Brulotti

Ma sì, andiamo in Messico!

Stenko Razine [Luigi Galleani]
 

Tanto qui i sovversivi che ci stanno a fare? Oramai son tutti disoccupati. La libertà repubblicana sorride gloriosa ai cittadini redenti ed alle loro aspirazioni più temerarie. Tutte le libertà benedicono gloriose la libertà del pensiero, di parola, di stampa, di coalizione e le ossa di Jefferson fremon di gioia nella tomba obliata. È questa davvero la repubblica che egli aveva sognato ai figli ed ai nipoti, la grande repubblica che marcia antesignana di tutte le nazioni civili sull'erta luminosa della civiltà.
C'è bene ancora qualcuno che non vi crede...

Da San Francisco, ad esempio, i sovversivi, socialisti ed anarchici che sanno sotto la tempesta, senza transazioni umilianti e senza rinunce eviratrici, trovar la concordia dei propositi e dell'azione, protestano che nella grande repubblica in materia di libertà di pensiero si sta un po' peggio che nei feudi autocratici del Piccolo Padre e del Santo Sinodo.

E ricordano a coloro che al Messico e nella cosiddetta rivoluzione messicana vorrebbero comodamente scroccare la giornea del rivoluzionario che se proprio hanno la voglia ed il fegato di cimentarsi col nemico non debbono andar tanto lontano, perché è in agguato ad ogni svolto di via il nemico, libidinoso di tirannide, di violenza, di bestialità, e che se il loro non è rivoluzionarismo da parata non hanno che da gridar qui il loro diritto e la loro aspirazione che le randellate pioveranno giù più fitte assai della gragnuola.

Filippo Perrone e Pietro Galeandro per aver interpretata nel suo spirito e nella sua lettera la Costituzione ed avere, all'angolo di Green Street e di Grant Avenue, cercato di inculcare ai lavoratori di San Francisco il sentimento ed il criterio di una libertà meno ortodossa e meno
addomesticata, sono stati dai cosacchi della grande repubblica afferrati pel petto, bastonati di santa ragione, chiusi in guardina e condannati poi da un giudice compiacente a sanar l'oltraggio recato all'ordine pubblico con qualche decina di dollari di multa.

F. Rovaldi, Salvatore Monreal, Michele Centrone, A. Astand, N. Polella, A. Bohn e Filippo Perrone appena liberati dal carcere hanno ricominciato allo stesso posto la domenica successiva la loro propaganda pubblica ai lavoratori di San Francisco, non volendo persuadersi, gli ostinati, che a mezza dozzina di birri si debba consentire di sopprimere le guarentigie costituzionali la cui conquista è costata tanto sangue e tanti sacrifici. E la sbirraglia si è scagliata su di loro coi revolver per una mano, il randello per l'altra ed ha menato giù botte da orbi su tutti, poi i malconci ha fatto ruzzolar a calci nel ventre sul tavolaccio delle sue sentine obbrobriose.

Sono stati ancora processi e condanne, ma il giudice impressionato dalla tenacia sovversiva ha dovuto riconoscere che in San Francisco i cittadini hanno diritto di esporre liberamente al pubblico le loro opinioni, salvo sempre al magistrato di intervenire ove le opinioni espresse fossero meno rispettose della legge e della morale.

«Diritto che intanto bisogna rivendicare ogni giorno con aperta sfida ai lanzichenecchi della grande repubblica col rischio di ammende e di randellate egualmente generose», brontola punto persuaso, insieme coi sovversivi di San Francisco, il compagno Filippo Perrone.

Ma i lettori non sanno ancora che Filippo Perrone è un miserabile.

Ed i lettori hanno torto. Leggano l'Era Nuova di Paterson e Regeneracion di Los Angeles e si persuaderanno una volta per sempre che Filippo Perrone è davvero un miserabile perché in Messico è andato ad offrire, senza chieder nulla a nessuno, la sua giovinezza ed i suoi entusiasmi, e che eroi invece, anzi eroissimi, sono i cani di pagliaio che da Paterson e da Los Angeles abbaiano il leggendario armiamoci e partite! che ha sempre fatto l'impudenza e la fortuna dei poltroni della sesta giornata e degli sciacalli famelici di tutte le rivoluzioni.

Ancora un miserabile perché ancora un miscredente del liberalismo arruffone e ciurmadore è senza dubbio il compagno Jay Fox dell'Agitator di Home (Washington) il quale, a dispetto della Costituzione dello Stato di Washington per cui ogni cittadino può liberamente esporre, scrivere e stampare quel che pensa pur rimanendo responsabile di ogni abuso di questo suo riconosciuto diritto, si è visto sui primi del mese agguantato pel colletto e portato nelle carceri della Contea ritenendosi dai farisei di quello Stato che la sua propaganda tende ad ingenerare il discredito ed il disprezzo delle leggi; fu posto sotto cauzione di mille dollari e rinviato al giudizio della Corte.

Noi gli auguriamo di gran cuore dodici giurati sufficientemente gelosi della tradizione costituzionale da mandarlo assolto alla famiglia che egli adora, alle battaglie della libertà che sono il nobile bisogno della sua vita agitata ed operosa, ed incitiamo tutti i compagni, tutti gli spiriti liberi a stringersi in quest'ora ardua di prova intorno a lui, intorno al suo Agitator anche e soprattutto se dalla loro propaganda teorica avessero a dissentire. 
Ma qualunque sia l'esito della causa, la conclusione non muta.

La libertà di parola nella grande repubblica si sconta a randellate ed a multe.

La libertà di stampa si sconta colle manette, le carceri, i processi obliqui, le taglie esose.
 

Andiamo dunque in Messico! che qui il nostro compito è esaurito, tutte le libertà conquistate, consolidate tutte le guarantigie del diritto, e noi accidiosamente disoccupati.

Andiamo in Messico ad instaurare nel nome e per la gloria del Partito Liberale il regime di Libertà che abbiamo così splendidamente, così invulnerabilmente conquistato da questa parte della frontiera.

E per ovviare all'ingrata sorpresa che qualche peone intelligente di laggiù non abbia a ricacciarci a pedate fuor dei confini della sua patria gridandoci che ad agitar in cospetto dei famuli di Madero, di Reyes o di Diaz l'orifiamma sanguigno della libertà bisogna per lo meno non averlo prostituito o disertato qui ignobilmente, facciamo una buona volta i furbi, usiamo prudenza e giudizio, facciamo una tappa cauta a Paterson, a Spring Valley o, che è meglio ancora, a Los Angeles. Grideremo da là, senza muovere né un passo né un dito fuor dalla tiepida cuccia, alla folla dei gonzi e dei citrulli che bisogna far sacco e branda, armarsi dello spadone d'Orlando e passar corruschi la frontiera.

Senza passarla noi ben inteso, che del resto non rimarrebbe neanche un eroe sano a gridar miserabili! a coloro che tornerebbero dopo averci col loro zampino levate dal fuoco le castagne e le derlizie del programma liberale, ed a tessere dal pattume di tutte le vigliaccherie l'apoteosi dei poveri cristi morti colla fronte rivolta al nemico.

In Messico, in Messico, figlioli! Senza dimenticar, naturalmente, una buona tappa a Los Angeles finché almeno la bonaccia non sia tornata.

 
 
[Cronaca Sovversiva, anno IX, n. 38, 23/9/1911]