Brulotti

«Ma tu, sei antifascista sì o no?»

 
Quante volte mi sono sentito porre questa domanda! Ne ho perso il conto. E ogni volta che ho cercato di affrontare questa discussione sono sorti mille equivoci e incomprensioni. Il fascismo non è stato forse l’italica versione del male assoluto? Va da sé che l’antifascismo non può che rappresentare il bene assoluto, una virtù pubblica da esibire, da sbandierare in più di un’occasione. Guai a storcere il naso in sua presenza, a non mostrare la dovuta riverenza nei suoi confronti, a non tramandarne la gloriosa tradizione, si viene guardati con sospetto. Negare l’applauso all’antifascismo è sinonimo di losca ambiguità, se non peggio... 
Eppure, che la retorica antifascista sia arrivata al capolinea dovrebbe essere ormai chiaro a chiunque, soprattutto oggi che tutti si proclamano “antifascisti”. Tutti, perfino l’attuale presidente della Camera (sì, proprio lui, l’ex delfino del fucilatore di partigiani Almirante). Già. Ma è l’effetto della generale usura delle parole e del loro significato: il termine “fascista” è stato talmente usato ed abusato che ha finito per indicare tutto e il suo contrario. Praticamente niente. E allora, perché insistere a ricamarci sopra? 
Anzitutto, una precisazione. Tralasciando le elucubrazioni semantiche, sono antifascista sì o no? Sono nemico del fascismo, certo. Ma la definizione “antifascista” mi mette addosso un certo nervosismo. Me la sento troppo stretta, mi fa mancare l’aria. Io penso che l’antifascismo sia sì una virtù, ma di natura molto parziale. Appena si organizza e si vuol far passare per totalità, si trasforma in vizio. Per spiegarmi meglio, userò un’analogia. Voi credete in Dio? Io no, non credo in nessun essere supremo. Per cui considero con ostilità ogni religione, quale che sia, giacché tutte costruiscono il proprio potere sulla pretesa esistenza del fantasma divino. Sicuramente sono ateo. E questo fa di me al tempo stesso un anti-cristiano, un anti-musulmano, un anti-giudaico, eccetera.

Ma questi ultimi tratti sono per me secondari, mi appartengono pur non caratterizzandomi del tutto. Sono, per l’appunto, descrizioni parziali che prese singolarmente non esprimono appieno la mia totalità. Sono le classiche mezze verità che a furia di essere ripetute rischiano di diventare menzogne. Una dimostrazione? Mettiamo che qualche giovanotto occidentale mi avvicinasse e mi invitasse a partecipare ad una iniziativa anti-musulmana. Cosa dovrei fare, accettare? Non scherziamo. Sono anti-musulmano, è vero, ma mica solo questo. So bene che la lotta all’Islam attira orde di novelli crociati dalle camicie nere o verdi, per cui una proposta simile mi puzzerebbe troppo di integralismo cattolico. Allo stesso modo, se qualche giovanotto orientale mi avvicinasse e mi invitasse a partecipare ad una iniziativa anti-cristiana, ugualmente declinerei l’offerta. Sono anti-cristiano, lo ammetto, ma mica solo questo. Perciò non amo nemmeno la compagnia di chi fa della lotta alla Chiesa la propria guerra santa, mi puzza troppo di fondamentalismo islamico... Se dovessi quindi definirmi in base alle mie idee in merito alla religione, userei esclusivamente il termine ateo. Ogni altra definizione, per quanto in sé corretta, mi sembrerebbe troppo limitata, troppo vaga e ambigua. Ecco perché ogni iniziativa antireligiosa, per poter suscitare il mio interesse, deve manifestare chiaramente la sua contrarietà a qualsiasi religione. In questo modo si limitano le occasioni di incontro e i possibili contatti con altre esperienze? Ne sono consapevole. Ma di certi incontri e contatti, ne faccio volentieri a meno. 
Ecco, prendete questo ragionamento e trasportatelo dal Regno dei Cieli agli Stati della Terra. Il risultato non cambia. Io sono nemico del fascismo, ma sono anche nemico della democrazia. Tra il bastone e la carota, tra la tirannia dei pochi e la tirannia dei molti, non vedo grande differenza. Per me si tratta solo di forme particolari che lo Stato o chi per lui può assumere, a seconda delle circostanze e delle esigenze, per imporre l’esercizio della propria autorità. Ma chi vuole sottrarsi a questo dominio, perché considera che ogni forma di autorità sia la negazione della libertà, non può che rifiutarle entrambe con la stessa forza e determinazione. Per questo motivo non riesco ad apprezzare le iniziative antifasciste, così come non gradisco quelle antidemocratiche. Mi rendo conto che le prime sono frequentate per lo più da benintenzionati, mentre le seconde per lo più da malintenzionati. Ma le intenzioni, buone o cattive che siano, non dovrebbero imbavagliare mai lo spirito critico.
L’antifascismo resta comunque un ricettacolo di bolso democraticismo, come anche in passato hanno sostenuto tanti sovversivi. E come è stato ribadito puntualmente fino a non molto tempo fa, almeno finché il dilagare nel Bel Paese di aggressioni squadriste non ha consigliato di riesumarne di colpo la retorica. A quanto pare il culto della carogna non è redditizio solo con gli esseri umani, ma anche con le idee. Snobbato finché non c’erano neri-mazzieri all’orizzonte, l’antifascismo viene ora sbandierato per poter usufruire del suo effetto mobilitante. Un vessillo è un vessillo, serve per fare adunata. E se quello che prima veniva criticato funziona meglio, numericamente meglio, tanto vale nascondere e mettere sotto naftalina il proprio. La dignità, la coerenza, l’amor di sé... tutte belle cose, per carità, ma a chi volete che interessino? Come diceva con candore un putrido ex-ministro, «non bisogna confondere etica con politica». 
Invece io, testardo e ottuso, insisto e persisto nel pensare che la lotta contro il fascismo non vada affogata nel calderone antifascista, nelle cui torbide acque si diluirebbe fino a scomparire. Ciò non solo sarebbe nocivo dal punto di vista teorico, ma sul lungo periodo lo diventerebbe anche dal punto di vista pratico, una volta esauritasi l’illusione quantitativa. 
Gli squadristi che in questo periodo si stanno scatenando per le strade sono solo una escrescenza del mondo in cui viviamo, ne sono magari la parte più disgustosa e appariscente, ma nulla di più. È necessario difendersi dalle loro aggressioni, all’occasione cercare di neutralizzarli, però senza farne il nemico pubblico numero uno. Puntare i riflettori su di loro ottiene l’attenzione generale e scalda gli animi, si capisce, ma purtroppo permette anche di lasciar proliferare nell’ombra ciò che li circonda e li produce. Non penso si possa tacere su questo aspetto solo per amor di vicinato. Se tanti sovversivi non l’hanno fatto negli anni 20 e 30, quando il fascismo dominava e brutalizzava l’intero paese, perché dovremmo farlo noi oggi? 
 
«I fascisti veri e propri, col distintivo all’occhiello, sono relativamente pochi;
ma è la solidarietà, l’aiuto diretto e indiretto, la complicità mal dissimulata
di tutte le varie forze di conservazione sociale che li rende forti»
Luigi Fabbri 
 
 
[Machete, n. 3, 11/2008]