notte

notte e giorno

di notte pensavamo alle strade maestre e uccidevamo

le cimici

il mattina ci davano dell’acqua calda a mezzogiorno della pappa fredda

e tutto il giorno dovevamo recitare preghiere belghe incomprensibili

ripetendo ad alta voce quello che diceva un carceriere barbuto

che sedeva su un’alta cattedra come un idolo

poi ci misero in carri verde-scuro e ci portarono al confine francese

trovai 9 specie di uova nei nidi

mio dio eppure

viene Parigi

di cui udii meraviglie sonore

e che non conosco ancora

sapevo che nello stemma della francia sta un gallo rosso

sapevo che la terra di francia è benedetta di ragazze e d’arte

i contadini di zola nuotavano nell’alba su chitarre d’argento

la senna poneva su un letto d’erbe i suoi azzurri cadaveri

szittya raccontava di dunajec del maestro ungherese

che ora fa il primo violino allo chat noir

ha 9 amanti ragazze francesi nervose che furono cavalli da battaglia

nella guerra franco-prussiana

guardai i miei appunti: avevo visto 3004 ritratti di cristo

trovato 9 specie di uova nei nidi

presso liegi condussi via due vacche

dunque

ero a 300 chilometri da Parigi

sopra le nostre teste camminavano pappagalli su stampelle

oh PARIGI

PARIGI

endre ady ti vide nuda e sopra le tue rovine sanguinose

nacque guillaume apollinaire poeta simultaneo

sentivamo chiaramente che avevamo odore di pellegrini

e facevamo 60-70 chilometri al giorno

andavamo verso l’ombra della torre di ferro

comperate le nostre vesciche dicevamo alla gente

comperate le nostre vesciche in ottimo stato

se le pungete con un ago sottile non sentirete nemmeno

il gusto di bruciato

eppure i francesi somigliano molto ai belgi

i tonti più umani vivono nel belgio

forse è la buona birra di malto che li fa diventare così

ma forse è perché in loro si sedette sulla ceralacca

la filosofia cristiana

ci tenevamo sempre al collo le nostre ghiandole lacrimali gonfie

come pesanti campani salati

per giorni e giorni non trovavamo da dormire

oh perché ci partorì la madre se non fu in grado

di farci una casa sulla schiena

un carceriere che faceva anche il calzolaio

ci ficcò per 12 ore nella paglia

dai tubi gialli con lance e tenaglie

e picche da cosacco mossero contro di noi i pidocchi

ma tutto ciò non importava

noi dormivamo su lontane altalene di luna nel suono dei flauti

uno continuava a cantare sopra di noi

VOI SIETE I MIEI DUE DITI INDICI

e al mattino bevemmo il caffè intorno alla gonna della calzolaia

disse che avevo i capelli bellissimi

e che se mi guardava meglio trovava che somigliavo ad un ragazzo di nome igor

che 20 anni prima si era gettato nella senna per lei

il caffè ci scaldò la pancia all’uso dei preti

ed io le promisi

che da parigi le avrei mandato una cartolina

con due mani che si stringono ed una colomba che tuba

PARIGI oh PARIGI quanta bella gente si uccise in te

e la voce della città non si sciolse più da me

piangeva nel fischietto dei doganieri

rideva nelle trombe elettriche di parigi

ridi dunque somaro

non vedi che stai nel nido d’oro della vita

ora ci culla parigi disse szittya

dimenticando completamente il suo scolo

già una volta trassi qui sangue di angeli dalle stelle

al confronto il latte di mia madre era come acqua di seltz

metti su le tue ali

domani andremo da GRISETTE

mangeremo ostriche sul boulevard des italiens

guarderemo gli uccelli elettrici

passeremo per la tuileries

e per il bar delle stelle

già sì

ero molto triste e sentivo come ai miei piedi malati

mi crescevano le unghie

ohi

ahi

a me i miracoli arrivano con la barba e senza intonaco

2 per 2 = 4

un roveto si apre dappertutto

ma i cavalli moderni hanno denti di ferro

e chi parte la mattina non è sicuro di arrivare la sera

più felice di tutti chi sa rivoltare la propria pelle

perché nessuno sa guardare oltre se stesso

ciò che abbiamo messo su è messo su

ma ciò che mettiamo su non significa nulla

i fiumi sono pronti a farlo a pezzi se hanno fretta

i signori non sanno camminare a due gambe come i passerotti

sappiamo che ogni donna lascia il suo compagno

e le scimmie guardarono il loro deretano nello specchio

del signor goldmann

e sono completamente felici

forse se sapessi giocare agli scacchi

ma io non m’intendo di nulla sul serio

i coscioni dei maiali macellati siedono su una giostra nelle vetrine

e vidi parigi e non vidi nulla

la mia amante mi aspettava gravida alla stazione di periferia

la testa di mia madre si era fatta come un limone per la miseria

volevo ridere davanti a loro ma mi vergognavo assai

di indossare due calzoni senza mutande

è certo che o il poeta costruisce per sé una cosa di cui ha piacere

oppure vada a raccogliere cicche

oppure

oppure

gli uccelli hanno inghiottito la voce

ma gli alberi continuano a cantare

questo è già un segno di vecchiaia

ma non vuole dire nulla

io sono LAJOS KASSÁK

e sopra le nostre teste parte in volo il samovar di nichelio.


Vienna



Note

(1) In quel tempo, la compagna di Kassák faceva la modella e lavorava in particolare per un pessimo «pittore della domenica», che si chiamava Nadler.

(2) Parole «in libertà», senza alcun senso definito.

(3) Allude alle sovvenzioni caritatevoli che le fondazioni pie delle comunità ebraiche in Germania elargivano ai correligionari di passaggio, privi di mezzi di sostentamento. Vagabondando in compagnia dello scultore in legno, ebreo, Kassák si fingeva ebreo anche lui, per quei pochi soldi.

(4) Pronuncia: «Sìttia».

(5) È il noto capo socialista belga.

(6) «Evviva» in serbo-croato.