Macchianera

La Macchina in noi

George Orwell
 
Noi
Evgenij Ivanovič Zamjatin
Voland, Roma 2013
 
Molti anni dopo averne sentito parlare, ho finalmente avuto tra le mani una copia di Noi di Zamjatin, una curiosità letteraria in quest'epoca di roghi di libri. Consultando Twenty-Five Years of Soviet Russian Literature di Gleb Struve, ho scoperto la sua storia: 

Zamjatin, morto a Parigi nel 1937, era un romanziere e critico russo che ha pubblicato un certo numero di opere sia prima che dopo la rivoluzione. Noi è stato scritto intorno al 1923 e, sebbene non si riferisca alla Russia, e non abbia nemmeno alcun legame diretto con la politica contemporanea — si tratta di un romanzo di fantasia ambientato nel ventiseiesimo secolo dopo Cristo — la sua pubblicazione è stata vietata perché ritenuto ideologicamente indesiderabile. Una copia del manoscritto ha potuto uscire dal paese e il libro è apparso tradotto in inglese, francese e ceco, mai in russo. La traduzione inglese è stata pubblicata negli Stati Uniti e non sono mai riuscito a procurarmene una copia; ma siccome il libro è disponibile nella sua versione francese, alla fine sono stato in grado di farmelo prestare. Per quanto io sia in grado di giudicare, non si tratta di un libro di prim'ordine, ma è di sicuro molto particolare ed è sorprendente che nessun editore inglese abbia preso l'iniziativa di ripubblicarlo.

La prima cosa che chiunque può notare in Noi è il fatto — credo mai sottolineato — che Aldous Huxley vi si sia in parte ispirato quando ha scritto Il Mondo Nuovo. Entrambi i libri trattano della rivolta dello spirito umano primitivo contro un mondo razionalizzato, meccanizzato e indolore, ed entrambe le storie si svolgono all’incirca fra seicento anni. L'atmosfera dei due libri è simile, descrivono approssimativamente lo stesso tipo di società, anche se quello di Huxley denota una minore coscienza politica ed è più influenzato dalle recenti teorie in materia di biologia e di psicologia.

Nel ventiseiesimo secolo, così come lo concepisce Zamjatin, gli abitanti di Utopia hanno perduto ogni individualità al punto d’essere identificati solo da numeri. Vivono in case di vetro (il libro è stato scritto prima dell'invenzione della televisione), il che consente ai membri della polizia politica, i «Guardiani», di sorvegliarli con maggiore facilità. Indossano tutti identiche uniformi ed un essere umano viene chiamato comunemente «numero» o «unif» (uniforme). Si nutrono di cibi sintetici e la loro distrazione abituale consiste nel camminare in file di quattro mentre l'inno dello Stato Unico viene diffuso attraverso altoparlanti. Periodicamente vengono autorizzati per un'ora (chiamata «ora del sesso») ad abbassare le tende dei loro appartamenti di vetro. Ovviamente il matrimonio non esiste, sebbene la vita sessuale non sembri essere del tutto promiscua. Per fare l'amore tutti possiedono una specie di taccuino di razionamento con biglietti rosa, e il partner con cui trascorrono una di queste ore sessuali autorizzate scrive il proprio nome sulla matrice. Lo Stato Unico è governato da un personaggio chiamato «il Benefattore», che viene rieletto ogni anno dall'intera popolazione, essendo il voto sempre unanime. Il principio-guida dello Stato è che la felicità e la libertà sono incompatibili. Nel Giardino dell'Eden l'uomo era felice, ma nella sua follia ha preteso la libertà e fu cacciato nel deserto. Ora, lo Stato Unico gli ha restituito la felicità privandolo della sua libertà.

Fin qui la somiglianza con Il Mondo Nuovo è impressionante. Ma, per quanto il libro di Zamjatin sia costruito meno bene — ha una trama piuttosto debole e discontinua, troppo complicata da riassumere — possiede una pertinenza politica che manca all'altro. Nel libro di Huxley il problema della «natura umana» è in un certo senso risolto, perché si suppone che attraverso il trattamento prenatale, le droghe e la suggestione ipnotica, si riesca a specializzare l'organismo umano in qualsiasi modo si voglia. Un lavoratore scientifico di alto livello è facile da produrre quanto un semi-deficiente Epsilon, e in entrambi i casi è facile superare le tracce degli istinti primitivi, come il sentimento materno o il desiderio di libertà. Allo stesso tempo non è chiaro il motivo per cui la società debba essere stratificata nel modo così rigoroso descritto. Lo scopo non è lo sfruttamento economico, ma nemmeno il desiderio di brutalizzare e dominare sembra esserne la spiegazione. Non c'è sete di potere, nessun sadismo, nessun tipo di violenza. Quelli che stanno al vertice non hanno una vera ragione per essere lì, e benché ognuno sia felice in maniera vacua, la vita è diventata così futile che è difficile credere che una simile società possa durare.

Nell'insieme il libro di Zamjatin è più vicino alla nostra situazione. Nonostante l'educazione e la vigilanza dei Guardiani, molti dei vecchi istinti non sono stati soffocati. Il narratore, D-503, che malgrado il suo talento d'ingegnere è una povera creatura conformista, una sorta di versione utopica del «Billy Brown della città di Londra»*, è costantemente inorridito dagli impulsi atavici che si impadroniscono di lui. Si innamora (il che ovviamente è un crimine) di una certa I-330 che fa parte di un movimento di resistenza clandestino e che riesce per un momento ad indurlo alla ribellione. Una volta scoppiata la rivolta, sembra che i nemici del Benefattore siano di fatto molto numerosi e che queste persone, oltre a complottare per rovesciare lo Stato, quando le loro tende si abbassano arrivano a concedersi vizi come il tabacco e l'alcol. Alla fine D-503 viene salvato dalle conseguenze della sua stessa follia. Le autorità annunciano di aver scoperto la causa dei recenti disordini: alcuni esseri umani soffrono di una malattia chiamata immaginazione. Il centro nervoso responsabile dell'immaginazione è ormai stato localizzato e la malattia potrà essere curata attraverso un trattamento con raggi X. D-503 si sottopone all'operazione, dopo di che gli è facile fare ciò che fin dall'inizio riteneva fosse suo dovere: denunciare i propri complici alla polizia. In tutta serenità assiste al supplizio di I-330, torturata con aria compressa sotto una campana d'aria:
 
Aggrappata forte ai braccioli della poltrona, mi osservava: mi ha osservato finché gli occhi non le si sono chiusi del tutto. Allora l’hanno tirata fuori, fatta riavere grazie a degli elettrodi e rimessa sotto la Campana. Ciò si è ripetuto per tre volte, ma costei non ha comunque detto una parola. Altri, condotti insieme a quella donna, si sono rivelati più onesti: molti di loro hanno iniziato a confessare dopo la prima volta. Domani tutti saliranno i gradini che portano alla Macchina del Benefattore.
 
La Macchina del Benefattore è la ghigliottina. Ci sono molte esecuzioni nell'Utopia di Zamjatin. Avvengono in pubblico, alla presenza del Benefattore, e sono accompagnate da odi trionfali recitate dai poeti ufficiali. Ovviamente la ghigliottina non è l'antico strumento rudimentale; si tratta di un modello molto sofisticato che liquida letteralmente la sua vittima, riducendola all'istante in una nuvola di fumo e in una pozza d'acqua limpida. Di fatto l'esecuzione è un sacrificio umano, e la scena che la descrive evoca deliberatamente l'atmosfera delle sinistre civiltà schiaviste dell'antichità. È questa comprensione intuitiva dell'aspetto irrazionale del totalitarismo — i sacrifici umani, la crudeltà considerata come un fine in sé, il culto di un capo cui si attribuiscono doti divine — a rendere il libro di Zamjatin superiore rispetto a quello di Huxley. 
È facile capire perché sia stata vietata la pubblicazione di questo libro. La seguente conversazione (che abbrevio un po') tra D-503 e I-330 sarebbe più che sufficiente per provocare i tagli della censura:
 
— Ma davvero non vi è chiaro? Ciò che state ordendo è una rivoluzione.
— Sì, una rivoluzione! Cosa c’è di insensato?
— È insensato perché una rivoluzione non può esserci. Perché la nostra — non sei tu a dirlo, ma io —, la nostra rivoluzione è stata l'ultima. E altre non ce ne possono essere! È risaputo. […]
— Mio caro: tu sei un matematico […] E dunque: dimmi qual è l'ultimo numero. […]
— Ma, I, è una cosa insensata. Dal momento che il numero dei numeri è infinito, come vuoi che faccia a dirti qual è l’ultimo?
— E io come vuoi che faccia a dirti qual è l’ultima rivoluzione?
 
Ci sono altri passaggi simili nel libro. Tuttavia è possibile che nella sua satira Zamjatin non intendesse prendere particolarmente di mira il regime sovietico. Avendo scritto il suo libro all'epoca della morte di Lenin egli non poteva pensare alla dittatura stalinista, e le condizioni della Russia nel 1923 erano tali che nessuno si sarebbe ribellato in base al fatto che la vita stava diventando troppo sicura e confortevole. Ciò che Zamjatin sembra prendere di mira non è un paese particolare, ma gli scopi impliciti della civiltà industriale. Non ho letto nessuno dei suoi altri libri, ma ho appreso tramite Gleb Struve che egli ha trascorso diversi anni in Inghilterra ed ha scritto alcune feroci satire sullo stile di vita inglese. Dalla lettura di Noi è evidente che ha una forte inclinazione per il primitivismo. Imprigionato dal governo zarista nel 1906, e poi dai bolscevichi nel 1922 nello stesso corridoio della stessa prigione, egli aveva motivo di aborrire i regimi politici sotto cui aveva vissuto. Ma il suo libro non è semplicemente l'espressione di una lamentela. È soprattutto uno studio della Macchina, quel genio che l'uomo ha lasciato insensatamente uscire dalla sua bottiglia in cui non riesce più a farlo rientrare. Questo è un libro a cui bisognerà prestare attenzione quando verrà pubblicato in inglese. 
 
[Tribune, 4 gennaio 1946]
 
* «Billy Brown of London Town» è il personaggio di un cartoon, disegnato da David Langdon, comparso durante la seconda guerra mondiale sui manifesti dei trasporti londinesi. I suoi tratti erano quelli di un uomo d’affari della City, in abito gessato, con bombetta ed ombrello (ndt).