Grisélidis Réal
A ferro e fuoco
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Scrittrice, pittrice e prostituta — questa è stata Grisélidis Réal (1929-2005). Costretta a vendere il proprio corpo per dare da mangiare ai suoi due figli, farà di questa necessità una scelta di vita controcorrente, una sfida alle convenzioni sociali e alla moralità bigotta. A metà degli anni 70 entra in contatto in Francia con i movimenti di liberazione delle prostitute, diventandone una delle principali portavoce fino all’ultimo dei suoi giorni. «Una vecchia Puttana non cede le armi», scriveva Grisélidis Réal, ben sapendo che «l’onestà di una rivoluzione sta in questo: che sia senza quartiere».
De Profundis
I
In fondo
Proprio in fondo al ricordo
Marcisce la tua carcassa
Amore scorticato
Dai cani dell’ombra
Non si bara
Con la disperazione
Rode il cuore
Più lentamente
Di un cancro
Proprio in fondo all’inferno
Di solitudine
Nuda
Sotto l’acciaio degli sguardi
II
Mi getto alla notte
Come si getta un cadavere
In fondo ad un pozzo
Sfigurata
Da così tante urla
Da non essere più riconosciuta
La mia carne sarà ombra
Fra le pietre
La terra una carezza
Immensa
Sul mio sesso aperto
Alle labbra della notte
III
Tanti morsi
Mi hanno torturata
Tante bocche
Mi hanno sputato addosso
Non so più
Chi sono
Io
O voi
Bestie affamate
Sazie
Stravaccate
Sono nuda
Senza pelle e senza ossa
Avviluppata dai vostri desideri
Aggrappati al mio corpo
Bevete tutto il mio sangue
Fino all’alba
IV
Uomo del mio amore
Tu che mi hai trafitta
Con le tue parole
Taglienti
E violentata con i tuoi occhi di selce
Anche tu un giorno
Verrai scuoiato
Dall’avvoltoio dell’ombra
La tua gola verrà bucata
Il tuo petto schiacciato
Ogni tua viscera
Ti verrà strappata
La tua ultima ora
Si abbatterà sulla tua bocca
Soffocandoti con le sue piume
La MORTE
Quel vecchio uccello predatore
Piomberà su di te
Per nutrirsi del tuo respiro
E cavare i tuoi occhi verdi
V
Ho talmente amato il tuo corpo
Che sarà come un fiume
Frusciante nelle mie arterie
Ho talmente amato la fonte
Incantata di carezze
Bruciata dai miei baci
Che faceva sgorgare l’acqua viva
Dal tuo sesso
Nella mia bocca innamorata
Che non avrò più sete
Di un altro oceano
Che non sia il tuo sangue
E fame di un’altra carne
Che non sia la tua
Non sarò consumata
Da altro fuoco che non siano le tue mani
Che mi hanno incenerita
Nel deserto
Di notti disabitate
*
All’Assente
Scegli di offrire la morte
Un volto murato, prezioso
Il volto d’un folle e d’un dio
Che ritorna nell’inesorabile
La parte occulta del tuo corpo
Una maschera dura spossessata
Dall’usura delle apparenze
Le mani strette sull’assenza
Di carezze, di botte dimenticate
Di innumerevoli gesti perduti
Suggellati in un ultimo silenzio
Il volto dell’uomo amato
Color cenere e polvere
Riposa fra due rose, rosse
Come il sangue delle spose
D’un tempo sul povero giaciglio
Dove l’amore le tiene sveglie
Tu che fosti la nostra violenza
Le nostre follie, la nostra diversità
I nostri bambini, i nostri giovani anni
La nostra avventura, le nostre ferite
Uomo multiplo in segreto
Dileguatosi senza lasciar traccia
Se non le nostre fioche lacrime
Ritorna al tuo primo tragitto
Alla tua infanzia depredata
Al tuo sonno dissetato
Da tutto l’alcol che ti ha bruciato
Ritorna alla prima terra
Inseminata dai solchi
Dei tuoi sogni incompiuti
(2003)
*
Per Diane
Né la malattia, né la morte, né il disprezzo,
né la miserabile bassezza di quelli e quelle che ci giudicano ci distoglieranno dalla nostra essenza più preziosa, in noi sepolta sotto così tante sofferenze:
la nostra rabbia, le nostre speranze, il nostro amore folle per la vita, per i sogni e per le nostre folgoranti rivolte.
(2003)
*
Morte di una puttana
A Gabrielle Partenza
A tutte,
A noialtre
Seppellitemi nuda
Come sono venuta
Al mondo fuori dal ventre
Di mia madre ignota
Seppellitemi diritta
Senza denaro né vestiti
Senza gioielli né fronzoli
Senza trucchi né ornamenti
Senza veli senza anelli senza niente
Senza collane né orecchini d’oro fino
Senza rosso sulle labbra né nero sugli occhi
Col mio sguardo ormai chiuso
Voglio vedere il mondo che si stempera
Le stelle il sole cadere
La notte estendersi alla sua fonte
E sotterrarmi nella sua bocca
Muto l’ultimo giaciglio
Su cui stendermi infine solitaria
Come un diamante intriso di terra
Riposarmi dormire infine
Dormire dormire dormire dormire
Senza mai più pensare a niente
Morire morire morire morire
Per raggiungerti finalmente madre mia
E ritrovare nel tuo sorriso
L’innocenza che mi è mancata
Tutta una vita a cercarti
Trovarti per poterti perdere
E dirti che ti amavo.
(2005)
*
Confessione di una vecchia prostituta
Il mio elogio funebre, scritto la vigilia del giorno (o della notte) fatidica
Ascoltando musica (sud americana) e con del Chianti a portata di labbra. Innanzitutto, vi proibisco di piangere! Ridete, sì, sorridete, urlate, oppure tacete a questa evocazione di questa vita che fu la mia e che resterà, per sempre, sepolta… giunta l’ora. Sì, ho vissuto, e sono soprattutto crepata, molto prima del momento, di tutto: crepata di fame, dell’assenza di un padre, di una madre troppo severa e tuttavia troppo amorevole, crepata di tubercolosi, di fallimenti scolastici, di angoscia davanti alla polizia, di passeggiate notturne per trovare denaro, crepata d’amore (oh, i miei amori mancati, assassinati dalla morale, dalla sete immensa di mancanza dell’altro e di se stessi, mutilati dalla non conoscenza…). Sì; ho avuto quattro figli, per caso perché a quei tempi la pillola non esisteva, e sono rimasta gravida ben undici volte, e tutte le lacrime del mondo non resusciteranno quei poveri embrioni innocenti massacrati a colpi di aborto e di finti parti più o meno ufficiali e cruenti, l’ultimo in galera. Perdonatemi: il pianeta è già sovraffollato, 40.000 bambini muoiono ogni giorno di fame o di maltrattamenti, salvateli in nome di Dio!
Questo Dio a cui non credo più, ci sono troppi orrori, troppe guerre, troppi massacri… Io che ho 70 anni, che presto creperò per essere troppo crepata, o forse per aver troppo vissuto... Trent’anni di prostituzione segnano, logorano il corpo e l’anima e tuttavia ti danno un immenso amore per la vita, e di rispetto umano per le sofferenze dell’Altro, per la sua solitudine, per la sua disperazione di essere umano privo di donne e di tenerezza, per i suoi fallimenti che si uniscono ai vostri, e se esistesse l’Aldilà vorrei danzarvi su musiche zigane, bere fantastici alcolici e ritrovare i miei uomini, quelli che ho amato, quelli che ho odiato, aiutato, alleviato, desiato, aspettato, rifiutato, confortato e portato al di sopra di tutti i pregiudizi, i tabù, le ipocrisie di questa morale malata e disumana di cui io non sono crepata, da cui sono semplicemente evasa verso maggiori libertà a rischio della mia vita.
(1999)