Brulotti

Cosa diventa il progresso nelle mani dello Stato?

Jean-Pierre Baudet
 
Da secoli l'esistenza di un reddito era rigorosamente condizionata da un'attività laboriosa (sotto forma di salario) o dalla proprietà di un capitale (sotto forma di dividendi). Solo improbabili sognatori potevano immaginare di rompere un giorno con questa legge presunta eterna, poiché legata ad una supposta natura umana (già nella Bibbia, lavorare col sudore della fronte costituiva una maledizione immutabile fino alla fine dei tempi terreni).

Anche il servizio militare era un dovere imprescindibile per ogni individuo (maschio), e chi cercava di evitarlo veniva perseguito con la stessa severità usata con chi non lavorava: i primi venivano messi in prigione, mentre i secondi erano condannati a morire di fame.

Ma in verità la nostra epoca vede crollare un numero abbastanza elevato di «verità immutabili». Il servizio nazionale, per esempio, è improvvisamente scomparso nel 1996. L'allora presidente, Jacques Chirac, era diventato d’un tratto un convinto antimilitarista, un pacifista per passione, un liberatore più o meno libertario? Fatto sta che questa decisione era pressante, al punto d’essere presa nonostante il rapporto Seguin, commissionato dall'Assemblea Nazionale, e di fare a meno del «dibattito nazionale» inizialmente annunciato, come pure di ogni reale consultazione del Parlamento. La riforma, inizialmente affidata al ministro della Difesa Charles Millon, di destra (governo di Alain Juppé), viene finalmente completata (adozione di una legge nel 1997) dopo un cambio di maggioranza che imponeva un governo di sinistra, sotto la responsabilità di Lionel Jospin. 
Quindi: destra o sinistra poco importa, era assolutamente necessario che il progetto venisse adottato. Ogni volta che si trova un consenso simile, si può star certi di avere a che fare con motivi inconfessabili, che lo Stato preferisce tenere segreti. Tutt’a un tratto, tutti i pesanti discorsi moralistici, patriottici e statalisti che a partire dagli ultimi due secoli (1798) avevano trattato il servizio nazionale come il feticcio assolutamente tabù e indiscutibile, si sono zittiti all'istante, tutto ciò che era stato proclamato sacro è diventato così obsoleto che non andava più nemmeno ricordato. Il Disertore di Boris Vian sarebbe potuto diventare il nuovo inno nazionale, non senza qualche riluttanza (fortunatamente per questa simpatica canzone). Ma lungi dall'essere un fenomeno francese, la stessa riforma è stata adottata da vari paesi abolendo la coscrizione: così la Germania nel 2011, l'Australia nel 1972, il Belgio nel 1995, la Spagna nel 2001, gli Stati Uniti d'America nel 1973, l'Italia nel 2006, il Libano nel 2007, il Portogallo nel 1999, mentre il Regno Unito l'aveva già realizzata già nel 1957 (un paese in cui la coscrizione è esistita solo per un breve periodo di tempo e dove la professionalizzazione della cosa militare è una vecchia tradizione).

Che lo Stato si presenti come emancipatore solo al termine di un calcolo interessato di cui non svela gli aspetti principali, ecco cosa ci riporta al nostro vero soggetto. Perché all'improvviso, nell’insieme dello scacchiere politico, si sente parlare sempre più di un reddito universale e tutti si precipitano ormai a venderci la propria formula per questa ricetta miracolosa. I termini variano (reddito garantito, sussidio universale, reddito universale, reddito di base, reddito d'esistenza, reddito incondizionato, reddito sociale, reddito di vita, reddito di cittadinanza, rete di sicurezza), così come il contenuto, ma la parola ormai è su tutte le bocche.

Un tale colpo di scena (un reddito garantito a vita non collegato al lavoro) è presentato e percepito come l'audace espressione di uno Stato umanista, che vuole assegnare ad ognuno, in modo indistinto ed egualitario, dei mezzi di sussistenza, senza più imporre alcuna controparte. Un immenso progresso, ci viene detto, come mai si aveva l'audacia di immaginare: i più eterei non mancano di evocare un «reddito di esistenza». Eccoci finalmente riconosciuti, al di là di ogni sfruttamento, al di là pure di ogni prospettiva utilitarista. Mai visto. Per di più, lo Stato avrebbe all'improvviso i mezzi per attuare una politica così umanitaria!

Si può sperare che un annuncio del genere, così poco credibile, basterà a suscitare diffidenza da parte del pubblico. Si ha un bell’evocare in figure simboliche stimati personaggi come l'umanista Tommaso Moro, autore dell'Utopia, o il socialista Paul Lafargue, autore del Diritto alla pigrizia, o anche il più radicale degli utopisti, Charles Fourier; si ha un bell’affermare che questa rivoluzione sarebbe solo l’apice di una volontà democratica ed egualitaria; resta il fatto che a memoria di bipede ragionante mai si era visto lo Stato farci un regalo. E se questo onorevole progetto ha ottenuto il sostegno di Milton Friedman e dei think tank liberali come Génération Libre, è perché certi circoli influenti devono trovarvi il proprio vantaggio. Non siamo distanti dalla realtà. 
A questo reddito universale esistono già vari approcci, che vanno da una versione minimalista (un reddito di base) che sostituirebbe tutti i sussidi assegnati dallo Stato (assegni familiari, RSA, agevolazioni all’affitto) ad una versione massimalista (non solo il reddito universale sostituirebbe i suddetti sussidi, ma anche le indennità di disoccupazione, le pensioni dei pensionati e le indennità per i costi sanitari). La versione «massimalista» per lo Stato è ovviamente la versione minimalista per la popolazione, in altre parole quella che la impatta (l'impoverisce) di più, una autentica offensiva di massa. 
Oltre agli immigrati ed al terrorismo, possiamo pensare che le prossime elezioni faranno di questo problema un cavallo di battaglia. Non sono molto numerosi gli argomenti che possano ricordare che un tempo era possibile alimentare i sogni di trasformazione del mondo, argomenti che fanno sensazione, che potrebbero per una volta tagliar corto con la gestione pusillanime del quadro strutturale dell'alienazione dominante. Il triste e scialbo personale politico della nostra epoca darebbe la camicia pur di disporre di un vantaggio del genere, che di solito gli manca spietatamente – certo, a patto che si tratti di una mera illusione o, meglio ancora, di un calcolo occultato con discrezione.
A sinistra come a destra, questi furfanti matricolati rivelano solo a tratti che si tratta anche della sola misura che, secondo loro, potrebbe far fronte al vertiginoso aumento della disoccupazione nel corso della «rivoluzione» digitale del prossimo decennio, davanti a previsioni che annunciano una percentuale vicina al 50% della popolazione attiva senza impiego – cosa che, in un modo o nell'altro, significa un vero cambiamento della società. Non hanno altra ricetta. È il reddito universale, o la rivoluzione. Oppure, ovviamente, una economia di guerra.
[...]
Tutti i beneficiari, salariati, disoccupati e pensionati, saranno nelle mani dello Stato, dal momento che non saranno (o non saranno più) in possesso di un contratto di lavoro più o meno equamente remunerato, una proporzione che diminuirà costantemente e sempre più rapidamente. [...]

Insomma, si avvicina il momento in cui una società basata sul lavoro si smentisce da sé. Ha iniziato a crollare e quindi ha finito di convincere. La sfida per coloro che governano questi rapporti sociali a beneficio del capitale diventa ormai di mantenerli malgrado tutto. Il reddito universale si inserisce in questa prospettiva come un importante dispositivo strategico, in quanto falso superamento del lavoro obbligatorio. Congedare il lavoro per tutti, ma mantenere il lavoro per alcuni e la merce per tutti, ecco un quadratura del cerchio che può tradursi solo con un considerevole impoverimento per una maggioranza che dipenderà completamente dalla buona volontà dello Stato, quindi con un'apartheid sociale spinta all'estremo.
 
[2010]