Brulotti

Tartufi

Ci si lamenta spesso che la diffusione delle nuove tecnologie digitali ha modificato radicalmente in peggio il comportamento umano. Sono infatti sempre più numerosi gli studi che dimostrano come l’assalto ininterrotto al cervello umano da parte di un flusso indistinto di dati, suoni ed immagini stia provocando non pochi effetti deleteri quali la disorganizzazione del pensiero, la fuga dalla realtà, il crollo dell’empatia, il narcisismo sfrenato, la riduzione del linguaggio, la diminuzione della memoria, lo stordimento della coscienza…
Circondati come siamo da orde di zombi con lo smartphone in mano che vagano senza nemmeno vedere dove stanno andando, è difficile negarlo. Ma perché non ricordare anche qualche effetto positivo di questa grande mutazione cultural-antropologica? Un esempio? La scomparsa definitiva dell’ipocrisia come categoria morale!
Nell’antica Grecia l’hypokrités era l’attore che, servendosi di una maschera, simulava e rappresentava l’altro da sé. Non c’era dunque nulla di spregevole nella hypókrisis, questa ammirata capacità di entrare in scena e coinvolgere i presenti attraverso l’espressione di un sentimento in grado di rispondere alle circostanze, facendole riecheggiare, imitandole mimeticamente. Secondo Aristotele, la messinscena è innanzitutto kínesis: moto reale, derivante da azione e commozione, che comporta la sollecitazione dei sensi e dell’intelletto.
Il passaggio di significato dell’ipocrisia, da simulazione da palcoscenico (per stimolare negli altri il pensiero e le sensazioni) a simulazione di virtù (per ottenere dagli altri un riconoscimento immeritato), è stato introdotto dalla religione. Famosa è la maledizione lanciata da Gesù nel Vangelo secondo Matteo («Guai a voi, scribi e farisei ipocriti che siete simili a sepolcri imbiancati, belli di fuori, ma dentro pieni di ossa di morti e di ogni sporcizia»), molto meno famoso è il passo del trattato talmudico Sotah in cui si ammonisce che non bisogna temere i farisei o i non-farisei, ma «gli ipocriti che scimmiottano i farisei, perché i loro atti sono quelli di Zimri ma si aspettano una ricompensa come quella di Pinchas». Il termine «gli ipocriti» viene tradotto con tzevuʻin, letteralmente «i dipinti», «i colorati»: qui l’immagine non è tratta dal teatro, ma dalla cosmesi, riferendosi comunque a un trucco, ad un artificio diretto al conseguimento di effetti illusori.
Da allora, per millenni, con la parola ipocrisia si è inteso l’odioso atteggiamento di chi ostenta sentimenti, qualità, idee, che di fatto non possiede, al solo scopo di carpire il favore altrui. Ipocrita non è chi fa il contrario di ciò che pensa, che in sé potrebbe ridursi ad una innocua contraddizione personale, magari senza secondi fini, ma chi fa il contrario di ciò che pubblicamente sostiene con l’intento di ottenere un qualche riconoscimento. Non è involontaria mancanza di chiarezza nel modo di essere e nelle proprie azioni, è intenzionale mancanza di sincerità. Una ben nota definizione di ipocrisia è quella del «politico che abbatterebbe una sequoia e ne farebbe un palco sul quale pronunciare un discorso sulla conservazione della natura»: una parola, virtuosa perché espressa davanti al pubblico, smentita però dall’azione. Una discrepanza dovuta non ad incapacità o a debolezza, ma a mero calcolo. Più quella parola è virtuosa e roboante, più quel pubblico è incantato e numeroso, maggiore è quell’ipocrisia.
Ma se, a dispetto delle condanne e delle critiche che nel tempo le sono piovute addosso, l’ipocrisia si è diffusa nel mondo, è perché si è rivelata una formidabile strategia di adattamento, in grado, al pari della diplomazia, di aiutare l’essere umano a gestire la complessità delle relazioni sociali. Basti pensare all’ambito politico, laddove l’ipocrisia diviene una modalità persistente di relazionarsi con gli altri e con se stessi. Dentro i palazzi del potere, esiste forse un politico che non sia un simulatore interessato? Fra sfruttatori sostenitori dell’uguaglianza umana, devastatori ambientali sostenitori della natura, oppressori sostenitori della libertà, massacratori sostenitori dell’inviolabilità della vita, speculatori sostenitori del benessere per tutti, razzisti sostenitori del rispetto per le differenze... non c'è un solo politico che sia conseguente.
Tutti lo sanno, tutti li conoscono, eppure loro sono sempre lì, a governare e a impartire ordini. Se ne è fatta l'abitudine e ciò è dovuto solo in parte ad un fenomeno di assuefazione. Certo, la simulazione interessata è talmente insita nella politica da finire per risultare scontata, come se si trattasse di un tratto connaturato ed ineliminabile. Ma come non accorgersi che se oggi l’ipocrisia è talmente tollerata, se è riscontrabile pressoché dovunque, ciò è soprattutto una conseguenza diretta dell’ingresso nell’era digitale?
Ormai l’essere umano non è più al centro del mondo e non è più lui a circondarsi di protesi tecnologiche. Ora è la macchina ad essere al centro del mondo e l’essere umano è diventato la sua protesi. Non è la macchina a dover aiutare l’essere umano a vivere meglio, come hanno sempre preteso i cantori del progresso, è l’essere umano a dover aiutare la macchina a funzionare meglio. L'essere umano si deve in un certo senso adattare alla macchina, deve “pensare” come una macchina, deve “comportarsi” come una macchina. Perciò, nel momento in cui i dispositivi tecnologici bombardano l’essere umano con continui stimoli contrastanti ed intercambiabili, sollevandolo dal gravoso compito di conoscere e ricordare e riflettere e valutare e scegliere, va da sé che anche l’essere umano finisca col pensare e comportarsi in maniera contrastante ed intercambiabile. 
Ridotto ad androide funzionale alla compulsiva ricerca di gratificazione per la propria «performatività», l’essere umano del terzo millennio — ormai quasi del tutto privo di pensiero, di dignità, di coscienza, di storia — non può più essere sospettato di ipocrisia. La sua mutevolezza non è più definibile attraverso le caratteristiche del vizio umano dell’ipocrisia, quanto a quelle della qualità tecnica dell’adattabilità. L’incoerenza, la falsità, lo stesso tradimento, sono infatti tratti antiquatamente umani. Rimembranze di un passato lontano definitivamente superato. Meglio essere maneggevoli, pratici, multifunzionali. Ciò pone al di là di ogni possibile critica anche perché, quando una macchina presenta qualche problema di funzionamento, cosa si fa? Non la si critica, la si resetta, ovvero la si azzera riportandola allo stato iniziale. Una volta resettata, una macchina diventa come nuova, pronta per l’uso. Per l’essere umano accade lo stesso. Del suo pensiero, della sua azione, si apprezza solo il valore d'uso e, nel caso in cui sorga qualche conflitto, lo si resetta.
Questa mutazione sta avvenendo dovunque, in ogni ambito, senza incontrare troppa resistenza. Va da sé che ciò-che-non-viene-più-chiamato-ipocrisia non tenga banco solo in alto, nei salotti parlamentari, ma dilaghi oggi anche in basso, nelle piazze e in quella messinscena militante chiamata Movimento. Fra gli autoritari, fra coloro che hanno sempre sostenuto il primato della politica sull'etica, ovviamente è diventata moneta corrente. In Italia, chi non conosce quei baldi capipopolo che sono al tempo stesso compagni sia di galeotti sia dei magistrati che li hanno fatti marcire in galera, che sono al tempo stesso sia rivoluzionari che indicatori di polizia? In Francia, chi non conosce quei capiplebe che da un lato frequentano le ribalte mediatiche e dall’altro si scagliano contro chi concede interviste ai giornalisti, da un lato siedono nelle amministrazioni comunali e dall’altro sostengono l’ingovernabilità? 
Non vivendo purtroppo fuori dal mondo, anzi, incaponendosi a mettervi salde radici, anche molti nemici dell’autorità non fanno eccezione. Il che spiega come mai la tensione etica che un tempo li animava si sia man mano dissolta nel giro di pochi anni. A parte qualche nostalgico passatista, deriso e messo all’indice, chi volete che possa prendere davvero sul serio le parole pronunciate il secolo scorso da certi anarchici (i mezzi devono essere conseguenti ai fini), da certi surrealisti (non si può essere al tempo stesso poeti e ambasciatori), da certi situazionisti (non si combatte l’alienazione con mezzi alienati)? No, oggi anche i nemici dello Stato vogliono stare al mondo e ci tengono a dimostrare che si può e si deve al tempo stesso servire e sovvertire. Gli esempi, anche qui, non mancano. Basti pensare a quegli anarchici che si fanno un vero e proprio vanto di sapersi adeguare alla situazione, il cui anarchismo (un mezzo fra i tanti, senza più un fine) è talmente occasionale da variare a seconda dei giorni e delle notti. Oppure a chi, passato da un Comontismo alla luce di Debord e Vaneigem ad un Movimento 5 Stelle agli ordini di Grillo e Casaleggio, scrive una sobria introduzione di 192 pagine al primo volume che vorrebbe celebrare la sedicente Critica Radicale in Italia. 
Ma l’ultimo esempio in ordine cronologico, quello che in un certo senso li raccoglie tutti, lo fornisce l’imminente iniziativa che si terrà fra una settimana nel capoluogo piemontese, Librincontro, in dichiarata opposizione ad un Salone del Libro di Torino ritenuto «una delle vetrine più luccicanti della produzione culturale dell’industria nazionale... Un evento definito come successo culturale da chi realizza questi prodotti e si occupa del loro marketing per il turismo cittadino, per i suoi alberghi e ristoranti». Partendo dalla constatazione che in «Pochi s’interrogano se questa cultura, a parte soldi e turismo, contribuisce a migliorare la società, le facoltà individuali, il senso critico, la capacità di giudizio... Librincontro si muove in direzione opposta e contraria. Chi organizza e partecipa a questa manifestazione parte da altre premesse: quelle che vogliono la cultura lontana dal business editoriale e vicina a chi fa comunicazione libera e autogestita; senza proprietari né censure, capace di creare riflessione e dibattito». 
Se poi fra chi partecipa a Librincontro — autoritario o libertario che sia — c’è anche chi partecipa contemporaneamente al Salone del Libro (chi allo Stand M75 e chi allo Stand Q23, chi probabilmente non più allo Stand H40 né allo Stand F72 come l’anno scorso), o che forse non vi parteciperà quest’anno ma di sicuro vi ha partecipato nelle edizioni passate, o che ha partecipato pure all’istituzionale Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria di Roma Più libri più liberi (quella inaugurata l'anno scorso dal capo della polizia, che vi interviene un anno sì e l’altro pure, polizia per altro sempre presente col proprio stand), è perché non esiste più l’ipocrisia. Se poi fra chi partecipa a Librincontro c’è anche chi collabora con partiti o organizza dibattiti con magistrati o si è adoperato a trasformare i centri sociali occupati in imprese, è perché non esiste più l’ipocrisia. Se poi a Librincontro c’è anche chi fa da galoppino ad acclamati delatori, chi calunnia, chi millanta, chi si dissocia dagli atti di rivolta, chi specula su compagni suicidati, chi si detesta reciprocamente da decenni… è perché non esiste più l’ipocrisia. 
Clic, tutto resettato, tutto azzerato. Il ballo in maschera sulla messinscena di Movimento può cominciare: senso critico, riflessione e dibattito, senza censure ed in autogestione, all’insegna dell’eclettismo, dell’elasticità, della versatilità, della mancanza di dogmi e pregiudizi. Non sarà virtuoso, ma di certo è maneggevole, pratico, multifunzionale.
 
[5/5/19]