Fuoriporta

Cile: contro il ritorno alla normalità

Giovedì 24 ottobre è stato il secondo giorno previsto per uno sciopero generale, prima di nuovi appelli sindacali alla semplice «mobilitazione» per venerdì, e ovviamente alle 17 dopo il lavoro (due giorni di sciopero, non di più, non bisogna esagerare, non è come se ci fosse un paese sotto stato di emergenza e coprifuoco con militari che fermano, picchiano, torturano, uccidono e arrestano ribelli).
Se la massa delle brave persone era numerosa in strada, è stata soprattutto silenziosa, lasciando i più veementi a combattere da soli con le classiche pietre contro i gas lacrimogeni e barricate di fortuna contro i cannoni ad acqua. Come se tutto sommato nulla fosse successo, o molto poco, da quel 17 ottobre, in uno scenario classico di manifestazioni oceaniche punteggiate da tafferugli ai margini o un po’ più in là. Qua e là, si sono visti persino manifestanti opporsi ai saccheggi. Certo, una rivolta sociale di tale portata non è una lunga linea diritta che inizia con le sommosse di quartiere per arrivare generalizzandosi a un'insurrezione; non funziona così. I giorni si susseguono e non sono uguali; ci sono momenti più intensi e giornate per riprendere le forze, schegge che dialogano direttamente tra loro nella conflittualità per formare un caleidoscopio infuocato, e riflessi opachi di una normalità (anche militante) a malapena incrinata. Ciò che tuttavia colpisce è constatare fino a che punto il dispositivo dei sindacati, della sinistra e dei cittadini indignati per occupare la strada partecipi a suo modo anche alla neutralizzazione dell'antagonismo in corso. Trasformare gli individui in masse e non il contrario fa parte del loro lavoro di cogestione democratica dell'esistente.
Inoltre, poiché ognuno dispone di un’autonomia per agire, non possiamo attribuire tutto a tali meccanismi di controllo, in quanto superarli, spaccarli o auto-organizzarsi altrove e altrimenti, e non all'interno o a partire da quelle manifestazioni centralizzatrici (Plaza Italia e Plaza Baquedano a Santiago), è sempre possibile. L'esplosione iniziale della rivolta non è forse stata il frutto di gruppi diffusi e variegati (a volte di alcune centinaia di persone) che hanno moltiplicato distruzioni e riappropriazioni partendo proprio da dove vivevano per attaccare più in là, saccheggiando supermercati e centri cittadini, o bruciare banche e istituzioni? È logico che le popolazioni protagoniste di queste migliaia di atti di guerra sociale siano particolarmente colpite dallo stato di emergenza, e comunque non è detto che i grandi concentramenti popolari che sostanzialmente ballano non contribuiscano a isolarli ulteriormente. A parte qualche scontro, sono per lo più alcune vetrine ad esser state spaccate ieri, giovedì.
A Concepción, per dare un interessante esempio di auto-organizzazione che ha funzionato felicemente nel panorama cittadino, i marciapiedi sono stati rimossi dal suolo dai rivoltosi per essere distribuiti in centro e servire da proiettili contro i carabinieri, aprendo spazi che hanno consentito il saccheggio di diverse attività commerciali, per non parlare della devastazione col fuoco della Caja de Compensación Los Andes (un istituto di credito), nonché della distruzione incendiaria del primo piano della Sala Andes (teatro d’arte drammatica). Piaccia o no, i gruppi in rivolta hanno attaccato il centro cittadino borghese, saccheggiando e distruggendo quel che potevano: il Comune di Concepción riferisce, ad esempio, che attualmente 32 incroci sono privi di semafori, dato che oltre un centinaio di questi (su 350) sono stati sradicati per servire da barricate o da arieti. Un altro esempio, stavolta non per tutti: mentre molti urlavano slogan accanto ai palazzi del potere di Santiago o facevano presidi, nel quartiere periferico di Maipú altri cercavano di scardinare tre bancomat rimasti intatti nel Supermercato Líder (saccheggiato e abbandonato da diversi giorni) usando la fiamma ossidrica. Questo ci ricorda che il giorno prima, in un altro sobborgo di Santiago, a Lo Espejo, un'autostrada è stata invasa con l'intenzione di svuotare i camion bloccati. Nella regione Mapuche di Arauco, invece, sono state prese di mira le compagnie di disboscamento: la notte da mercoledì a giovedì a Tirúa (diversi edifici bruciati) e giovedì mattina sulla strada da Cañete a Contulmo (un camion carico di legname fermato e poi incendiato). Nella regione di Valparaíso, ad andare in fumo è stato il casello del pedaggio di Zapata sulla Ruta 68...
Quanto alle cifre, il Ministero cileno dell'Economia ha precisato che per il momento 677 aziende sono state saccheggiate e bruciate e che il 30% dei supermercati (344) sono fuori servizio in seguito agli attacchi. Da parte sua, il dirigente del Transporte Público Metropolitano (DTPM, Regione della Grande Santiago), ha aggiunto che sono stati dati alle fiamme 24 autobus (1300 vandalizzati e in riparazione) e 9 depositi. In vista del ritorno alla normalità, come auspicato da Piñera, alcune tratte della metropolitana sono state riaperte a Santiago su alcune linee, ma secondo i resoconti definitivi resi noti dalla direzione in una conferenza stampa giovedì, 118 stazioni della metropolitana su 136 sono state devastate, con un costo stimato di 380 milioni di dollari: 25 incendiate (7 completamente e 18 parzialmente) e 93 gravemente danneggiate. A ciò bisogna aggiungere 10 convogli completamente devastati (7 bruciati nelle stazioni di San Pablo, Elisa Correa, San José de la Estrella, Protectora Infancia e 3 «vandalizzati» nelle stazioni di Neptuno, Lo Ovalle e Rojas Magallanes). Infine, le linee 1 (sezione San Pablo), 4, 4A e 5 coi sistemi elettrici e di segnalazione completamente andati, il che significa che alcune stazioni rimarranno chiuse almeno fino a marzo 2020, e per alcune ci vorrà forse un anno intero. Il presidente della metropolitana è stato, come d’obbligo, sostenuto dai rappresentanti dei suoi fedeli «lavoratori organizzati», come il presidente di un sindacato che dalla TV ha dichiarato che «dubita fortemente che coloro che oggi chiedono un cambiamento strutturale così importante in Cile stiano dando fuoco ai mezzi di trasporto della classe operaia». Oltre all'assoluta mancanza di capacità dialettica di questo bonzo, che gli impedisce di capire che si può nel contempo soffrire pur di mangiare e ribellarsi allo sfruttamento identificando gli ingranaggi che lo facilitano, dimentica soprattutto che non tutti accettano come lui una vita da schiavi dalla culla alla tomba, per scelta o necessità, e preferiscono distruggere ciò che li distrugge.
Infine, a proposito degli altri obiettivi sensibili in un territorio in ebollizione, l'ex sottosegretario alle telecomunicazioni Pedro Huichaf ha fornito alcune indicazioni ai rivoltosi in una dichiarazione a La Tercera (23/10): «Ci sono quelle che sono chiamate infrastrutture critiche, che hanno bisogno di energia costante per funzionare. In situazioni come quella che il Cile sta vivendo, ciò che potrebbe essere di grande preoccupazione per noi sono le infrastrutture in fibra ottica, che trasportano i dati dai telefoni cellulari ai ripetitori, e da lì a Internet. Sono queste da proteggere in particolare». La Camera di commercio di Santiago ha stimato ieri in 1.400 milioni di dollari le perdite relative ai disordini come lo stato di emergenza nel suo settore: c'è da scommettere che se i rivoltosi iniziassero ad attaccare le infrastrutture critiche, questa cifra potrebbe rapidamente volare molto più in alto!
La metropolitana funziona parzialmente, aiutata da autobus che passano dalle fermate chiuse; le compagnie aeree cilene che hanno cambiato tutti i loro voli in modo permanente a causa dei disordini e del coprifuoco (da 1000 a 6000 passeggeri dormono ogni notte all'aeroporto di Santiago su brandine) hanno stabilito un nuovo calendario provvisorio; di giorno i lavoratori ritornano al lavoro dopo due giorni di sciopero, prima di riunirsi per alcune ore (dalla fine del lavoro all'inizio del coprifuoco); di sera soldati e cittadini ripuliscono dei danni della giornata; il grande sindacato CUT ha appena presentato al governo le sue rivendicazioni (la sua «tabella di marcia»); alcuni senatori di sinistra propongono un referendum per cambiare la Costituzione; code di clienti attendono pazientemente all'ingresso dei supermercati integri e sorvegliati (in cui possono entrarne solo pochi alla volta)... mentre il bilancio militare sullo stato di emergenza si appesantisce ogni giorno di più: 7641 persone sono state arrestate dall'inizio dello stato di emergenza e portate davanti a un giudice (diverse centinaia imprigionate), 295 sono state ferite dai proiettili della polizia e si cominciano a contare gli occhi perforati dai militari (43 secondo il sindacato dei medici). In breve, siamo di fronte a una sorta di normalizzazione... dello stato di emergenza, a una democrazia autoritaria che ha aggiunto soldati alla sua polizia, che limita la libertà di circolazione e di assembramento all’occorrenza (non sono vietate tutte le proteste), che spara abbondantemente ai cattivi e tratta timidamente con i gentili.
 
Il Cile non è il passato, potrebbe essere il nostro futuro. Un futuro in cui tutte le condizioni sono presenti anche qui. Solo che... solo che che non si sa mai fin dove possono arrivare le fiamme della rivolta. In ogni caso, il segreto è beninteso di cominciare ad accenderli...
 
[25/10/19, trad. da ici]