Brulotti

Alla radice delle idee

Democrazia e Anarchismo

Armando Borghi
 
Il momento che attraversiamo è dei più difficili. Momento di eccezione, si dice. Non saprei se la definizione sia poi tanto giusta. Cosa c'è infatti di meno eccezionale che la crisi, la reazione, l'imperialismo nel regime borghese?
È forse meno eccezionale il periodo di pacifismo sociale che non quello come l'attuale, per quasi tutta Europa, di disequilibrio, di frenesia autoritaria, di sconvolgimento?
In ogni modo acconciamoci pure a passar sopra a questo particolare. Ammettiamo che questo sia un periodo di eccezione. Domandiamoci allora subito: le idee devono subire una moratoria o un'inflazione (adottiamo un linguaggio... di moda) durante i periodi eccezionali?
Dico le idee: si intende le nostre idee.
È qui un problema di capitale importanza.
La moneta va soggetta alla necessità alla necessità della inflazione (ci si passi il linguaggio e la metafora), quando non ha dietro di sé un equivalente in oro; quando cioè rappresenta un abuso di fiducia. Allora è che il torchio gira o le scadenze dei prestiti statali sono dilazionate. Lo Stato si fa falso monetario.
Così avviene delle idee. Esse subiscono delle inflazioni, delle moratorie e delle revisioni, o delle sostituzioni nei tempi di crisi eccezionale. È il momento in cui le vecchie ideologie rappresentano una «inflazione», un arbitrio, un non-senso, una dottrina, direbbe Proudhon, per designare con ciò l'empirismo di quei dottrinari, che fanno astrazione dai fatti risultanti dall'azione.
Sorgono allora i revisionisti, i rettificatori, i novatori. La vecchia moneta ideologica, o piuttosto fraseologica, finisce col venire ritirata dalla circolazione (almeno per molti che prima le prestavano credito), per essere sostituita con moneta avente valore oro. L'oro è costituito in questo caso dalle risultanze di fatto emerse nelle lotte sociali delle re di eccezione, che hanno reso possibile l'accertamento sperimentale dei limiti di capacità progressiva o reazionaria, rivoluzionaria o controrivoluzionaria di istituti, di classi, di sottoclassi e di organi sussidiari della macchina statale.
È attraverso un processo continuo di revisione in tal senso che si arriva al socialismo ed all'anarchismo della prima Internazionale.
Notiamolo subito: tutte le novazioni che formarono l'insieme ideologico dell'anarchismo trovano i suoi migliori interpreti nei momenti che noi siamo usi chiamare eccezionali, e cioè nei momenti di reazione, di crisi... di fascismo.
È dopo la disfatta della rivoluzione del 1848 che il repubblicano socialista Proudhon lancia la prima volta l'ardimentosa definizione anarchia in faccia ad una democrazia traditrice della rivoluzione e di se stessa, e complice della reazione per la paura che le aveva messo nel sangue il sorgere del proletariato. È dopo la Comune, o anche come conseguenza degli esperimenti derivati da essa, che Bakunin concentra tutte le sue facoltà di critica e di condanna verso l'idea dello Stato rifugiatasi nelle ultime ideologie d'avanguardia. E non ricorderò agli assidui del Risveglio le magnifiche pagine di Arthur Arnould, già membro della Comune e pubblicate dopo il disastro comunardo. È nel periodo della sconfitta della rivoluzione democratica in tutta Europa e in pieno trionfo del boia e della forca (e non in senso metaforico) che Carlo Pisacane in Italia scrive quei Saggi sulla Rivoluzione che conterranno in germe tutte le enunciazioni teoriche, che sono state più tardi attribuite al... genio inventivo di Karl Marx, e nello stesso tempo conterranno le più splendide anticipazioni delle idee libertarie.
Le nostre idee sono dunque il frutto di una revisione. Sì, di una revisione compiuta da pensatori che erano uomini d'azione nello stesso tempo, i quali nell'azione per l'appunto sperimentarono l'insufficienza delle idee avanzate del loro tempo e la necessità di partire in guerra contro queste insufficienze che non potevano che essere causa di tradimenti e d'impotenza a vantaggio delle forze tenebrose della reazione. Insufficienza che noi crediamo s'indica meglio aggiungendo che non era solo di quantità, ma di qualità teoriche, dal che tutta una diversa direzione e profondità delle lotte relative e conseguenti.
Democratici avanzatissimi, i precursori nostri ripudiavano la democrazia nei suoi inganni e proprio verso di essa si cimentavano in polemiche che furono storiche e dalle quali si andava formando l'embrione delle idee nostre attuali. La maggiore possibilità di seduzione delle idee democratiche avanzate verso la parte avanzata del proletariato e dei rivoluzionari, se in linea di fatto testimoniava del rapporto, diciamo così, genealogico tra le idee di contrasto, in linea politica, e di necessità politica, obbligava i nostri precursori a puntare soprattutto sui loro avversari più prossimi le batterie delle loro vivaci e focose polemiche.
Ma riflettete bene su ciò: se una revisione, sperimentata nell'azione, compiuta da democratici avanzati e compiuta in tempi di eccezione, portò alla conclusione delle idee antistatali ed alla rottura del proletariato rivoluzionario colla borghesia radicale, anche la più avanzata, quale assurdo sarebbe di credere che oggi, proprio per servire l'azione e per non condannarsi all'inazione, si dovesse riattivare... il cordone ombelicale, congiungente ancora una parte della borghesia al proletariato rivoluzionario, quel cordone che, nascendo, e per non morire nascendo, il socialismo della prima maniera libertaria, l'anarchismo, inesorabilmente tagliò?
Naturalmente i precursori sono sovente un po' confusi. Ma ciò non può ingenerare confusione di sorta. Essi prima di tutto hanno, se ci si può esprimere così, più vite in una vita sola. A noi è stato possibile divenire anarchici a vent'anni. Le idee le trovammo già fatte e presentate nella loro interezza. Questo non poteva essere di Proudhon, di Bakunin, di tanti altri. I precursori quindi, che si sono trovati la loro strada da sé, in periodi i più dinamici della storia, saranno facilmente sofisticabili da chi voglia coglierli in questo piuttosto che in quest'altro periodo della loro esistenza. Qualcuno dei precursori persino non è riuscito ad uscire dalla nebulosa ed a purgarsi delle vecchie idee, mentre precisava e concretava le nuove. Così vediamo in Italia due dei primi propagatori del bakuninismo, il Fanelli ed il Friscia, essere nello stesso tempo deputati. Vediamo Bakunin partecipare ai Congressi di quella Lega della Pace e della Libertà, alla quale partecipano oggi uomini di governo, dame di lusso in vena di carità sociale, e snobs di molti partiti e di svariate specie...
I precursori hanno fatto molto e hanno enunciato determinati dati ideologici, i quali presentavano sotto aspetti nuovi i problemi sociali. Questo è l'essenziale di quanto noi dobbiamo prendere da essi. È questo infatti, solo questo, che delle dottrine dei precursori è stato poi sviluppato e amplificato nel corso degli anni dai migliori adepti.
Ma il fatto, su cui ho già molto insistito, che i nostri maestri siano sorti in periodo di eccezione, acquista oggi una importanza di primo ordine. Revisionismo all'inverso sarebbe dunque il nostro se volessimo giustificare nuove orientazioni coll'argomento che siamo in tempi eccezionali e che le idee, buonissime in tempi normali, devono trovare in questi tempi una applicazione degna... degli esempi dei nostri precursori.
Guardate il... cattivo esempio.
Le idee dell'astensionismo elettorale potrebbero essere rivedibili in tempi «eccezionali», come quelli elettorali! Argomento in appoggio: Friscia e Fanelli erano anarchici e deputati!
Le idee antimilitariste potrebbero essere rivedute in tempo di guerra! Esempio di un precursore: Pisacane era anarchico e colonnello!
Le idee della separazione dai partiti borghesi potrebbero essere rivedute in tempacci come questi, in cui anche partiti borghesi sono oppressi dal fascismo o da esso minacciati! Bakunin non fu forse socio della Lega della Pace e della Libertà?...
E si potrebbe continuare... nel precipizio!
Io sono di quelli che pensano che quelle idee le quali non vengono applicate e non sono applicabili che ai tempi normali sono della falsa moneta, che non ha dietro di sé il valore oro della prova sperimentale. La prova sperimentale invece degli avvenimenti rivoluzionari (tentati, mancanti o degenerati) e reazionari di questi ultimi anni non ha fatto che aggiungere una conferma alle ragioni per le quali i nostri precursori si separarono da ogni frazione borghese e prepararono a noi la bussola per il nostro orientamento.
 
Qui ancora una precisazione.
Quando parliamo di idee libertarie, noi vogliamo soprattutto riferirci alla applicazione nella vita e nella pratica delle nostre idee. Il che significa scelta di mezzi, adesione a certi mezzi, esclusione di certi altri, apprezzamento di certe forze, disprezzo o non apprezzamento di certe altre.
Per noi il fine è nel mezzo, o meglio il mezzo deve essere dedotto dal fine, e il fine risulta dal mezzo e deve dominarlo. Per l'uomo di governo o per il politicante il fine (dominare) può giustificare ogni porco mezzo. Per noi, lo ripetiamo, il fine deve suggerire il mezzo da adottare e quello da ripudiare in ogni circostanza, ma specialmente quando la gravità degli avvenimenti chiama alla prova l'efficacia dei rimedi e della resistenza di un dato movimento.
Non si è anarchici perché si ammette o magari si propaga la possibilità dell'abolizione del governo a un dato stadio dell'evoluzione umana. In tal senso si potrebbe essere in troppi, anche perché non essendo ben pericoloso, in sé e per sé, un simile concetto dell'evoluzione umana, ci potrebbe essere chi, attraverso questa innocente «previsione», fa passare con etichette rivoluzionarie delle mezze idee nei riguardi dei metodi dell'azione quotidiana, che è in fin dei conti quella che «cuoce» in un modo o nell'altro, o che... non cuoce affatto.
Si è parlamentaristi perché si accetta di fare il deputato, non importa se col retropensiero di... sabotare il parlamento.
Si è guerraiuoli perché si invoca la guerra, non importa se si invoca la guerra... antimilitarista.
Si è soldati perché ci si inquadra volontariamente in un esercito, non importa se... per la rivoluzione bolscevica o... democratica.
Si è rivoluzionari ed anarchici per la precisa posizione in cui (per quanto dipende dalla nostra volontà in condizioni di potere, per atto di volontà, rifiutare o accettare una cosa) ci si pone nella lotta, per i ceppi che si rompano nell'atto stesso di collocarci nella lotta, per i vincoli che si spezzano e si ripudiano, per l'indipendenza di fatto e non solo intenzionale in cui ci si sa mettere di fronte a classi e partiti autoritari.
Per questo io ripudio ogni revisionismo atto a creare delle valutazioni di eccezione nei confronti dei partiti e delle forme politiche che ci... promettono la salvezza dal fascismo, dopo aver realizzato la salvezza del fascismo dalla rivolta operaia.
E l'eccezione del momento... la dimentico io forse?
Ma allora quali e quante concessioni e raggrinzamenti teorici e pratici avrebbero dovuto sottoscrivere a vantaggio della democrazia, pur essa decaduta dal potere, i rivoluzionari dispersi e massacrati in Francia dopo il 1848 e nei primi anni del secondo Impero?
E dopo il disastro della Comune?
Quanta necessità, se ve ne fosse ora, quanta urgenza, allora, in quel nero periodo, di ridurre al minimo la portata delle idee?
Eppure è, lo ripetiamo, in quelle ore tristi e calamitose che i nostri precursori elaborano le verità su cui si appoggeranno tutte le idee rivoluzionarie del proletariato, anche contro i partiti borghesi delle classi estreme del loro tempo.
Pensate un po' quale maggiore aberrazione di un'idea estrema, dunque un'idea adatta ai periodi di eccezione e intesa a creare situazioni di eccezione (una rivoluzione lo è!) che in tempi eccezionali faccia eccezione a se stessa!...
Una revisione Proudhon la fa, quando dopo il 1848 scrive quelle pagine ardenti che costituiscono il suo libro La Rivoluzione sociale dimostrata attraverso il colpo di Stato, in cui si scaglia fra l'altro contro la dottrina dei partiti intermedi: «Ma perché – egli scrive – i repubblicani, adoratori del '93, si tennero nel '48 fuori del movimento? Perché compresero subito che la rivoluzione sociale è la negazione di ogni gerarchia politica ed economica e questo vuoto fa orrore ai loro pregiudizii di organizzazione, alle loro abitudini di governo. È che il loro spirito, arrestandosi alla superficie delle cose, non scoprendo sotto la nudità della forma il legame del nuovo ordine sociale, indietreggiano come davanti un abisso a quello spettacolo».
E Pisacane, nello stesso periodo di reazione, intraprenderà a polemizzare con Giuseppe Mazzini, che accuserà di moderazione e di vecchiume ideologico, e scriverà fra l'altro le famose parole: «Guai se la plebe contenta di vane promesse farà dipendere dall'altrui volere le proprie sorti. Essa vedrà molti di coloro che si dicono liberali, umili negli atti, larghi in promesse, con dolci parole adularla come costumano adulare i tiranni e carpirne i voti».
E guardate come era universale questa tendenza a proclamare la necessità della separazione del socialismo (e allora si sa che s'intendeva per socialismo) dalla democrazia borghese anche la più estrema.
A sua volta la Lega dei Comunisti scriveva nel marzo 1850 queste eloquenti parole: «Nel momento attuale in cui i democratici piccolo-borghesi sono dappertutto oppressi, essi predicano al proletariato unione o riconciliazione. Essi offrono la mano e tendono alla costituzione che abbracci tutte le gradazioni del partito democratico... Una tale unione sarebbe tutta a vantaggio della democrazia piccolo-borghese ed a svantaggio del proletariato. Il proletariato perderebbe la sua posizione indipendente, con tanta fatica conquistata, e discenderebbe ad appendice della democrazia ufficiale borghese. Questa unione dev'essere respinta nella maniera più energica. È vero che i democratici parlano delle esigenze della lotta contro il nemico comune, ma nel caso di una lotta contro un nemico comune non c'è bisogno di una speciale unione. Nei limiti in cui il nemico sia da combattere e gli interessi dei diversi partiti coincidano, subito una tale unione, come sinora è avvenuto, sarebbe un fatto spontaneo, senza bisogno d'accordi e compromessi».
Dove si vede che in analoghe situazioni eccezionali si è saputo veder giusto nella misura delle «coincidenze» e delle compromissioni*.
Andiamo alla radice delle idee e troveremo che esse sono tanto profonde e sane e solide da non farci temere dell'avvenire.
 
 
* Arturo Labriola, Il Socialismo contemporaneo. Si potrebbe osservare: Oh! Dei marxisti! Lo erano infatti quelli della Lega dei Comunisti, tanto che erano Marx ed Engels in persona. Ma non lo erano di certo Proudhon e Pisacane; d'altra parte, lo stesso Labriola s'incarica di documentare nel suo libro (capitolo La separazione del socialismo dalla democrazia) che gli uomini della Lega si mettevano già con tale attitudine in contraddizione col noto Manifesto dei Comunisti, e ciò perché l'influenza degli avvenimenti del '48 in Francia si faceva sentire e si faceva sentire sotto la formidable critica già anarchica di Proudhon.
 
 
[Il Risveglio, supplemento al n. 682 del 26 dicembre 1925,
supplemento al n. 683 del 9 gennaio 1926]