Brulotti

Radici

Va di moda l’ostilità al multiculturalismo. Ogni giorno uomini politici e giornalisti denunciano quel che definiscono «il fallimento totale della società multiculturale». Per questo vogliono costringere i rifugiati e gli emigrati a «integrarsi» e ad interiorizzare «la lingua e la cultura italiana» (il governo ha anche pensato bene di diffondere uno spot televisivo che mostra quali stranieri siano ritenuti degni di vivere nel BelPaese: quelli che, mentre lavorano, canticchiano italiche melodie). Questi propositi sono ovviamente motivati dal razzismo di chi non è in grado di accettare l’Altro se non omologandolo. Ma ciò significa che, al nobile scopo di combattere il razzismo, dovremmo difendere il multiculturalismo?
L’ideologia multiculturalista rischia in effetti di dilagare nel campo di chi avversa il razzismo. Per arginare la feccia xenofoba, non si trova di meglio che sbandierare il riconoscimento della «diversità culturale» degli immigrati e auspicare il massimo rispetto per le altre «culture nazionali». I multiculturalisti pretendono che l’analisi delle abitudini e delle tradizioni altrui che entrano in contraddizione con i costumi dominanti locali venga effettuata a partire dal loro «contesto culturale», requisito ritenuto necessario per non scadere in una frettolosa condanna. Nel nome del «rispetto delle differenze», i multiculturalisti desiderano accordare agli immigrati un posto nella società italiana al fine di salvaguardarne la «cultura».
Nell’auspicare che vengano prese delle misure per aiutare gli immigrati sul terreno sociale ed economico, abbordano così il problema del razzismo. L’immagine positiva e ottimista del multiculturalismo dipende in gran parte proprio dalla sua disapprovazione del razzismo e delle tesi della destra estrema.
 
Comunità immaginarie
Nell’osservare la società, le lenti che usiamo determinano ciò che vediamo. A differenza di chi si interessa soprattutto dei rapporti di potere che devono essere combattuti, i multiculturalisti si preoccupano di salvaguardare il maggior numero possibile di «culture nazionali» differenti. Ma pensare in termini di «culture» e di «popoli» non costituisce ancora una scelta politica nazionalista? Al pari del nazionalismo, il multiculturalismo impedisce di prendere coscienza dei rapporti di potere che si stringono in seno ai «popoli» e impedisce di denunciare le pratiche oppressive presenti nelle «culture nazionali». In realtà, i «popoli» e le «culture nazionali» non sono che «comunità immaginarie», promosse da chi detiene il potere e si adopera per non perderlo. Le «culture nazionali» e le «società multiculturali» occupano un posto preponderante nella vita sociale e politica solo perché alcuni impiegano la propria energia a “salvare” queste «culture».
È a partire da tale ipotesi che ci si interessa di solito di immigrati e rifugiati. Si ritiene che questi uomini e queste donne si considerino anzitutto i rappresentanti di una «cultura nazionale» differente dalla “nostra”, avendo l’obbligo di trasmetterne una sola — e non diverse — ai loro figli. In una simile ottica, tutti i comportamenti degli immigrati risulterebbero determinati dalla «loro cultura». È così, ad esempio, che la «cultura marocchina» viene ritenuta responsabile di determinare il comportamento di giovani i cui genitori o nonni hanno lasciato da molti anni il Marocco. Allo stesso modo, si ritiene che gli immigrati aiutino in primo luogo i membri della «propria comunità culturale».
Ma gli immigrati e i rifugiati che consideravano la «cultura» del «proprio paese» troppo soffocante e che sono scappati per sfuggirne alla morsa, vengono incitati dai multiculturalisti ad aderire alla loro «cultura d’origine». Non a caso i governi riconoscono e finanziano le organizzazioni più conservatrici di immigrati, perché ritenute le più qualificate a rappresentare le «culture dei paesi d’origine». Le organizzazioni che difendono idee più progressiste non sono mai considerate abbastanza “autentiche” sul piano “culturale”. In questo modo si rafforzano i rapporti di potere all’interno delle comunità di immigrati, indebolendone le minoranze.
 
La Nuova Destra
Il più delle volte sinceramente ostili all’estrema destra, i multiculturalisti ne condividono l’idea di base secondo cui tutti i popoli siano determinati dalla «propria cultura» e questa appartenenza prevalga sugli altri fattori. La Nuova Destra e il multiculturalismo hanno dunque almeno un punto importante in comune: vedono il mondo come una enorme coperta variopinta composta, tipo un patchwork, da «culture assolutamente uniche». Secondo uno degli ideologi della destra radicale, Luc Pauwels, «dobbiamo lottare per preservare un mondo multiculturale il più diversificato possibile, accettando l’uguaglianza assoluta di tutte le culture. Nella visione multiculturalista, non c’è posto per i diritti universali dell’uomo come quelli della Rivoluzione francese. Al contrario, bisogna prendere coscienza che gli esseri umani sono predestinati — da fattori storici, geografici e di altro genere — a vivere in luoghi diversi, per far rispettare le loro tradizioni e i rituali e per utilizzare codici e linguaggi morali differenti». La divergenza più importante fra Luc Pauwels e i multiculturalisti è che, se questa ideologia reazionaria prende posizione a favore di un mondo multiculturale, è allo stesso tempo contraria ai paesi multiculturali. «Niente radici senza territorio, niente cultura senza radici. Private della loro base territoriale, tutte le identità rischiano d’essere assimilate e di scomparire», sostiene Pauwels. E la coesistenza di differenti «culture» in un paese porterebbe automaticamente, a suo dire, alla guerra civile o alla dittatura. La maggior parte dei multiculturalisti, viceversa, sono favorevoli a un dialogo fra le «culture nazionali» in ogni paese e ostili all’apartheid o al separatismo. La Nuova Destra vorrebbe promuovere la «cultura» di ciascuno, ma a causa del «diritto alla diversità» non vuole imporla con la forza ad altri «popoli». Secondo Pauwels, una simile politica rivelerebbe una sorta di «imperialismo culturale». Quanto ai multiculturalisti, si riferiscono assai di rado alla «propria cultura nazionale». Ma, evocando in maniera paternalista ed univoca le «minoranze etniche» e le «loro culture», definiscono implicitamente la loro «cultura nazionale» come un punto di partenza e un riferimento.
 
Un aiuto alla nostra economia!
Il multiculturalismo crea comunità separate, fondate su «culture» differenti. Un modello rivelatosi molto efficace per combattere ogni resistenza radicale. In molte società multiculturali, la divisione degli sfruttati avveniva secondo criteri identitari per cui ogni frazione veniva diretta dall’élite della propria comunità. 
Questo ha reso difficile tessere legami di solidarietà, oltre che allargare il tentativo di organizzarsi su basi autonome. Il multiculturalismo torna altrettanto utile per affrontare questioni come lo sfruttamento e l’esclusione dei lavoratori immigrati. I multiculturalisti sottolineano sempre fino a che punto gli immigrati e i rifugiati abbiano un ruolo positivo nella “nostra” economia e nella «vita culturale» locale. Con gli occhi umidi, narrano come sono bravi i muratori rumeni, le badanti coreane o gli operai ghanesi a costruire le “nostre” case, ad accudire ai “nostri” anziani, a far marciare le “nostre” fabbriche. Si interessano molto meno agli immigrati e ai rifugiati che non sanno rendersi utili alla “nostra” economia. Che non contino sul sostegno dei multiculturalisti, qualora vengano minacciati di essere espulsi. Pur protestando contro il razzismo dell’estrema destra, i multiculturalisti sono soliti tacere davanti al razzismo di Stato e alla macchina amministrativa che gestisce le espulsioni.
 
La svolta xenofoba
Oggi l’avanzata del razzismo di Stato, accompagnato dal montare dell’estrema destra, ha portato alcuni politici a rilasciare precise dichiarazioni contro il multiculturalismo. Il nazionalismo multiculturale del «a ciascun gruppo la propria cultura» deve per il momento cedere il passo ad un nazionalismo conservatore xenofobo, che si limita ad ammettere una parca integrazione forzata di immigrati. Lo Stato fa sempre più pressione affinché questi ultimi accettino e interiorizzino le norme e i valori conservatori e capitalisti, presentati come l’essenza della «cultura italiana». Un orientamento che va di pari passo col bisogno di trovare un capro espiatorio su cui scaricare la frustrazione e la rabbia per le difficoltà in cui versa il paese. Per lottare contro il razzismo non è necessario prendere le difese del multiculturalismo.
Non ha senso pensare in termini di «culture», di «popoli», o di altre invenzioni ideologiche in base alle quali classificare gli esseri umani. È del tutto inutile appellarsi al «dialogo fra le diverse culture» o alla «conservazione della cultura». Ogni cultura, così come ogni identità, è destinata a scomparire assieme alla civiltà che l’ha prodotta.
 
 
[Machete, n. 4, luglio 2009]