Brulotti

Siamo stati noi, ma non siamo Stato noi

 
Siamo stati noi.

Siamo stati noi perché vogliamo gioire quando le Poste, parte della macchina delle deportazioni, vengono sabotate ardentemente.

Siamo stati noi perché vogliamo provare felicità incommensurabile quando dei prigionieri danno fuoco alla loro gabbia, che si chiami CPR o carcere.

Siamo stati noi perché vogliamo godere quando le sedi della Lega vengono attaccate come ad Ala e altrove, quando viene azzoppato un ingegnere della morte del nucleare e colpite le strutture di ricerca militare o quando saltano le sedi fasciste come a Firenze, compresa la mano e l'occhio di chi le protegge. Per questo non possiamo che provare complicità con tutte le pubblicazioni e le individualità anarchiche che vogliono attaccare questo mondo.

Questo noi, però, è null'altro che un arcipelago di individualità sovversive, una galassia di rapporti di affinità che informalmente si srotolano nelle relazioni intense che stringono tra coloro che si scoprono spinti da simile tensione rivoluzionaria. Non può infatti esistere un noi collettivo, come non possono esistere associazioni sovversive come le immaginano loro. Con buona pace di sbirri, giudici e magistrati.

«Nelle telefonate, nelle conversazioni, siamo riusciti anche a evidenziare una matrice ideologica molto forte, parlavano appunto anche di rivoluzione, di sovvertire l'ordine costituito» dice il Procuratore di Trento Raimondi. Ed è proprio questo che facciamo, sui nostri giornali, nelle strade, con le nostre azioni. Parliamo di rivoluzione, rivolta, sovversione. Parliamo della violenza necessaria a dare spazio ad un modo di esistere differente ed incompatibile con l'autorità e la sopraffazione: come disse un vecchio oste durante la rivoluzione spagnola, la gaiezza della rivoluzione si scontra con la serietà della guerra come una farfalla contro un carro armato. Così la nostra gioia armata sa assaporare la violenza come si sorseggia un buon vino, a cui non restare assuefatti per poterne cogliere ancora l'aroma di libertà. Dall'altra parte, invece, il deserto delle gerarchie istituzionalizza il massacro fondando il proprio ordine sul necessario monopolio della violenza da parte dello Stato.
Siamo stati noi, ma non siamo Stato noi. Un abisso etico ci separa. Quando il presidente della provincia di Trento Fugatti dichiara che «la violenza contro persone, luoghi e [...] idee, va sempre respinta e contrastata con fermezza» non fa altro che riassumere ciò che quotidianamente tentano di fare, ognun* a modo proprio, coloro che si oppongono a questo mondo: contrastano con fermezza, e con la necessaria violenza il potere dello Stato, del Capitale e di un sistema tecnologico sempre più pervasivo.

«Il fatto che si ripetano episodi di violenza, il fatto che si inviti all'esercizio della violenza in modo pubblico e in modo clandestino, il fatto che in esecuzione di questi programmi si realizzino episodi di violenza, non può essere ritenuto da nessuno come una forma di dissenso o l'affermazione di idee sulla società, sulla vita, sulla politica, ma sono fatti gravi che devono essere contrastati efficacemente a livello nazionale.» osserva il procuratore aggiunto Romanelli. Eppure, finché saremo liberi, e per quel che riusciremo anche dalle patrie galere, continueremo a soffiare in quanto individualità sovversive sul fuoco dell'insubordinazione: invitando all'esercizio della violenza, allo sviluppo di mille progettualità rivoluzionarie, all'azione diretta. 
Per la liberazione, sempre a testa alta! Fuori tutt* dalle galere! 
 
[Frangenti, n. 36, 22/2/19]