Brulotti

Lettera sul fronte unico

Paolo Schicchi
 
Né a scusare le vostre canagliate vale menomamente il pretesto del «fronte unico antifascista» collo scopo precipuo di abbattere il più presto possibile il teschio di morto. Lo so bene che voi venite fuori colla vecchia e rancida massima di tutti i ribaldi e di tutti i gesuiti: il fine giustifica i mezzi, che è anche un'insegna essenzialmente fascista. Ma nel caso vostro tale massima non regge nemmeno per delle ragioni semplicissime, che anche un caporale di deposito capirebbe.
Innanzitutto la qualificazione di «fronte unico» qui è sbagliata, trattandosi di vero e proprio «esercito unico» e non soltanto di fronte.
Ma passi pure il fronte unico. Questo presuppone, oltre il nemico comune, comunanza d'intenti e di mezzi, unità di metodo e di condotta, volontà unica, ecc. Ora tutti sanno che per molte ragioni nemmeno nell'ultima grande guerra fu possibile il fronte unico. Anzi può dirsi che fino all'ultima fase, non era stato possibile nemmeno dentro i confini della Francia; nella stessa guisa in cui non fu mai possibile in alcuna delle grandi guerre passate, per le stessissime ragioni.
Tu, che sei un grande storico e un grandissimo condottiero di tresca (tanto nomini nullum por elogium), leggi quello che scrisse Napoleone I sulla mancanza di fronte unico e anche d'affiatamento nella guerra dei Sette Anni; mancanza che permise a Federico il Grande di resistere a tante forze e a tante sconfitte. E sì che Laudon, Daun, ed altri generali di non comune valore, se avessero potuto, non avrebbero aspettato gl'incitamenti del tuo luogotenente per affiatarsi meglio e combattere più uniti. Alcune volte il criticare è facile, ma l'attuare è difficile, e spesso anche impossibile quando le circostanze di tempo e di luogo non lo consentono. E lo stesso Napoleone all’ultimo, quando gli venne meno anche suo cognato Gioacchino Murat, dovette provarlo a spese sue.
•Il caso tipico però l'abbiamo nelle invasioni barbariche, quando i vari eserciti e popoli barbari assalivano l'impero romano ognuno per conto proprio, nel medesimo tempo in cui essi stessi si combattevano e di frequente si annientavano a vicenda.
A questo punto tu potresti osservarmi che io esco fuor del seminato e che le mie disquisizioni d'arte militare c'entrano come i cavoli a merenda. Ma no, le stesse leggi dinamiche che regolano le mischie del popoli all'esterno, regolano quelle dell'interno. Le stessissime. In quale rivoluzione del passato, anche delle più grandi, vi fu vero fronte unico tra i diversi ribelli e i vari partiti, se si eccettua e non sempre l'attimo improvviso, inaspettato e quasi fuggevole d'un primo assalto e d'un primo urto come la presa della Bastiglia? Dove? Quando? Sapresti dirmelo? Ti sfido a rispondere.
Nella gigantesca palingenesi cristiana fin dall'inizio le varie dottrine, congreghe, sette e chiese furono senza tregua in contrasto tra loro e si azzannarono come cani.
Nella rivoluzione della Riforma successe la stessissima cosa fino allo sterminio degli Anabattisti, predicato e mandato ad effetto dallo stesso Lutero. Erasmo, Melantone, Lutero ed altri ancora in cuor loro si odiavano cordialmente, mentre Calvino, a Ginevra, consegnava fraternamente al rogo Michele Serveto. E così via di seguito.
Durante tutto il corso della Rivoluzione Francese, eccetto che nella presa della Bastiglia, che fu gesta fulminea di tutto il popolo parigino, un partito non fu mai d'accordo con un altro, e sarebbe stato preso per un babbeo o per un pazzo chi avesse parlato di fronte unico, che non esistette mai neppure mentre i nemici irrompevano alle frontiere e marciavano a gran passi sulla capitale. E lo stesso può dirsi della Rivoluzione Russa.
Nelle rivoluzioni del Risorgimento italiano non si sapeva neanche che cosa fosse il fronte unico, e nessuno si sognò mai di parlarne. Dappertutto repubblicani contro monarchici, federalisti contro unitari, Mazzini contro Cavour, Giuseppe La Farina e Giorgio Pallavicino emissari di Cavour che vanno a brigare contro Garibaldi a Palermo e a Napoli, conservatori contro democratici, pensiero ghibellino contro pensiero guelfo, Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari contro Mazzini.