Miraggi

Bernard Vital

Georges Eekhoud
 
Come Jean Genet, nato orfano e cresciuto in una famiglia benestante, nutrì per tutta la vita un odio viscerale verso la società borghese che, fra le altre sue nefandezze, reprimeva anche la libertà in amore. Ma lo scrittore fiammingo Georges Eekhoud (1854-1927) non fu solo l’autore di uno dei primi romanzi esplicitamente omosessuali della storia della letteratura (quell’Escal-Vigor che lo fece finire alla sbarra del tribunale nel 1900, pochi anni dopo la condanna di Oscar Wilde), era anche antipatriottico, antimilitarista, anticapitalista e legato al movimento anarchico. L’intera sua opera è un canto al mondo dei marginali e dei paria, dei banditi e degli eretici, dei perversi e degli empi — a chi è condannato al patibolo dalla legge del Partito dell’Ordine. Il racconto che segue è tratto dalla seconda parte del suo Cycle Patibulaire, pubblicata nel 1895, nel fosco fin del secolo morente…
 
 
 
A Emilio Royer
 
 
Bernard Vital era stato ufficiale dell'esercito in un paese in cui l'iniquità sociale infierisce molto più insolentemente che altrove, e dove il popolo è stato in tal modo fin qui sfruttato, avvilito e calpestato da perdere ogni energia e perfino il sentimento della propria sventura.
Perciò appunto i padroni di questo buon popolo lodano ironicamente di continuo la sua saggezza ed il suo patriottismo. Sbalordito, inerte ed umile, esso smaltisce la sua stessa ignominia; senza vigore, incapace com'è di risentirsi sotto la puntura delle sanguisughe che aspirano l'ultima sua goccia di sangue.
Meglio che nell'esercito di questo paese il pensatore non avrebbe potuto aver agio di constatare a quale abiezioni può esser ridotta l'umanità, governata dagli oligarchi del terzo Stato. Quell'esercito aumenta ancora, per la sua composizione, la miseria e la degenerazione degli altri proletari; i poveri diavoli, che i genitori non hanno potuto strappare allo Stato, mercante di anime, vi si confondono con i gaglioffi o piuttosto i buoni a null'altro che ad esser soldati, mercenari che sostituiscono per danaro i giovani ricchi, i quali declinano volentieri l'onore di «servire la patria» (1).
Fra questa «perduta gente», come direbbe Dante, minata dalla miseria o avvizzita dal libertinaggio, spesso rovinata dall'una e dall'altro, si smarrisce e fuorvia qualche scervellato di buona famiglia, abbagliato dalle cianfrusaglie ed i colori accesi dell'uniforme, il fasto borioso dei trascinatori di sciabole, la fallace bravura di costoro, la loro vernice di lealtà ed emancipazione, e tutte le altre illusioni e gli orpelli del mestiere più deprimente che esista.
Collocata direttamente al disopra di questa massa dolente, si agita, bestemmia, e maltratta la genìa losca e brutale dei sottufficiali, la ciurma di tale ergastolo, tanto ingegnosi da riuscire a tosare ancora un armento già nudo; la maggior parte un po' concussionari e «mantenuti» nel vero senso della parola.
Al piano superiore vive il mondo, in generale un po' più stimabile, degli ufficiali, spesso istruiti ed educati, che hanno, per elevarsi un po' al di sopra delle azioni basse e da usurai, la preoccupazione dell'onore.
Bernard Vital, uno di questi ultimi, giunse ad essere luogotenente. Giovane di nobile carattere, amorevole, sognatore fino all'illusione, natura d'artista, egli immaginava, fino a che non aveva lasciata la scuola militare, che la carriera delle armi fosse l'unica aperta nel nostro tempo ad un galantuomo, desideroso di rimaner con le mani pulite da ogni sozzura.
Certo — in apparenza — essa offre maggiori garanzie di igiene morale che le altre, questa professione di guerriero moderno. Innanzi tutto, a differenza degli affamatori e finanzieri, i massacratori patentati non operano ormai che ogni dieci venti anni ed in una maniera molto spedita. Vi sono per i soldati lunghe stagioni morte, mentre l'industria e l'alta finanza non sono mai disoccupate e uccidono a fuoco lento più vittime che non la guerra in una qualche battaglia.
Ma, anche durante le lunghe tregue, l'ufficiale non può in coscienza essere tranquillo se non disinteressandosi dell'ambiente in cui vive; gli abbisogna, per non esser turbato nel virtuoso e rigido equilibrio, rintanarsi in un dovere abitudinario ed egoista, interdire ogni interesse, corazzarsi contro le sensazioni sgradevoli delle laidezze dei più bassi gradini della scala militare.
Certo, allora, come ed anche più che in un'altra professione, voi potete conservarvi, astrattamente, un onesto signore, una persona onorevole, e forse anche un uomo d'onore; conservando, s'intende, una certa neutralità fra la massa sistematicamente martirizzata ed i sistematici aguzzini che le succhiano fino la linfa che in lei sostituisce il sangue.
Che se lo spettacolo vi ripugna fino alla nausea, o potreste finir col derogare dalla vostra prudente regola di condotta, sarà meglio volgiate gli occhi da un altro lato, o meglio li chiudiate — sforzandovi di pensare a qualche altra cosa o di evocare (ve ne sono sempre!) qualche sorridente visione...
Ma Bernard Vital non apparteneva a questa specie d'uomini inerti «a Dio spiacenti ed a' nemici sui» che il sommo fiorentino, senza condannarli, relegava nel vestibolo dell'inferno. Gli mancava quella tale impassibilità di buon gusto, comune a molti suoi contemporanei benpensanti, che permette di trovare respirabile l'atmosfera di sudore e di sangue formata a noi d'intorno dalle sferze e le tenaglie di questo secolo molto industriale.
Vital pensava, paragonava, rifletteva troppo. La serietà degli studi e la castità della vita, la profonda intelligenza ed un cuor grande e ingenuo ne facevano un essere doppiamente impressionabile, sensibile all'eccesso.
Più d'una volta, in certe circostanze, egli dovette augurarsi il carattere scettico e, com'essi dicevano, da «me ne infischio» dei suoi compagni d'arme.
Finché, per molto tempo, dové studiare per gli esami per passare di grado, e i corsi che seguiva e le lezioni che imparava occupavano interamente la sua intelligenza, Bernard Vital visse nell'incoscienza dei problemi sociali, ben più gravi di quelli di matematica superiore. Ma il giorno in cui ebbe esaurito l'arido programma e fatto l'ultimo esame, si gettò con febbrile ardore nella lettura dei filosofi e pensatori rivoluzionari: Fourier, Dostoevskij, Bakunin, Reclus, Kropotkin, Tolstoi.
Trovava le teorie più violente legittimate da tutto quanto succedeva attorno a lui. Dappertutto regnava l'ipocrisia e l'impostura: la giustizia era fatta da magistrati prevaricatori, la religione non aveva più preti che credessero. In ogni dove la lettera aveva ucciso lo spirito!
E la caserma in cui viveva? Che scuola di demoralizzazione! Sani e vivaci giovanotti stavano abbandonati, spesso per interi lunghissimi giorni, in un ozio accidioso e nell'infingardaggine, in una promiscuità da cattivo convento, ogni occupazione intellettuale essendo sospetta ai superiori, veri atrofizzatori di cervelli.
Il tempo che i soldati non occupavano con le manovre o con le fatiche di caserma, lo passavano sdraiati sul letto a imbestialirsi in mille futilità e stupidi giochi indecenti. Quanti poveri diavoli, poi, malnutriti, derubati dai sottufficiali, tradotti per peccatucci irrisori innanzi a un Consiglio di guerra e corrotti dalla caserma, marciavano nelle casematte e nelle celle della casa di correzione!
Vital, che era stato sempre di un carattere timido e concentrato in se stesso, a lungo tacque e nascose la sua indignazione, irritato e scosso ogni volta di più dagli abusi che si commettevano attorno a lui. Ma in certi momenti, a mensa, la molle sciocchezza, i discorsi snervanti e l'egoismo ottimista degli ufficiali superiori lo facevano uscire dalla sua equanimità, e benché cercasse di attenuare la violenza di queste improvvise scappate, esse dicevano molto più che egli non volesse; poiché egli involontariamente dava loro una certa intonazione, che neppure al più sciocco avrebbe permesso d'ingannarsi. La ribellione fremeva nella sua voce strozzata, e le idee, mal contenute dalla cortesia delle parole, erano come un furioso alano che scuote la sua catena e morde il freno. Naturalmente queste «stravaganze» nuocevano al suo avanzamento.
Un giorno, dimenticò talmente la sua posizione ed il luogo in cui parlava, da pronunciare apertamente parole di condanna contro l'esercito — l'esercito che costituiva la loro ragione d'essere e che li nutriva.
Dopo aver fatto il quadro dell'abbrutimento della caserma e del regime militare in tempo di pace, si lasciò andare ad una superba filippica contro la guerra, questo «male necessario», come dicono i borghesi. Ne smascherò l'ignominia. Gioco d'azzardo per i politicanti mal ridotti, grande guadagno per i banchieri e gli speculatori! Si condanna l'assassinio individuale; ma intanto si glorifica con l'apoteosi il massacro di un popolo...
Ah!... queste guerre, attribuite dalla diplomazia alla sciocca fiaba della «ragion di Stato», imposte ai sovrani da non si sa quali occulte camarille, erano certo decise di comune accordo fra i despoti, compari e ladroni nel mercato finanziario, per salassare, sotto il manto del patriottismo e del vantaggio nazionale, i popoli divenuti troppo energici e riluttanti allo sfruttamento, e per sbarazzarsi della pletora imbarazzante dei poveri che minacciano di esigere dai ricchi il superfluo. Waterloo, lo schiacciamento dell'impero napoleonico, fu una miniera d'oro per Rothschild. L'eroismo della vecchia guardia, le ecatombi accumulate, tanto sangue generoso sparso dal Mediterraneo al Baltico, le epopee, le leggende titaniche, tutto, tutto non era servito ad altro che a riempire gli scrigni dei ventruti, perpetuamente deicidi!
Vital viveva precisamente in un tempo in cui gli animi erano molto preoccupati; in cui segni non equivoci, meteore isolate, in forma di sorde rivolte ed attentati impreveduti e violenti, forieri di sociali cataclismi, affacciavansi all'orizzonte. Impressionabile e riflessivo come egli era, divinava, sentiva per così dire la profonda angoscia universale. Da una parte i ben pasciuti e i soddisfatti, dall'intelligenza ed i sensi atrofizzati nella deboscia più stupida, grassi capponi torpidi; dall'altra parte i miserabili, non buoni che a far figlioli, in cerca d'una crosta di pane, senza tetto, senza speranze per l'indomani.
Vital era preso da una collera corrosiva allo spettacolo dei turpi gaudenti che passavano il tempo accanto a femmine stupide come oche, dispensatrici di voluttà bestiali, abbigliate oltraggiosamente, che secondo il loro stato nevrotico essi trattavano con una rozzezza e crudeltà da monomani, o con stupidaggine da cascamorti. Soprattutto egli soffriva nel pensare che agli occhi degli affamati e dei pezzenti, tale eccesso di piaceri brutali, l'abbondanza, il lusso insolente e chiassoso rappresentavano l'ideale, il massimo della felicità sperabile; soffriva nel sapere quei sinistri e ignobili buontemponi invidiati dagli onesti paria.
E ciò che lo esasperava, se era possibile, ancora di più era il dilettantismo di anarchia, l'affettazione umanitaria e perfino libertaria di certi bei signori in abito e sparato bianco, e di alcune dame al collo e le orecchie coperte di brillanti, assidui alle adunanze di propaganda rivoluzionaria, gomito a gomito con gli operai in camiciotto e le donne del popolo in gonnella e giubbetto di cotone. Ah! che ignobile bizantinismo! Vital attribuiva quel contatto, quella curiosità perversa, a non so quale innominabile eccitante, a quali punture di morfina, a quale eteromania. Uno strano bisogno da depravati!
Gli operai sedicenti socialisti, poi? Non appena giunti a un certo benessere ed a coprire qualche carica di pubbliche amministrazioni, eccoli adottare i costumi della classe supplantata. Tribuni virulenti, che condannavano la corruzione borghese, si lasciano abbindolare e invescare da tutte le donne di teatro e con esse vanno a cena nei saloni alla moda. Giornalisti pseudo riformatori e puri, si abbracciano a far la cronaca minuta delle più indecenti buffonerie da caffé-concerto e delle piroette chiassose delle ballerine. Divenuti saggi padri di famiglia, imborghesiti, vestiti come i padroni ed i commercianti più «rispettabili», pieni di sussiego, ostentando un falso lusso e scimmiottando i loro antichi sfruttatori, ispirano ai figli il disprezzo per i miserabili e gli straccioni.
Vital era dunque un ufficiale anormale, o per lo meno uno spostato fra la ciurma borghese. Mai egli infliggeva punizioni tali da prolungare per il colpevole il tempo del servizio militare e, a dispetto della disciplina e della gerarchia, più volte ebbe a rimproverare e castigare qualche bestione di sottufficiale, in difesa della semplice recluta.
I soldati adoravano questo bel giovane marziale, né millantatore né elegante, dalle parole rare ma armoniose come gli accenti d'una campana di festa, e dagli occhi bruni pieni di sogni.
La riflessione aveva scavato nella smorta bianchezza dell'ampia sua fronte una ruga, che sembrava una cicatrice — la cicatrice della profonda ferita in lui riaperta di continuo dal suo spirito refrattario.
Le settimane in cui era di servizio, egli camminava per ore ed ore, a lunghi passi, su e giù pel cortile della caserma, la fronte alta, lo sguardo rivolto al cielo, inseguendo al di là dei muraglioni e, senza dubbio, al di là di ben altri ostacoli e barriere, la visione d'un simbolico orizzonte.
Malgrado la bontà sua, Vital ispirava a tutti un po' di timore. Lo si vedeva sempre turbato, e si scorgevano in lui i segni d'una immensa afflizione morale. Ed infatti egli soffriva della malattia più straziante da cui si possa esser colpiti in questo periodo terribile di prepotenza egoistica: l'altruismo.
In mezzo agli ufficiali, soprattutto fra l'elemento giovane, c'erano nature generose e cavalleresche, storditi niente affatto intelligenti, ma almeno incapaci di meschinità e di furfanterie. Costoro stimavano Bernard Vital un originale, ma ne avevano una opinione non meno buona di quella dei suoi sottoposti; ed anzi, nei momenti di sincerità, quando il loro cuore era completamente libero, gli davano ragione o si sarebbero magari anche compromessi con lui. Da commilitoni leali, spesso prevenivano e allontanavano da lui le catastrofi che minacciavano di travolgerlo.
Attribuendo ad un bisogno di contraddire, ad un umore paradossale, a semplici capricci, gli apprezzamenti troppo arrischiati che egli si permetteva dinnanzi ai generali meno tolleranti, a sua insaputa, rimediavano a ciò che chiamavano le sue «stravaganze».
La rettitudine del suo carattere, la sua virile bontà, la cultura profonda, il prestigio d'una vita di pensiero continuo, tutto ciò li aveva conquistati.
Ma le cose un giorno o l'altro dovevano guastarsi.
Man mano che il malessere sociale e le crisi aumentavano, gli scandali divenivano sempre più frequenti.
Le dottrine socialiste penetravano nell'esercito; e benché Bernard si astenesse di contribuire alla loro propaganda, per scrupolo di commettere un abuso di confidenza ed un tradimento profittando del grado e della situazione di ufficiale per difendere le idee sue, pure non aspettava che una occasione per dimettersi e, libero alfine, attaccare lealmente faccia a faccia un regime di cui si sentiva sempre più nemico.
La sorte lo designò un giorno a far parte di un consiglio di guerra.
Era sotto processo un giovane brigadiere da lungo tempo perseguitato da un bruto di sottufficiale, un dissoluto di carattere e moralità deplorevoli, a carico del quale pesavano molto gravi accuse di indelicatezza, ma che nonostante era mantenuto nel suo grado, dandoglisi ogni anno una infornata di reclute, poveri novizi venuti dai campi, cui questo bel signore era incaricato di dare l'istruzione militare.
Quando la riprovazione ed il disprezzo facevano insostenibile la sua situazione in un ambiente che lo aveva giudicato a fondo, e troppi conoscevano le sue mariuolerie, i superiori si contentavano di cambiarlo di reggimento; ed il sottufficiale non tardava a rendersi odioso nel nuovo corpo come negli altri.
A quale cieca e potente protezione attribuire la longanimità di cui l'autorità militare faceva sfoggio a riguardo di questo cialtrone, un bellimbusto d'altronde, sempre vestito di uniformi fuori d'ordinanza, arricciato, impomatato, e coi mostacci incerati?
Alcuni dicevano che solo l'intervento d'una vecchia cocotte, influentissima Egeria d'una delle più grosse spalline del paese, della quale questo Adone era il patito, era riuscito a non farlo degradare e mettere alla porta. Il miserabile ne profittava per essere sempre più tiranno coi poveri diavoli sottoposti a lui, un corrotto che invece di investire d'un comando qualsiasi si sarebbe dovuto ridurre all'impotenza. Sentendosi disprezzato, abusava della sua autorità soprattutto sui giovani più onesti, la cui rettitudine, proba condotta, ed il sano candore erano per lui un rimprovero continuo ed una sfida.
Il giovane brigadiere tradotto dinnanzi al consiglio di guerra era stato in particolar modo segno alla brutalità, alla ruggine ed alle vessazioni di quella canaglia. Punito continuamente da costui, un giorno, esasperato, messo con le spalle al muro, aveva finito per applicare al suo carnefice un terribile pugno, di quei pugni che sono l'arma leale e naturale di un uomo libero! 
Il tristaccio ne fu per tre quarti intontito. Con la bava alla bocca e urlando, si rialzò infine, pieno l'animo di spirito di rappresaglia e di vendetta. Disgraziatamente per il brigadiere, v'erano stati dei testimoni a tale esecuzione; i quali, benché detestassero il sottufficiale, citati a testimoniare sotto giuramento, piuttosto che spergiurare raccontarono la scena, non senza insistere però sulla ingiuria suprema che aveva fatto uscir di sé il loro compagno.
Malgrado la provocazione manifesta, l'affare era chiaro: la disciplina esigeva il castigo del ribelle, il delitto del quale comportava almeno l'internamento in una fortezza o a Vilvorde (2). I giudici, comunque la pensassero, dovevano su ciò dare ragione al militare rappresentante l'accusa.
Cinghiati, abbottonati nella loro uniforme, non avevano più, i giudici, diritto di essere umani: erano prima di tutto soldati! Pieni di compassione in fondo al cuore, scossi e commossi fino alle viscere, tale era la forza del pregiudizio militare, della loro abominevole ed iniqua ingiustizia, che entrando nella sala erano lo stesso decisi a condannare senz'altro il povero infelice.
Solo Vital, che alla notizia della scappata del giovane soldato aveva subito ostensibilmente prese le sue parti, era risoluto ad assolverlo, essendosi esattamente informato di tutta la vita menata dall'accusato fin dal giorno della sua incorporazione.
L'avvocato cominciò una difesa assolutamente goffa e inadatta. Mentre egli parlava, si vide Bernard Vital dar segni d'una viva impazienza, scarabocchiare febbrilmente con arabeschi la carta; e tutto ad un tratto, si assisté a questo spettacolo — certo inatteso per un tribunale, e più ancora per un consiglio di guerra — di un giudice che, in un superbo slancio d'eloquenza spontanea, sgorgato come sorgente pura, limpida e generosa da una roccia dirupata ed arida, prese le difese o, anzi, fece l'apologia del preteso delinquente.
Vital aveva tolta la parola all'avvocatuzzo di professione, ed il suo esordio era stato così fulmineo, così imperioso nella sua magnanimità, e d'una volata sentimentale così alta che quello, prima indeciso, poi soggiogato, tacque e sedette borbottando parole inintelligibili.
Gli ufficiali, suoi colleghi, avevano fatto un movimento per impedire a Vital di produrre uno scandalo così terribile o di compromettersi per sempre; ma anche essi erano stati sbalorditi dall'ammirabile suo entrare in argomento. Perfino il colonnello, che presiedeva il consiglio di guerra, non seppe risolversi a richiamarlo all'ordine ed imporgli silenzio!
Quale convinzione, quale santa e nobile ribellione di anima, palpitava, si accendeva nel suo discorso! e con qual voce vibrante e appassionata lo improvvisava! le sue parole entusiaste, evangeliche, uscivano dal profondo del suo cuore come raggi purificatori dal sole.
Le frasi veementi bruciavano e carezzavano volta a volta; talora esso gettavano come un fraterno balsamo sulle nostre piaghe sociali, e tal altra, quando esaminava qualcuna di queste piaghe minacciante i sintomi sinistri della cancrena, le stesse frasi diventavano inesorabili, violente, e corrodevano come acido e punte infuocate.
Lo si sarebbe detto, in certi momenti, Cristo rivolto agli umili adorati, alle donne, ed al buon ladrone; e in certi altri il medesimo sferzante con la frusta ed inseguente, con una torcia accesa al fulmine della collera celeste, i mercanti e i farisei del tempio...
Fu, la sua, una requisitoria formidabile contro la caserma, questo marcitoio di ogni energia, volontà e pudore. Ne disse l'atmosfera di fannullaggine, il sudiciume inveterato, il linguaggio sempre osceno e imprecativo: da un lato le minacce e gli insulti, dall'altro le maledizioni sorde e il digrignar di denti.
Svelò gli orrori di questa apparente disciplina, fatta di vigliaccherie e di compromessi degradanti. Parlò dei sottufficiali forzati ad accarezzare quei soldati che hanno scoperto i loro furti e le loro concussioni, delle reclute che si danno al ricatto o che profittano dell'assenza di testimoni per bastonare di santa ragione il bruto, che non potrà fornire la prova dell'agguato in cui cadde.
Il brigadiere tradotto innanzi al consiglio di guerra s'era arruolato all'uscir dal collegio. Suo padre, riammogliato, gli aveva dato una matrigna; e ciò gli rese la vita sì dura da fargli prendere in orrore la casa paterna e desiderare la vita del soldato. I genitori, impazienti di metterlo alla prova, gli avevano, per così dire, carpita la firma.
«Ah! com'è bella questa legge che regola l'arruolamento dei minorenni!» — disse Bernard Vital — «Come! voi attribuite a questo giovane l'età della ragione, mentre ha appena ventun anni? Per ammogliarsi prima d'ora gli occorre domandarne rispettosamente permesso ai genitori; ed anche se commette un delitto lo tenete per irresponsabile! se fa debiti non è obbligato a pagarli, e prima di ventun anni la sua firma non è valida mai.... Mai! tranne che in un caso, quello in cui vuol commettere la peggiore sciocchezza, attentare più che alla propria vita, ai diritti della sua coscienza, alla sua libertà e dignità di uomo!
Sì, voi permettete ad un fanciullo di quindici anni di legarsi una catena al piede, e vendersi per cinque anni ai vostri trascinatori di sciabola! Questo mercato che la legge dovrebbe vietare a tutti i costi, essa lo provoca invece e lo favorisce. È il solo caso in cui la firma d'un ragazzo è valida!
Ah! canaglia di Stato! tu speculi sulla debolezza ed innocenza di questo stordito, incantato forse dai colori smaglianti dell'uniforme, e dal fasto militare come una farfalla dalla fiamma d'un becco a gas — e poi osi parlare e rimproverare ad altri di traviare i minorenni e trascinarli alla crapula! Ciò, mentre sei tu che ti mostri il più vile ed il peggior corruttore, che fai una vera e propria compressione della giovinezza, che attiri con l'inganno nei bagni militari dei fanciulli ignoranti della vita, i quali neppur per un istante immaginano le turpitudini e i supplizi dei mercenari dell’esercito!
Lo Stato fa né più né meno che i negrieri e mercanti d’anime: esercita la tratta dei bianchi.
Non negate! La storia del giovane accusato che avete dinnanzi è particolarmente edificante... Egli per fuggire l'inferno in cui s'era tramutata la casa sua si rifugiò tra voi, e osi arruolò. Altrettanto avrebbe valso suicidarsi o firmare la propria condanna di morte.
Eccolo dunque ingaggiato: l'orrore è commesso. Egli è in trappola; voi lo tenete. Ma, non appena preso, il disgraziato si accorge dell'abiezione dell'ambiente in cui s'è introdotto o meglio, imprigionato. Non v'è più modo, però, di uscirne. Rassegnato e stoico, egli fa di necessità virtù; si distingue nell'istruzione militare e fa ciò che voi chiamate un buon servizio, tanto bene da ottenere in poco tempo e guadagnare i primi galloni.
Qui lo si aspetta al varco. Il nuovo brigadiere non ha ancora diciassette anni; e per inaugurare i suoi galloni non si trova altro di meglio che affidargli maliziosamente una spedizione molto marziale — veramente marziale, come vedrete!
Avviene spesso fra noi di dover organizzare — secondo il volere ministeriale — delle ispezioni nelle case di tolleranza frequentate da soldati.
Queste ispezioni sono, per dir così, intermezzi, divertimenti che servono a rompere la monotonia della vita di caserma. È una specie di sport e per divertirsi meglio gli amatori del genere scelgono di preferenza la domenica. In quel giorno, se il sottufficiale di guardia si annoia, ciò che gli avviene spesso, organizza qualcuna di tali cacce.
C'è proprio da divertirsi al disordine e al timor panico causato nei quartieri eccentrici dall'apparire dei soldati con l'armi in pugno: il baccano, le scalate, il fuggi fuggi, le corse e le cadute dei disgraziati sorpresi mezzo spogliati, e gli strilli delle donne ancora nude!
Tutto ciò, signori, col pretesto dell’igiene morale e fisica; ma la verità è che questi chiassi, queste cacce indecenti all'uomo provocano scandalo e non preservano né migliorano alcuno!
Orbene, sapete voi, in una certa domenica memorabile chi mai fu incaricato dal sott'ufficiale di guardia di comandare una di queste pattuglie di polizia dei costumi? Questo giovane, appunto, questo fanciullo che vi sta dinnanzi, e chi lo designò a quell'ufficio fu il faceto sottufficiale che oggi è il suo accusatore. Questo ragazzo dovette ubbidire, e mettersi alla testa dei soldati che andavano a stanare nei più ignobili lupanari altri soldati, corrotti completamente, miserabili viziosi e depravati fino al midollo delle ossa, libertini che non erano certo alle loro prime armi.
Con la scusa di correggere questi peccatori induriti, si insegnava la strada della corruzione e si mostrava lo spettacolo di certe ignominie ad un ragazzo di così tenera età! Ah! signori ufficiali, ecco di quali sudicerie noi ci rendiamo complici, quando abdichiamo la nostra autorità assoluta — una autorità iniqua sempre, anche se affidata a uomini d'onore — nelle mani di cinici malfattori, di arnesi sul genere di costui che perseguita l'odierno accusato; poiché, lo ripeto, è lui, l'accusatore, il querelante, quegli che affidava così graziosi incarichi all'accusato. Bisognava avvilire, abbassare allo stesso livello di questo svergognato un ragazzo ancora tanto onesto. Bisognava depravarlo, questo giovane nel viso del quale era ancora impresso il candore delle illusioni; bisognava dirozzarlo a tutti i costi ed al più presto, inoculare in lui il vizio prima che vi si svegliassero desideri di tenerezza, ed impedire forse per sempre la fioritura gioconda dell'amore nell'anima sua, profanandone il germe sacro e sublime nei peggiori carnai della prostituzione!
Molto bene, o signori! E forse ciò, io credo, che in caserma si dice fare un uomo! Ebbene, abbiatevi i miei complimenti! il vostro metodo è meraviglioso, ed è grazioso assai il diploma di virilità che voi rilasciate! 
Pure, questa volta, non è riuscita tale manovra, l'orrore e il disgusto della quale han ferito profondamente il giovanetto. Invece di attirarlo, il lupanare lo spaventava. Ma se egli non è corrotto e avvelenato completamente, anche nel sangue, potete vantarvene, non è certo per colpa vostra, amabile sottufficiale, allegro buontempone, delicato maestro in ruffianesimo!
Ed è per la sua fierezza ed il suo pudore che avete preso in odio ii povero giovane, questo simpatico refrattario alle vostre ignominie, a ciò che costituisce il piacere e la gloria della vostra vita, a tutto quanto rappresenta certo la vostra ragion d'essere, la vostra utilità, o sinistro fantoccio da parata, guerriero d'alcova! 
Da allora vi siete accanito contro di lui, e l'avete preso di mira; egli non faceva bene più nulla, ed era sempre preso in fallo e punito, e noi sappiamo tutti — non lo negate — come è facile nell'esercito trovare i motivi di punizione. Gli inquisitori d'una volta non erano più ingegnosi o raffinati nell'inventare i supplizi, che questi carnefici militari nell'inventare i loro motivi.
Ridotto agli estremi, stretto al muro, un giorno la pazienza scappò alla vittima. Voi, signori, sapete il resto».
Nella perorazione, dopo esaminato ciò che aveva dovuto soffrire nell'anima il preteso colpevole, prima di essere ridotto a tal punto — paragonata l'onesta e candida figura dell'accusato all'ignobile bruco in uniforme del suo accusatore — descrivendo quali torture e umiliazioni aveva dovuto subire per giungere ad arrischiare in un minuto la vita e sfidare la minaccia di anni ed anni di galera e compagnia di disciplina, Bernard Vital trovò accenti così perentori (fino a interrompersi, tanto le parole supplichevoli insieme a singhiozzi gli facevan nodo alla gola) che i giudici all'unanimità assolsero il soldato ribelle, contro ogni precedente, e malgrado lo prescrizioni e previsioni del codice militare.
Questo processo cagionò un grosso scandalo nel mondo giudiziario. Passato il primo momento di umanità, gli stessi ufficiali giudicanti s'impaurirono della propria giusta ma audace e sovversiva sentenza. L'auditore militare interpose appello; ma questa volta Bernard Vital non siedeva fra i giudici, e il suo protetto fu condannato a tre anni di reclusione.
Dopo qualche tempo scoppiò, in una certa località, uno sciopero. Gli avvenimenti precipitavano; gli scioperanti, spinti agli estremi, avevano già assaltate alcune di quelle geenne che sono gli stabilimenti industriali e minacciavano la vita dei padroni. Furono incendiati dei castelli, fuochi di gioia della rivincita operaia.
Allora, di laggiù, si richiese l'intervento dell'esercito. Bernard Vital comprese bene subito che avrebbe dovuto comandare il fuoco contro il popolo, contro disgraziati, cui, con tutta coscienza, dava mille volte ragione. Presentò perciò le sue dimissioni.
Naturalmente queste non furono accettate, ed anzi, per provocarlo e indurlo ad una aperta ribellione, lo mandarono telegraficamente sul teatro dello sciopero il giorno stesso in cui si prevedeva una suprema collisione coi ribelli.
Quivi, mentre sui soldati allineati in battaglia e colle armi in pugno piovevano scorie, carboni e selci, Bernard Vital non disse a mezza voce che queste semplici parole ai suoi uomini: «Se credessi uno di voi capace di tirare su quei disgraziati gli brucerei le cervella!».
Il generale comandò il fuoco; i colpi partirono, e cinque operai caddero. Ma la compagnia di Vital aveva tirato in aria.
La cosa fu notata; si seppe anche, per mezzo di spie, la consegna rivoluzionaria che egli aveva data ai suoi soldati. Si parlò di metterlo in stato d'accusa, trascinarlo avanti una corte marziale e passarlo per le armi; ma l'opinione pubblica, ormai desta, era già troppo eccitata contro i cosiddetti mantenitori dell'ordine. E poi i dibattimenti avrebbero dovuto essere pubblici e tutti si ricordavano il discorso pronunciato l’altra volta da Vital contro l’esercito in pieno consiglio di guerra.
Perciò, deliberarono di sbarazzarsene con meno chiasso, ma più sicuramente: il congedo gli fu accordato.
Ora bisognava ch'ei trovasse un altro impiego, si guadagnasse il pane. Qui, la società lo aspettava al varco! La sua storia s'era divulgata, ma confusamente, e contornata di calunnie. Tutte le porte gli furono chiuse sul viso.
Mancante di opportunismo, egli si disgustò poco a poco perfino degli apparenti suoi correligionari che una ondata della coscienza popolare aveva innalzati al potere. A quei parlamentari dell'ultima ora, un uomo energico della tempra di Vital riusciva antipatico più che agli stessi borghesi.
L’ex ufficiale conobbe ben tosto la miseria, e la più nera. Avrebbe potuto indirizzarsi, è vero, ai diseredati sul serio ed ai paria; in mezzo a costoro, suoi naturali fratelli, avrebbe senza dubbio trovata migliore accoglienza; ma, per quanto affamato o decaduto egli fosse, dimenticava la sua condizione, e la peggiore tortura per lui consisteva nello spettacolo di tante migliaia di sfruttati e di disoccupati ai quali avrebbe offerte le sue midolla a sfamarli ed il suo sangue per redimerli.
Nel cuor dell'inverno, in dicembre, mentre la marea della miseria saliva sempre più agitata e sinistra, egli prese una ultima risoluzione: avrebbe commesso un atto di giustizia e di dimostrazione solenne. Giacché gli avvertimenti ed i discorsi non bastavano, egli avrebbe predicato coi fatti e con l'esempio.
Non appena ebbe concepito questo pensiero, si munì di un apparecchio esplosivo, per confezionare il quale aveva utilizzate le sue profonde cognizioni di chimica; e, in un pomeriggio, salì alle tribune della Camera dei Deputati.
Con mano convulsa egli premeva la macchina esplosiva dissimulata in una tasca del pastrano.
Vide la sala malfatta col suo pubblico abituale, i deputati arruffoni, mulini di parole, intenti alle loro meschine procedure, voti di bilancio, crediti da accordare per costruzioni banali o ipotetiche. Si trattava di milioni, la cui polvere d’oro si appiccicava alle loro dita vischiose di sensali e di mediatori. Quei voti, di cui gli interessati erano già sicuri per averli comprati, passavano in mezzo alla disattenzione generale.
Vital guardò le tribune ed osservò i suoi vicini. Poco lontana da lui era seduta una donna, dall'aspetto buono e dolcissimo, insieme a tre fanciulli deliziosi! Ma egli si disse: «In quest'ora medesima, mille pescatori rischiano la vita sul mare e periscono forse per un salario irrisorio, mentre la fame pesa orribile sulle vedove e gli orfani loro! A quest'ora migliaia di minatori s'estenuano dalla fatica nelle miniere di carbon fossile, minacciati di morte dal grisou o di fame da diminuzioni di salario, mentre le loro donne e le figlie son ridotte a mendicare ed a prostituirsi! Costoro invece hanno dell'oro, hanno il danaro per ogni evenienza negli scrigni; vendono il proprio nome, si ripartiscono i dividendi a parte, cogli azionisti di cui son complici, spillano qualche cosa in tutti i bilanci, guadagnano sugli impieghi e le sinecure e, quando speculano alla Borsa, è la carne ed il sangue dei proletario che giocano al rialzo ed al ribasso».
E siccome la coscienza lo ammoniva: «Fra costoro possono anche esserci uomini onesti, buoni e compassionevoli come te!» — «Tanto peggio!» si rispondeva allora; «moriremo insieme. Se sono onesti hanno dovuto accorgersi da lungo tempo che dinnanzi alla inerzia ed all’egoismo dei ricchi ed anche dei piccoli proprietari, i mezzi pacifici e la conciliazione sono insufficienti, e che per edificare qualche cos’altro, bisogna sbarazzare il terreno di tutte le istituzioni false che lo ingombrano, le quali paralizzano e neutralizzano le forze migliori dell'umanità. Perfino la loro fisionomia è antipatica!» — continuava ad osservare Vital. «Quasi tutti questi legislatori hanno mangiato e bevuto più del loro appetito e della loro sete: così ventruti, essi rappresentano l'emanazione della putredine sociale, i mandatari della corruzione, gli eletti delle casseforti e della pecoraggine più sciocca: fotografano il parlamentarismo in ciò che ha di più odioso».
Nell'emiciclo un nuovo oratore sorgeva per parlare. Era un avvocato, bel parlatore, conosciuto nel mondo, pieno di spirito, che diceva arguzie a proposito di tutto ed ostentava senza convinzione opinioni e simpatie, di cui la sua condotta era la più flagrante smentita: — uno di quei falsi democratici, insomma, ai quali i nervi ed una sensibilità da civettuole avrebbe fatto ripugnar il contatto della gente che pure essi fanno mostra di amare o di difendere.
In quel momento, quel politicante alla moda, crivellava o lardellava di epigrammi un suo collega della parte opposta dell'altalena politica, con cui pure aveva poco prima desinato copiosamente, ridendo di un popolo così buono e facile ad esser tenuto a bada, nelle sue illusioni generose, dalle loro schermaglie da parata. Gli epicurei cicaloni dopo mangiato e bevuto, e le belle signore, tutte ben vestite, erano venuti alla Camera come ad una prima rappresentazione, ad una matinée artistica.
Il bravo oratore, maestro della retorica, sapeva la presenza delle sue ammiratrici; e di tempo in tempo, dopo un frizzo piccante o un grazioso periodo musicale, come un tenore favorito dei nobili abbonati dei primi palchi, volgeva uno sguardo obliquo, la mano sul cuore, verso le tribune riservate.
Suscitava allora un bisbiglio di approvazione, mormorii di estasi e di gioia, un arrovesciarsi indietro sulle poltrone delle graziose e svenevoli dilettanti, come alle note di una prima donna. Oh! quale nauseante commedia! E Vital pensava che fuori, ad una temperatura di dieci gradi sotto zero, un esercito di disoccupati, lividi, estenuati, intirrizziti dal freddo, straziati dalla fame, batteva in quel momento il selciato delle vie sontuose e trionfali della città babilonica del lusso, insieme ad un corteggio sterminato di donne smunte e scheletrite che spremevano a stento dal seno le ultime gocce di latte per i loro figli, maledetti prima di nascere.
Tutti costoro erano giunti la mattina, con un ultimo sforzo, venuti da una città industriale molto lontana a portare un memoriale al governo; avevano camminato tutta la notte sul gelo, a piedi nudi, come pellegrini della fame, più spaventevoli degli spettri delle danze macabre, mentre un concerto di voci fesse e rauche salmodiavano senza posa questo sinistro ritornello da litania: Pane! Pane!...
I deputati, invece di votare d'urgenza un credito di qualche milione per soccorrerli, di prendere il danaro non importa dove, magari anche di deliberare a tale scopo una nuova tassa nazionale, ritardavano il voto della semplice presa in considerazione della supplica di tutti quei miserabili — facevano fare anticamera alla loro agonia!
E perché? Per applaudire bizantinamente un civettone politico, per sentirlo scagliar frasi divertenti il mondo elegante, e permettergli di dire in un eccellente stile classico cose perfide e taglienti contro il governo.
Bernard Vital non esitò più. Li giudicò tutti, giudicò se stesso — e lanciò nell'emiciclo ciarliero e funesto, a piedi della tribuna da cui parlava l'impomatato legislatore, la bomba con la miccia accesa. Essa rimbalzò su un pilastro, scoppiò...
In mezzo al fumo opaco l'esplosivo fulminò — lampo o tuono confusi — e porpora di sangue spruzzò da mille ferite, prolungando d'un liquido rosso il rosso fluido del lampo vendicatore. Apparizioni spettrali, facce sconvolte quasi quanto quelle dei senza lavoro, emergevano da quella specie di nebbia soffocante!
Ed una detonazione giustiziera, al fracasso dei mobili o dei vetri infranti, delle pietre che crollavano, succedette un grido di terrore, seguito da un lamento, un rantolo lungo orribilmente modulato, ah! degno alfine di accordare con le litanie della Fame!
 
 
[Cycle Patibulaire, seconda serie, 1895]
 
 
(1) Nel Belgio, cui l'autore allude, la legge della coscrizione permetteva la sostituzione di un individuo all'altro nel servizio militare (NdT).
(2) Compagnia di disciplina nel Belgio.