Miraggi

La gabbia

Quando nella città dove nacque e visse tutta la vita, Parigi, deflagrò la Comune, Lucien Descaves (1861-1949) aveva solo dieci anni. Quelle settimane in cui con occhi di bambino vide scomparire il vecchio mondo lo segnarono per sempre. Non solo ne divenne un esperto riconosciuto, oltre che esecutore testamentario di Gustave Lafrançais, ma in tutta la sua opera letteraria si respira quel medesimo vento di rivolta.
Il suo romanzo più celebre è Les Sous-offs, il cui contenuto ferocemente antimilitarista gli valse un processo in corte d'Assise.
Di Lucien Descaves – amico di Zo d'Axa, di Séverin, di Jean Grave, nonché collaboratore di Georges Darien – presentiamo un estratto di un suo atto teatrale (nella traduzione di Giuseppe Ciancabilla).
 
Lucien Descaves
 
ALBERTO - Dunque questa morte appare anche a te, come a me, assurda ed inutile? Il suicidio, così come lo comprendiamo noi, così come lo comprendono migliaia di disperati, è un atto oscuro che non ha alcun valore sociale. A chi diamo fastidio uccidendoci, noi, qui? A nessuno.
MADDALENA - Tu scordi la proprietaria, sulla cui casa noi gettiamo un discredito passeggero...
ALBERTO (animandosi) - Passeggero, ma eloquente e suscettibile, se si ripetesse, di mettere alla gogna questa donna implacabile.
MADDALENA - Dove vuoi andare a concludere?
ALBERTO - Al significato sociale che potrebbero acquisire dei suicidi contemporanei che accadessero, per esempio, al parlamento, dove si fabbricano le leggi che ci opprimono; al palazzo di giustizia, dove le si applicano; alla borsa, dove si organizza il grande furto del benessere dei poveri, infischiandosi delle leggi; alla caserma, dove queste leggi trovano la loro difesa. Come il fatto di cronaca cambia subito aspetto, e prende proporzioni più vaste! Tanto più che non sarebbe necessario pei poveri un grande sforzo di mente e di discernimento, per saper circondare la loro morte dalle circostanze più adatte a renderla istruttiva.
MADDALENA - Capisco; tu vuoi alludere al suicidio, che si riferisce apertamente alle ragioni che lo determinano nella società.
ALBERTO - Precisamente. E mi par di vedere le regge dei soddisfatti, dei ricchi e dei padroni, tutte le località dove il denaro affluisce, essere ogni giorno turbate dai miserabili che scrivessero col loro sangue, sui marmi, sulle mura, sui mobili, sulle tende, la causa della loro stanchezza e della loro suprema rinunzia alla vita. Mi pare di vedere il vecchio, sfinito dal lavoro, che si uccide sulla soglia dell'asilo che non è fatto per lui; l'affamato che serve ai frequentatori dei restaurant di moda il piatto della sua agonia; e gli uffici delle congregazioni di carità e dell'assistenza pubblica, ridotti a metter fuori i morti, dopo aver scacciato i vivi!
MADDALENA - Comprendo. Che vuoi però? Il popolo demoralizzato non ragiona più. Tu gli attribuisci una forza di riflessione che richiede dell'energia, quell'energia ch'esso più non ha.
ALBERTO - Perdio! Ce ne vuol dunque tanta per saper conoscere l'autore, la causa della propria miseria, e indicarla agli altri?
MADDALENA - E quand'uno fosse nell'incertezza?
ALBERTO - Ma, nell'incertezza, che il povero si uccida sotto gli occhi d'un ricco qualunque, nella sua casa, o nei luoghi di piacere che frequenta. La ricchezza ed il lusso sono sempre colpevoli.
MADDALENA - Quello che mi piace in questo rosso terrore, è ch'esso rende impossibile, da parte dei governanti, il terror bianco della reazione, a meno che non si vogliano uccidere i morti!...
ALBERTO - Rosso, no; livido piuttosto, che dà a questa società moribonda lo spettacolo che le conviene, quello di una sfilata di moribondi. Basta coi suicidi vergognosi e senza spiegazione! Chiunque s'uccide per miseria non ha il diritto di nascondersi, per morire! Bisogna invece che il posto dove cadono i poveri sia marcato, sia conosciuto, segnalato, tremendamente rammentato, affinché i guastafeste della miseria vi si succedano gli uni agli altri, condotti dal contagio dell'esempio.
MADDALENA - Quante forze sciupate! 
ALBERTO - Certo. E per questo io non consiglio il suicidio. Ma in mancanza di meglio, l'utilizzo semplicemente. Come la ragazza abbandonata va a deporre il suo bambino sulla soglia della casa di chi la rese madre, così la miseria, incapace di ribellarsi, ammucchi almeno le sue vittime sulla soglia dei malfattori responsabili, e li denunci. Presto sarebbe tale il loro spavento, in mezzo a quelle pozze e a quell'odore di sangue, che forse consentirebbero allora a far le concessioni che né le suppliche, né le minacce hanno strappato.
MADDALENA - Io credo, fratello mio, che t'inganni. L'odore del sangue versato non è spiacevole alla borghesia.
ALBERTO - Nelle strade, hai ragione, ma non in casa propria. E là che ricompare il proprietario nemico delle riparazioni, e amante della digestione tranquilla. Le colonne e le torri da cui uno si precipita, così propizie ai suicidii, non possono dare questa luce all'atto di rinunzia alla vita. Gli altri non ci sanno veder dentro; sembrano dei tubi da lampada affumicati. E così quel fornello è altrettanto meschino; brucia e rischiara appena.
MADDALENA - Eppure noi realizziamo il tuo programma, uccidendoci nello stesso posto da cui dovevamo essere scacciati.
ALBERTO - Sì. Ma non è un voler far troppo onore alla signora Ledru, immolandoci tutti e quattro sulla sua cassaforte? Sciupiamo davvero i nostri cadaveri.
MADDALENA - È troppo tardi ormai per utilizzarli meglio.
SIGNORE (con voce morente) - Maddalena...
MADDALENA - Parla!... (si alza)
ALBERTO (in piedi anche lui) - È il babbo che ti chiama.... (Maddalena si avvia, vacillando un poco, verso il signor Havenne, che si è accasciato colla testa innanzi; ella si china su di lui).
MADDALENA - Babbo... babbo... Mi senti? (Si raddrizza, poi si china ansiosa sulla madre). Mamma... (si volge col viso e la voce cambiata). Come hanno avuto fretta di andarsene!
ALBERTO - Sei sicura, Maddalena? 
MADDALENA - Io son sicura che sono spezzati ora i legami che mi tenevano sino a poco fa... Fuggiamo, fuggiamo di qui! Io non voglio più morir in gabbia! Aria... spazio... luce!... Son impaziente, ora! Essi avevano ragione. Noi non abbiamo compiuto il nostro destino. Noi siamo sull'orlo del nido, come quegli uccelli che hanno paura e temono di provare le loro ali... Prendiamo lo slancio, fratello mio! Andiamo verso il sole, di campanile in campanile, d'albero in albero... Andiamo a risvegliare quelli che dormono, a sollevare quelli che piegan la schiena. Andiamo ad insegnar loro a tenere un contegno più fiero e a rialzar la fronte, non fosse altro, al principio, che per vederci passare; noi, i ribelli... Più tardi essi ci raggiungeranno. La strada è lunga, ma noi abbiamo così pochi bisogni che l'audacia ci basterà! 
ALBERTO (dirigendosi verso la finestra vacillando) - Fu un re che disse : «Quando la società è composta da anime implacabili, ogni impegno verso di essa è spezzato».
MADDALENA - Sì, spezzato. I poveri vecchi ciechi che noi assistevamo, non esistono più ora.... A che scopo dobbiamo rimaner paralizzati? Gettiamo le nostre grucce! Diamoci vivi e forti alla rivoluzione, dovesse inghiottirci tutti e due!
ALBERTO (che ha raggiunto la finestra strappando le tende) - Noi, e tanti altri!... Anch'essa, la rivoluzione, muore di debolezza e d'inedia. Ha fame di apostoli; siamo noi il suo alimento!... I nostri genitori son morti dove il primo sforzo li condannava a morire, sulla breccia della proprietà. Spetta a noi di allargar questa breccia; quelli che verranno dopo daranno l'assalto! (apre la finestra spalancandola, e aspira l'aria a pieni polmoni, sostenendo la sorella che si è trascinata sino a lui. Il giorno nascente invade la stanza)
 
[1898]