Brulotti

Monologhi infernali machiavellici

Maurice Joly
 
Machiavelli:
[…] Il mio solo crimine è stato quello di dire la verità a re e a popoli; non la verità morale, ma quella politica; non la verità nuda e cruda, ma quella per come si presenta e sempre si presenterà. Non sono io ad aver fondato la dottrina del Machiavellismo ma l’animo umano. Il Machiavellismo mi ha preceduto.
[…]
Ecco come formulo il mio sistema, e dubito che possiate scardinarlo, poiché è fatto solo di deduzioni di fatti morali e politici dalla verità eterna: il cattivo istinto nell’uomo prevale su quello buono. L’uomo è più portato al male che al bene; paura e forza hanno su di lui più imperio della ragione. Non mi fermo a dimostrare queste verità; voi potete disporre solo della scervellata combriccola del barone di Holbach, di cui Rousseau fu il gran sacerdote e Diderot l’apostolo, per poterle confutare. Tutti gli uomini aspirano al dominio, e non ce ne è stato uno che non sarebbe stato oppressore, se avesse potuto; tutti o quasi tutti sono pronti a sacrificare i diritti altrui per i propri interessi.
Cosa raffrena quegli animali famelici che sono gli uomini? All’origine delle società, c’è la forza bruta sfrenata; in seguito, venne la legge, cioè sempre la forza, disciplinata dalle regole. Voi conoscete tutte le fonti storiche; ovunque la forza ha preceduto il diritto.
La libertà politica è solo una mezza idea; la necessità di vivere è ciò che predomina sugli Stati e gli individui.
Sotto certe latitudini, in Europa, vivono popoli incapaci di moderarsi nell’uso delle libertà. Se la libertà ha libero corso, essa diviene licenza; sopravviene la guerra civile o sociale, lo Stato perisce, sia che si frazioni e disarticoli per effetto delle proprie convulsioni, sia che le divisioni lo rendano preda dello straniero. In simili condizioni, i popoli preferiscono il dispotismo all’anarchia; hanno forse torto?
Gli Stati, una volta costituiti, hanno due tipi di nemici: quelli interni e quelli esterni. Che armi useranno nella guerra contro gli stranieri? I due comandanti nemici si comunicheranno forse reciprocamente i propri piani di battaglia per potersi difendere reciprocamente? Si impediranno gli attacchi notturni, i tranelli, le imboscate, gli scontri impari? Niente affatto, vi pare? Simili combattenti si metterebbero a ridere. E questi tranelli, queste astuzie, tutta questa strategia indispensabile alla guerra, non desiderate adoperarla anche contro i nemici interni, contro i faziosi?
È vero che ci si impiegherà meno rigore ma, in fondo, le regole saranno le stesse. È forse possibile guidare con la semplice ragionevolezza delle masse violente che si muovono solo sotto l’impulso dei sentimenti, delle passioni e dei pregiudizi?
Che la direzione degli affari sia affidata ad un autocrate, a una oligarchia o al popolo stesso, nessuna guerra, nessun patteggiamento, nessuna riforma interna, potrà riuscire, senza l’intervento di quelle combinazioni che voi sembrate disapprovare, ma che sareste costretto ad usare voi pure se il re di Francia vi dovesse incaricare di qualche affare di Stato.
Rimprovero infantile quello che ha colpito il mio Trattato del Principe! Infatti la politica non ha nulla a che spartire con la morale. Avete mai visto un solo Stato reggersi con i principii che regolano la morale privata? Allora ogni guerra sarebbe un crimine, anche se fosse giusta; ogni conquista non avendo altro motore che la gloria, sarebbe un misfatto; ogni trattato in cui una potenza avesse fatto pendere dalla sua il piatto della bilancia, sarebbe un indegno sopruso; ogni usurpazione di un potere sovrano sarebbe un atto meritevole di morte. Nulla sarebbe legittimo se non ciò che è fondato sul diritto! Ma, ve lo dico fin d’ora, io li approvo, anche per ciò che concerne la storia contemporanea: tutti i poteri sovrani hanno avuto la forza come loro fondamento, oppure, ma è lo stesso, la negazione del diritto. Significa che li devo condannare? No; ma la considero una applicazione estremamente limitata, sia nei rapporti tra le nazioni che dei governanti con i governati.
Lo stesso termine Diritto, d’altronde, non trovate che sia di una assoluta inconsistenza? Dove comincia? Dove finisce?
[…]
Vedete bene che negli Stati il principio del diritto è dominato dal principio d’interesse, e ciò che ne consegue, è che il bene può derivare dal male; che si arriva al bene col male, così come si guarisce col veleno, come si salva la vita con la lama della spada. Mi sono preoccupato meno di ciò che è buono e morale e più di ciò che è utile e necessario; ho considerato le società per quello che sono e ho dato delle direttive in conseguenza.
Da un punto di vista teorico, la violenza e l’astuzia sono da considerarsi un male? Sì; purtuttavia li si dovrà impiegare per governare gli uomini, finché quest’ultimi non siano diventati degli angeli.
Tutto è buono o malvagio, secondo l’uso che se ne fa e il ricavo che se ne ottiene; il fine giustifica i mezzi: ed ora se mi chiedete perché, io in quanto repubblicano, do sempre la preferenza al governo assolutistico, vi risponderò che, essendo testimone nella mia patria dell’incostanza e del lassismo del popolaccio, del suo gusto innato per il servilismo, della sua incapacità a concepire e rispettare le condizioni che determinano una vita libera; si tratta ai miei occhi di una forza cieca che si dissolve presto o tardi, se non è in mano ad un uomo solo; affermo che il popolo, lasciato a se stesso, si autodistrugge; non saprà mai governare, né giudicare, né fare la guerra.
[…]
Il dispotismo per voi è sempre e solo quello delle forme caduche delle monarchie orientali, ma non è così che intendo; con le nuove società, bisogna adoperare nuovi metodi. Oggi per governare non è più questione di commettere iniquità violente, decapitazioni di nemici, spoliazioni di beni, incremento di condanne a morte; no, la morte, gli espropri e le torture possono avere solo un ruolo secondario nella politica interna degli stati moderni.
[…]
Oggi non è tanto questione di violentare gli esseri umani quanto disarmarli, incanalarne le passioni politiche più che sopprimerle, non combatterne gli istinti quanto sedurli, non vietarne le idee ma sostituirle con altre proprie.
[…]
Il principale segreto del governare consiste nel fiaccare la coscienza pubblica, fino a disinteressarla completamente delle idee e dei principii per i quali ha lottato. In ogni epoca, popoli e singoli si sono nutriti di parole. Quasi sempre le apparenze bastavano loro; non chiedevano altro. Si possono quindi creare delle istituzioni fittizie che rispondono ad un linguaggio e idee altrettanto fittizie; bisogna avere la capacità di rubare ai partiti questo frasario liberale, di cui si armano contro il governo. Bisogna rimpinzarne i popoli fino alla nausea, al disgusto. Si parla spesso al giorno d’oggi della potenza dell’opinione pubblica, ma io vi dimostrerò che le si può far esprimere quel che si vuole purché si conoscano bene gli espedienti nascosti del potere. Ma prima di pensare di poterla controllare, bisogna stordirla, disorientarla con contraddizioni evidenti, agire su di essa con incessanti diversivi, impressionarla con ogni sorta di diversivi, ingannarla nascostamente nelle sue azioni. Uno dei grandi segreti d’oggi è sapersi impadronire dei pregiudizi e delle passioni popolari, in modo da ingenerare confusione nei principii rendendo ogni intesa impossibile tra coloro che parlano lo stesso linguaggio e hanno gli stessi interessi.
[…]
lasciatemi prima dirvi sotto quali condizioni imprescindibili il Principe può sperare oggi di consolidare il suo potere.
Dovrà prima di tutto distruggere i partiti, dissolvere le forze collettive ovunque esse siano, paralizzando in tutte le sue manifestazioni l’iniziativa individuale; poi lo stato delle coscienze verrà da lui, e tutte le forze rammolliranno nella servitù. Il potere assoluto non sarà più un caso, ma sarà sentito come una necessità. Questi precetti politici non sono certo nuovi, ma, come vi dicevo, lo sono i modi di attuazione. Un gran numero di questi risultati si può ottenere con semplici disposizioni di polizia e ministeriali. Nelle vostre società così belle e ordinate, al posto di monarchi assoluti, voi avete intronizzato un mostro che si chiama Stato, nuovo Briareo le cui braccia si allungano per ogni dove, organismo colossale di tirannia alla cui ombra rinasce ognora il dispotismo. Ebbene, richiamandosi allo Stato, nulla sarà più facile che realizzare l’opera occulta di cui vi ho parlato poc’anzi, e forse i mezzi d’azione più efficaci saranno proprio quelli che si sarà capaci di ricalcare su quello stesso regime industriale che così tanto ammirate.
Grazie al solo potere amministrativo costituirei, per esempio, immensi monopoli finanziari, serbatoi della ricchezza pubblica, da cui far dipendere strettissimamente le sorti di tutti i patrimoni privati, i quali verrebbero fagocitati assieme al credito statale all’indomani di ogni catastrofe politica.
Se fossi capo di governo, tutti i miei editti, tutte le mie ordinanze tenderebbero sempre nella stessa direzione: indebolire le forze collettive e individuali; sviluppare a dismisura l’onnipresenza dello Stato, renderlo il sovrano protettore, promotore e rimuneratore.
Ecco per esempio un’altro mezzo ricalcato sul sistema industriale: attualmente l’aristocrazia, come forza politica, è scomparsa; ma la borghesia latifondista è ancora un pericoloso elemento di resistenza per i governi, poiché è sufficiente a se stessa; potrebbe essere necessario immiserirla se non rovinarla del tutto. Basterebbero a ciò degli aggravi fiscali sulla proprietà fondiaria, tenere l’agricoltura in una condizione di relativa inferiorità, anteponendole sempre e comunque il commercio e l’industria, ma specialmente le attività speculative.
[…]
Agli esteri bisogna eccitare, da un capo all’altro dell’Europa, quel fermento rivoluzionario che in casa si reprime. Ne derivano due vantaggi considerevoli: l’agitazione liberale all’esterno distoglie l’attenzione sulla repressione interna. Inoltre, si tengono a bada le stesse potenze estere, con le quali si può agire a piacere fomentando l’ordine o il disordine. Il punto fondamentale è quello di aggrovigliare mediante intrighi diplomatici tutti i fili della politica europea in modo da potersi destreggiare volta a volta con le singole potenze straniere. Non crediate che questa doppiezza, se ben condotta, possa rivolgersi contro un sovrano. Alessandro VI non tessé altro che inganni con i suoi negoziati diplomatici e tuttavia, riuscì sempre, tanto era astuto e capace.
Ma in quello che oggi chiamate linguaggio ufficiale, occorre invece una sorprendente chiarezza, con cui si potrà evitare di simulare un eccessivo spirito di lealtà e conciliazione; i popoli che non vedono se non le apparenze delle cose, attribuiranno al sovrano che così saprà comportarsi un’aureola di saggezza.
Ad ogni agitazione interna, si dovrà poter rispondere con una guerra esterna; ad ogni rivoluzione imminente, con una guerra generale; ma siccome, in politica, le parole non devono mai andare d’accordo con le azioni, bisogna che, in questi frangenti, il Principe sia abbastanza abile da dissimulare i suoi veri intenti con intenti opposti; deve sempre dare l’idea di cedere alla pressione dell’opinione pubblica quando compie ciò che la sua mano ha segretamente predisposto.
Per sintetizzare, la rivoluzione sarà tenuta a freno all’interno dello Stato, da una parte col terrore dell’anarchia, dall’altro con la bancarotta e, insieme, con la guerra totale.
Avrete già notato, con le succinte indicazioni che vi ho dato, quale ruolo importante l’arte della parola sia chiamata a svolgere nella politica moderna. Lungi da me, come vedrete, l’idea di trascurare la stampa, tanto che al bisogno saprei servirmi di quella tribuna; l’importante è che contro i propri avversari si adoperino tutte le armi che questi potrebbero usare contro di noi. Non pago di appoggiarmi alla forza violenta della democrazia, vorrei ricorrere alle migliori risorse messe in campo dalle sottigliezze del diritto. Quando si prendono decisioni che possono sembrare ingiuste o azzardate, è importante saperle enunciare nei termini adatti, argomentarle con parole dotte e appoggiarle con le migliori motivazioni della morale e del diritto.
Il potere che auspico, ben lungi, come vedete, da modi barbarici, deve attirare a sé tutte le forze e i talenti della cultura in cui alligna. Si dovrà circondare di pubblicisti, avvocati, giuristi, tecnici e amministratori, gente a conoscenza di tutti i segreti, di tutte le risorse della vita sociale, che parlano tutte le lingue, che hanno studiato l’uomo in tutte le sue sfaccettature. Bisogna arruolarli ovunque, non importa dove, poiché queste persone rendono dei servizi sbalorditivi grazie ai mezzi ingegnosi che applicano alla politica. Necessita, per ciò, tutto un mondo di economisti, banchieri, industriali, capitalisti, progettisti, milionari, poiché tutto, alla fine, si ridurrà a una questione di numeri.
Quanto alle cariche principali, alle principali suddivisioni del potere, si deve fare in modo di assegnarle a persone i cui precedenti e il cui carattere scavino un abisso tra loro e la gente comune, e ai quali si prospetta la morte o l’esilio in caso di cambio di governo, cosicché si trovino nella necessità di difendere sino all’ultimo respiro lo stato di fatto.
[…]
Negli Stati che furono monarchie, e lo furono tutti almeno una volta, ho notato che c’era una autentica frenesia per cordoni e nastri. Son cose che non costano quasi nulla al Principe che può rendere felici le persone, anzi renderle fedeli, grazie a qualche pezzo di stoffa, qualche decorazione d’oro o d’argento. Poco ci vorrebbe, invero, a decorare tutti quanti quelli che ne facessero richiesta. Un uomo decorato è un uomo conquistato. Farei di questi segni di distinzione un simbolo di fedeltà di chi mi è devoto; credo proprio che a quel prezzo avrei dalla mia i nove decimi del regno.
Realizzerei con ciò, per quanto possibile, le aspirazioni egualitarie della nazione. Notate bene: più una nazione nel suo complesso tiene all’uguaglianza, più i singoli hanno a cuore i segni di distinzione.
Sarebbe quindi uno strumento d’azione cui è sciocco non fare ricorso. Ben lungi dal rinunciare alle onorificenze, come mi consigliavate, le moltiplicherei assieme alle cariche. Voglio per la mia corte la stessa etichetta di Luigi XIV, la gerarchia di palazzo di Costantino, un severo formalismo diplomatico, un cerimoniale imponente; sono infallibili mezzi di governo per dominare le masse. Grazie a ciò, il sovrano appare come un dio.
Mi si dice che negli Stati apparentemente di idee più democratiche, la vecchia nobiltà monarchica non ha perso quasi nulla del suo prestigio. Mi prenderei come ciambellani i gentiluomini dei casati più antichi. Molti antichi nomi saranno senza dubbio estinti; grazie al mio potere sovrano, ne farei rivivere i titoli, al punto che a corte ci sarebbero di nuovo tutti i più grandi nomi storici dal tempo di Carlo Magno.
Queste idee vi potranno sembrare una bizzarria, ma voglio dirvi che rafforzeranno di più esse la mia dinastia che le migliori leggi. Il culto del Principe è una specie di religione e, come tutte le religioni possibili, questo culto impone contraddizioni e misteri impenetrabili alla ragione. Ogni mio atto, per inspiegabile che sia in apparenza, deriva da un calcolo il cui unico scopo è la mia salvaguardia e quella della mia dinastia. Come peraltro ho già scritto nel Trattato del Principe, ciò che è davvero difficile è prendere il potere; conservarlo è facile, poiché basta in definitiva proibire ciò che gli nuoce e permettere ciò che lo favorisce. Il tratto fondamentale della mia politica, come avete visto, è quello di rendermi indispensabile; ho distrutto tante forze organizzate quant’è stato necessario perché nulla più potesse funzionare senza di me, perché gli stessi nemici del mio potere tremassero al solo pensiero di rovesciarmi.
Ciò che ora mi rimane da fare è lo sviluppo dei mezzi morali che sono in germe nelle mie istituzioni. Il mio è un regno di piaceri; voi non mi negherete il diritto di rallegrare il popolo con giochi e feste; così addolcisco i costumi. Non possiamo nasconderci che quest’epoca non è un’epoca prospera; le necessità sono raddoppiate, il lusso rovina le famiglie; da ogni parte si aspira a godimenti materiali; bisognerebbe che il sovrano non appartenesse alla sua epoca per non volgere a suo vantaggio questo bisogno collettivo di denaro e questa passione dei sensi che consuma oggidì gli uomini. La miseria li stringe come in una morsa, la lussuria li opprime; l’ambizione li divora, e così li tengo in pugno. Ma se parlo in tal modo è perché ho a cuore l’interesse del mio popolo. Sì, dal male trarrei il bene; sfrutterei il materialismo a vantaggio della concordia e della civiltà; spegnerei le passioni politiche degli uomini placandone le ambizioni, i desideri e i bisogni. Pretenderò di avere al servizio del regno coloro che, nei governi precedenti, più hanno fatto per la libertà. Le virtù più compassate sono come quelle della moglie di Giocondo; basta raddoppiarne sempre il prezzo per farle crollare. Chi saprà resistere al denaro non saprà resistere agli onori e viceversa. Vedendo cadere a loro volta quelli che credevano essere i più puri, l’opinione pubblica si mortificherà a tal punto che finirà per non contare più nulla. Perché lamentarsi? Sarò rigoroso solo con chi si occuperà di politica; perseguiterò solo questo tipo di passione; le altre le favorirò anche nascostamente con i mille modi sotterranei di cui dispone l’assolutismo.
 
 
[Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu, 1864]