Brulotti

A cattiva società, cattiva energia

 
A quanto pare non tutti i militanti della CGT (il più grande sindacato francese) hanno dimenticato il vecchio Émile Pouget, l’anarchico che 123 anni or sono riuscì a far adottare dalla loro organizzazione il sabotaggio come strumento d’azione contro il padronato. Fu lui difatti l’artefice della mozione presentata ed approvata al Congresso Confederale di Tolosa, nel 1897, che sanciva: «Ogni volta che scoppierà un conflitto tra padroni ed operai, sia che il conflitto sia provocato da esigenze padronali, sia che sia provocato dall’iniziativa operaia, nel caso in cui risulterà che lo sciopero non dia i risultati voluti dai lavoratori, questi ultimi applichino il boicottaggio od il sabotaggio — o entrambi contemporaneamente». 
Per spiegare teoria e pratica di questo strumento di lotta, alcuni anni dopo Pouget pubblicò per una «biblioteca del movimento proletario» un libro che sarebbe diventato una piccolo classico del pensiero sovversivo, tradotto nelle lingue di mezzo mondo: Sabotaggio.
Ebbene, martedì scorso, 17 dicembre, le idee di Pouget si sono scrollate di dosso la polvere degli archivi per tornare a respirare un po' d'aria fresca. Durante il tredicesimo giorno di sciopero generale dei trasporti, indetto per protestare contro la prevista riforma delle pensioni voluta dal governo Macron, una serie di black-out ha paralizzato le attività in molti edifici in tutto il paese. Sorprendentemente, il black-out è stato rivendicato dalla CGT — per intenzionale volontà o per scaltra necessità? — i cui portavoce hanno precisato che le 90.000 abitazioni rimaste senza corrente elettrica — fatto che pare abbia indignato l'opinione pubblica transalpina — erano soltanto un effetto collaterale di un’azione che in realtà prendeva di mira ben altri obiettivi (zone industriali e commerciali, sedi istituzionali). Mentre la ministra della Transizione ecologica ha condannato questi atti definendoli «inammissibili», un delegato sindacale della Federazione Nazionale Miniere ed Energia (CGT) ha così difeso le azioni compiute dai suoi rappresentati: «Non è sabotaggio. La rete elettrica è lo strumento di lavoro dei salariati. Vogliono mostrare che, quando sono in sciopero, l’elettricità non può essere trasportata come quando non c’è sciopero. I salariati vogliono farsi sentire… e dire che non si lasceranno togliere 300, 400, 500 euro della loro pensione senza difendersi». Per altro, i tagli dell’elettricità sono solo alcuni degli atti compiuti dalla FNME, a cui vanno aggiunti anche il ripristino della corrente per le famiglie più indigenti o i rallentamenti del traffico con i propri veicoli.
Come diceva Pouget, se lo sciopero non basta... Va da sé che, al di là del termine che ciascuno userà per definire simili azioni, «sabotaggio» o «non-uso di uno strumento di lavoro», gli odierni militanti della CGT non hanno nulla in comune con gli anarco-sindacalisti di un secolo fa (i quali iniziavano sempre le sedute «al grido di Viva la Rivoluzione Sociale!», laddove oggi non si è in grado di immaginare null'altro al di là della democrazia). Che i sindacalisti siano di per sé pompieri che possono talvolta giocare col fuoco ma che alla fine, dopo il recupero di una lotta, inevitabilmente lo spengono, che la CGT che oggi rivendica il sabotaggio sia la stessa che ieri lo condannava, che i salariati della FNME interrompano il lavoro solo quando è in gioco il peso della propria busta paga... tutto ciò rientra nelle banalità che possono fare da pretesto all'esplodere di una rivolta. Così come non ha molta importanza quale sia la rivendicazione iniziale che scatena gli animi, allo stesso modo è irrilevante l'identità e le motivazioni di chi può arrivare al blocco dell'erogazione di corrente elettrica. Non si tratta di lodare e sostenere quel gesto sempre e comunque, a prescindere dal contesto in cui è avvenuto (né di assegnare un attestato di radicalità ai suoi autori, magari ripetendone le motivazioni), si tratta bensì di coglierne le potenzialità qualora si verificasse, si prolungasse, si generalizzasse, si incrociasse con altre pratiche, dando vita a prospettive inaspettate (soprattutto per chi ha iniziato la mobilitazione) altrimenti impossibili. Sostenere il suo possibile divenire, più che il suo attuale essere.
Se oggi un movimento sociale, pur con i limiti insiti nelle sue rivendicazioni di base, si ritrova a paralizzare i trasporti e l’energia di un paese (ovvero quanto permette il funzionamento della macchina sociale), ciò non costituisce forse un’occasione per chi desidera la fine di questo mondo? Non l’occasione di adulare la protesta per meglio cavalcarla, né tanto meno di sminuirla per meglio ingigantirsi, ma di farla lievitare, straripare, eccedere, al fine di togliere dalle teste non solo la preoccupazione delle feste natalizie, ma anche quella delle pensioni — fermare la momentanea corsa ai regali di Natale, per poi proseguire lo slancio e fermare la continua corsa al lavoro.
Un sabotaggio rivendicato dalla CGT, per quanto paradossale possa sembrare, è una splendida opportunità per (far) ricordare le parole di Pouget, per afferrarne tutto il senso e l’attualità: 
«I proletari si comportano come un popolo che, dovendo resistere all’invasione straniera e non sentendosi abbastanza forte per affrontare il nemico in una battaglia campale, si lancia nella guerra di imboscata, di guerriglia. Lotta spiacevole per i grandi corpi d’armata, lotta talmente orripilante e micidiale che, per lo più, gli invasori rifiutano di riconoscere ai franchi-tiratori il carattere di belligeranti. L’esecrazione della guerriglia, da parte delle armate regolari, è simile all’orrore ispirato ai capitalisti dal sabotaggio. In effetti il sabotaggio è, nella guerra sociale, ciò che la guerriglia è nelle guerre nazionali: esso nasce dagli stessi sentimenti, rispondendo alle stesse necessità ed ha sulla mentalità operaia identiche conseguenze. Si sa quanto la guerriglia sviluppi il coraggio individuale, l’audacia di decisione; altrettanto si può dire del sabotaggio: esso tiene in allenamento i lavoratori, impedisce loro di affondare in una fiacchezza perniciosa e, necessitando di un’azione permanente e senza respiro, sviluppa lo spirito d’iniziativa, abitua ad agire da soli, eccita la combattività. L’operaio ha grande bisogno di queste qualità, perché il padrone agisce nei suoi confronti con la stessa mancanza di scrupoli degli eserciti invasori, operanti in un paese conquistato: depreda più che può». 
La diffusione di questo coraggio individuale, di questo spirito d’iniziativa, di questa azione solitaria e permanente, di questa alterità nei confronti di un nemico percepito come «invasore straniero», con cui non si ha nulla da condividere o trattare, potrebbe non mettere semplicemente in crisi la politica di un governo; ma rischierebbe di mettere in pericolo la politica, con le sue strategie, i suoi compromessi, le sue convergenze, le sue alleanze. Fine dei governi, dei partiti, dei sindacati.
Oltre un secolo fa, Émile Pouget ha riassunto le ragioni del sabotaggio operaio con la formula «a cattiva paga, cattivo lavoro». Se i padroni non davano ai lavoratori ciò che si aspettavano per la loro fatica, perché mai i lavoratori avrebbero dovuto dare ai padroni ciò che pretendevano per i loro investimenti? Ecco perché a Tolosa, nel 1897, egli suggerì ai delegati della CGT la seguente deposizione: «il Congresso, riconoscendo che è superfluo biasimare il governo — poiché è nella sua logica stringere il freno ai lavoratori — esorta i lavoratori municipali a fare danni per centomila franchi ai servizi della città di Parigi». Mettendo in pratica oggi questo ragionamento, che cosa si otterrebbe? Che essendo superfluo biasimare il governo, giacché rientra nella sua logica sfruttare ed opprimere, ha molto più senso esortare gli individui a fare miliardi di danni alle infrastrutture di questo mondo che li vuole al suo servizio.
 
[20/12/19]