Contropelo

Una nuova shibboleth?

(o: tutto ciò che può nascondersi dietro il dibattito sull’antisemitismo)

Jean-Pierre Baudet
 
È possibile rendersene conto, è possibile rimuoverlo: gli europei quali siamo vivono un'epoca che minaccia di rimettere il nazionalsocialismo all'ordine del giorno. Per decenni sembrava fosse stato messo al bando per sempre, tanto più che si supponeva si fosse affacciato nella storia solo grazie a circostanze uniche ed aleatorie. Era consuetudine pensare che simili movimenti non avrebbero potuto avere successo senza la prima guerra mondiale, senza le successive misure d'eccezione, senza il nazionalismo e lo spirito di rivalsa, senza la crisi economica mondiale e senza la politica di creare occupazione con l'industria bellica. E, ovviamente, senza un antisemitismo diventato argomento prioritario fino ad assumere dimensioni di massa. Definire qualcuno fascista appariva il più delle volte l'uso di una metafora esagerata o imprudente, il riflesso condizionato e involontario di persone di sinistra che, per considerarsi sovversive, dovevano usare dei rimproveri altrettanto automatizzati, ridotti a stereotipi.
Tutto questo è finito.
Il ritorno internazionale di tematiche nazionalsocialiste in numerosi paesi mostra che la loro comparsa non è affatto determinata da circostanze che si potrebbero definire casuali.
In numerosi paesi? Questa non è affatto una esagerazione, come testimonia la lista seguente (pur avendo omesso gli innumerevoli movimenti e siti internet che diffondono idee di estrema-destra, limitandoci ai partiti politici integrati nel parlamentarismo): in Germania l’NPD, la Deutsche Volksunion ed i Republikaner; nel Regno Unito il British National Party, il British National Front e l'United Kingdom Independence Party; in Francia il Front National; in Spagna la Democracia Nacional, Alternativa Española ed il Movimiento Social Republicano; in Grecia Alba Dorata; in Belgio il Vlaams Belang e diverse tendenze uscite dal Front national; in Italia Forza Nuova ed il MSFT; nei Paesi Bassi il Partito per la libertà; in Austria il FPÖ ed il BZÖ; in Portogallo il PNR; in Danimarca il Dansk Folkeparti; in Svizzera il PNOS e, in Canton Ticino, la Destra Sociale Fiamma Luganese; in Ucraina la Svoboda; in Finlandia il Perussuomaleset (Finlandese di base); in Norvegia il FrP; in Bulgaria il partito Ataka; in Croazia il HSP ed il HDSSB; in Ungheria il Fidesz; in Polonia il PiS, il Porozumienie Polskie, il RKN ed il NOP; in Romania la Nua Dreapta ed il Partidul România Mare; in Serbia la Srpska radikalna stranka; in Slovacchia, così come in Slovenia, il SNS; in Israele diversi movimenti d’estrema-destra, alcuni dei quali si sono raggruppati nell'Unione Nazionale, la cui influenza è paragonabile a quella del Likud; in Russia il Partito Liberal-Democratico di Russia; negli USA il Tea Party dispone di una massa di simpatizzanti stimata nei sondaggi superiore al 50%; e in molti paesi arabi la potenza dell'integralismo religioso non è che una versione adattata all'Islam di contenuti fascisti.*
Si può relativamente discutere sulle differenze tra la crisi economica mondiale dal 1928 al 1930 ed i problemi ridotti ad una mera crisi «finanziaria» del periodo che va dal 2007 ad oggi. Ma in entrambi i casi emerge l'intreccio internazionale dell'economia capitalistica, così come l'aspetto ingannevole di un problema considerato esterno. Che questo «esterno» esista in ogni paese, che faccia parte del cuore stesso dell'economia capitalistica «nazionale», è proprio ciò che deve essere escluso dalla coscienza. A livello nazionale, si suppone esista solo una produzione tangibile, solida, sana, e che tutto il male provenga dal commercio internazionale, da una speculazione diretta contro la «patria». Nessuno può dubitare davvero che i gruppi e le banche di ogni paese stiano conducendo una guerra su scala planetaria. Ma che questa guerra avvenga all'interno di ogni paese (ad esempio tra concorrenti, ma anche tra datori di lavoro e dipendenti), che questa guerra sia parte integrante della più intima essenza della produzione capitalistica, e che si sacrifichi e debba sacrificare continuamente la realtà al valore, ecco attorno a cosa si sviluppa una lotta ideologica: ma non si deve convenirne se si vuole preservare il capitale in quanto categoria. La nuova routine attraverso cui il gangsterismo internazionale (FMI, Banca Mondiale, Commissione Europea, fondi speculativi privati) riduce in cattività interi paesi attraverso l’indebitamento e li trasforma in entità valorizzabili, produttive, vale a dire predisposte al saccheggio, attiva e potenzia opportunamente tali frustrazioni. E i nani da giardino della presunta «politica», poco importa se dormano «a destra» o «a sinistra» nel baldacchino politico, non si permettono affatto di opporsi a tali pericoli, avendo da diverso tempo interiorizzato tutte le premesse di una simile evoluzione e non figurando più che come portinai del saccheggio generalizzato: la qual cosa costituisce la principale risorsa che alimenta l’estrema destra.
Ecco perché il nazionalsocialismo è tutto fuorché casuale, e non fa parte del passato. Non è altro che la volontà, orientata verso il passato e preprogrammata dal sistema capitalistico, di portare l'economia nazionale verso uno stato più o meno teorizzato di «autarchia», in cui si presume che il capitale nazionale festeggi nell'ebbrezza delle nozze con la forza lavoro nazionale. È solo grazie a questa unione, fissata nella stessa scialuppa di salvataggio, che i due — ci fanno intendere — potranno sfuggire al pericolo, come abbiamo avuto modo di vedere nel blockbuster Titanic.
Ma sappiamo come vanno a finire i naufragi di questa specie.
È risaputo al punto che qualsiasi discussione appropriata viene evitata, e si preferisce cercare il modo migliore per metterla a tacere.
Un metodo collaudato consiste nell’utilizzare l'antisemitismo come shibboleth esclusiva ed universale: chi non può essere fatto oggetto di questo rimprovero non vede intaccata la propria reputazione e ha il diritto di continuare la partita. Con ciò inizia un sillogismo assai apprezzato: a) un nazista è un antisemita, b) X (non) è un antisemita, c) ergo X (non) è un nazista. La singolarità che fa sì che la seconda premessa come anche la conclusione siano formulate in modo negativo (vale a dire: non un antisemita, e non un nazista) non infrange in alcun modo le regole formali del sillogismo, ma il giudizio particolare che si presenta in forma negativa, e di conseguenza l’intero sillogismo, risente del fatto che il predicato della seconda premessa è identico a quello della prima (e non al suo soggetto). Pertanto, la funzione logica del termine di mezzo si perde. Per essere formalmente accettabile, il sillogismo dovrebbe essere: a) un nazista è un antisemita, b) X (non) è un nazista, c) ergo X (non) è un antisemita. Ma formulato così, l'effetto desiderato non ci sarebbe. La shibboleth dell’antisemitismo falsifica in profondità la logica del sillogismo su cui questa si basa, ma è proprio questo l'obiettivo ricercato.
Tale strategia raggiunge per così dire il suo culmine (ma anche il suo limite assoluto) quando il mondo accademico riesuma dalla tomba il cadavere del «re segreto» della filosofia (la frase è della sua allieva ed amante Hannah Arendt) allo scopo di verificare il suo DNA in materia di antisemitismo. Ci viene annunciato che i Quaderni neri fungeranno da spartiacque. Ma al già obsoleto confronto dei pro e dei contro (ad esempio François Fédier contro Emmanuel Faye, per citarne solo alcuni) si viene ad aggiungere un terzo punto di vista, apparentemente più sfumato, quello dell’editore Peter Trawny, formulato grosso modo come segue nel caso si volesse travestirlo da sillogismo: a) non tutti gli antisemiti sono nazisti, b) Heidegger era antisemita, c) quindi, Heidegger non era nazista. In queste condizioni, il carattere antisemita di Heidegger significherebbe di per sé che non è stato un nazista. Chi stabilisce il primo termine stabilisce anche il secondo. O per dirla in un altro modo: credimus quia absurdum. Perché è proprio così che si prende definitivamente congedo da ogni logica presentabile.
Prendendo in considerazione l'onestà e il coraggio con cui questa ricerca del Graal apparentemente scomoda avviene sotto gli occhi del pubblico, come non notare che essa serve per fare da opportuno mantello di invisibilità per dimenticare tante constatazioni già fatte, come per esempio quella che il mondo intellettuale di Heidegger assomiglia ad un miscuglio effettivamente originale fra rappresentazioni del sangue e della terra, un desiderio di «rivoluzione nazionale», un gergo da funzionario trasfigurato in senso «autentico» e un'ontologia fornita dai padri della Chiesa. Finché riusciamo a verificare, mettere da parte, dosare e discutere la presenza dell’antisemitismo nel pensiero del maestro, questo albero isolato nasconderà tutta la foresta nera e bruna, che potrà farsi ancor più dimenticare.
Il dibattito su Heidegger sarà qui menzionato solo per mostrare il ruolo che l'antisemitismo può svolgere nella operazione di confondere l’opinione pubblica. E come una indagine che, considerata in modo superficiale, sembra coraggiosa e progressista può condurre esattamente nella direzione opposta: verso l'oscuramento di fatti ben più sgradevoli e fondamentali. In tale contesto non potrebbe sussistere un «appianamento», un «disvelamento» o ἀλήθεια.
In questo modo, la messa in discussione universalmente praticata e accettata dell’antisemitismo sfocia in una discolpa troppo rapida, governata da se stessa. Chi confesserebbe di essere antisemita? Non solo non è presentabile, ma la negazione di questo brutto difetto permette a basso costo o addirittura gratis di far parte della cricca di coloro a cui vengono riservati i microfoni e che sono autorizzati a formare l'opinione. Così come nessuno sa chi sia Paris Hilton, per quale ragione sia famosa, chiunque potrebbe acquisire notorietà proclamando pubblicamente di non essere antisemita. Chi parla correntemente il linguaggio dei media merita una ricompensa.
C'è un altro motivo per cui il concetto di "antisemitismo" non sfugge al rimprovero di diffondere il buio e non la luce. Perché la categoria dei semiti abbraccia sia la popolazione araba che quella ebraica. Questa ambiguità culmina nella controversia tragicomica che fa sì che in Francia esista una estrema destra che difende Israele e vorrebbe espellere subito ogni lavoratore arabo verso il suo paese d’origine (Marine Le Pen), ma anche un'altra variante, che invece simpatizza con la popolazione musulmana sognando di liberare il paese da tutti gli ebrei (Soral, Dieudonné). Di certo si possono trovare anche molti xenofobi che estendono fraternamente il loro odio ad entrambe le popolazioni contemporaneamente. L'unicità del capro espiatorio rimane casuale, per poco che provenga dalla stessa regione del mondo.
Domanda per i nostri lettori: i nazionalsocialisti sarebbero stati quindi simpatici e frequentabili se non fossero stati antisemiti (o piuttosto assassini di ebrei)? Questa domanda permette forse di valutare fino a che punto la focalizzazione esclusiva sull’odio per gli ebrei porti a peregrinazioni. Intendiamoci bene: non si tratta qui del fatto che la persecuzione degli ebrei sarebbe stata solo un «dettaglio», come ha affermato un giorno l’orribile Le Pen, ma si tratta di capire che solo i seguaci del nazionalsocialismo potevano in aggiunta odiare e uccidere gli ebrei (e gli zingari, gli omosessuali, i comunisti, ecc.) Questo spaventoso ritratto, bisogna prima di tutto poterselo permettere, di solito corona un tipo di carattere che è già irrimediabilmente frammentato, e che deve vendicarsi di questa frammentazione a scapito di qualcuno. L'ampiezza tra «nazionale» e «socialista» presente nel nazionalsocialismo è una tale frammentazione: una formazione mostruosa a cui si può sopravvivere, foss’anche temporaneamente, solo a spese altrui.
Facciamo un altro esempio.
Chi possiede attualmente una sorta di certificato automatico di assenza di antisemitismo? Lo Stato di Israele gode di questo privilegio fuori dal comune. Ogni individuo ed ogni entità collettiva nel mondo deve dimostrare che l'antisemitismo non li riguarda, e questa dimostrazione deve essere fatta di continuo, perché sembra che questa malattia colpisca all’improvviso. Ma è per ragioni per così dire ontologiche che lo Stato rappresentante tutti gli ebrei del mondo, in compenso, non corre questo pericolo. Eccolo pure sgravato da ogni obbligo di giustificarsi, quale che sia il contesto.
Questo certificato, stabilito nel suo nome e divenuto palese, apre contemporaneamente allo Stato di Israele possibilità che sarebbero altrove impensabili. Il sistema di apartheid istituito militarmente in Palestina, dove la popolazione civile è parcheggiata in township rigorosamente separate tra loro per vegetare, essere imprigionata e arbitrariamente bombardata, costituisce per il momento la misura più estrema adottata da una «politica» che può permettersi di ignorare puramente e semplicemente 226 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e 285 risoluzioni dell'Assemblea generale delle stesse Nazioni Unite, il tutto senza che nessuna sanzione venga adottata dall’ONU. A questo privilegio unico corrisponde la possibilità sistematicamente sfruttata di respingere qualsiasi critica della politica di Israele in quanto «antisemita», un rimprovero che fa retrocedere più di uno.
Parlare di privilegio non sembra denotare un'esagerazione. Certo, la shibboleth dell’antisemitismo non costituisce in alcun modo una spiegazione sufficiente né principale per una simile situazione, ma contribuisce a rafforzare la politica d’interesse praticata in e da Israele.
Nessuno pare aver notato che l'espressione di antisemitismo, per poco che abbia un significato, deve coprire e proteggere anche la popolazione palestinese. Questa ha in effetti la sventura di rimanere sulla soglia del concetto frainteso, fuori da un tempio che non la accoglie.
Come traspare in tali esempi, la shibboleth dell’antisemitismo si rivela uno strumento molto flessibile. Partendo dal ricordo di una mostruosità storica indubitabile, può trasformarsi in uno strumento che serve a giustificare tendenze generali che si oppongono quasi sempre alla libertà.
Nel suo libro La questione ebraica (1843), Karl Marx affermava: «l’emancipazione degli ebrei è in definitiva l'emancipazione dell'umanità dal giudaismo». Di una emancipazione degli ebrei, aveva profetizzato che essa non poteva realizzarsi senza un’integrazione senza riserve e illimitata degli ebrei in una umanità reale, ovvero liberata dalla tirannia del denaro. La persistenza ai giorni nostri dell’antisemitismo così come l'uso discutibile della sua critica ricordano entrambi questa profezia, e questi due fallimenti le danno ragione. «Siamo tutti ebrei tedeschi» dicevano nel 1968 i manifestanti che protestavano contro l'espulsione dalla Francia di Daniel Cohn-Bendit. Quei manifestanti non avevano idea di cosa sarebbe accaduto un giorno a questo leader studentesco (rumoroso sostenitore del liberalismo), ma protestavano contro una categoria che escludeva qualcuno dall’umanità e la loro intenzione era che ogni essere umano venisse rispettato in quanto umano. Non c’è alcun motivo per deviare da questa intenzione, tanto più che da mezzo secolo la politica dello Stato di Israele si contrappone con violenza contro di essa.
 
*  Il nostro elenco serve solo a dare una rappresentazione abbastanza vaga del fenomeno. Non può essere considerato esaustivo in quanto non considera tre serie di fattori che, tuttavia, non sono affatto trascurabili: a) in alcuni paesi i gruppi extraparlamentari hanno più peso dei partiti parlamentari (per esempio in Ukraina); b) d’altra parte i partiti classici di destra comprendono spesso correnti di estrema destra più importanti come i movimenti di estrema destra indipendenti (per esempio in Italia): c) esistono influenze di estrema destra o apertamente nazionalsocialiste sui governi, pur non presentandosi esplicitamente di destra (per esempio al Kremlino, influenzato da consiglieri tipo Aleksandr Dugin, ragion per cui Putin gode presso i partiti di estrema destra e i gruppi fascisti in Europa di una eccellente reputazione).
 
[da Les amis de Nemesis, 2014]