Brulotti

Materiali per un «contro-manifesto individualista rivoluzionario»

In questo testo (vecchio e dimenticato), alcuni ex consigliaristi avvicinatisi all’anarchismo sostengono senza mezzi termini l’esigenza di un individualismo rivoluzionario che prenda spunto non dalle condizioni materiali esterne, bensì dalle rotture che chiunque può operare nel corso della propria esistenza. Non si tratta di applicare una scienza in grado di formulare il giusto programma politico, ossessione di tutti gli «amici del popolo» a caccia di manovalanza, ma di approfondire un’esperienza vitale in grado di elaborare un progetto personale. Avventura umana che non esclude affatto gli altri, ma li ricerca nella loro potenziale originalità, non nella loro effettiva comunanza: puntare allo sviluppo di ciascuno, contro l'inerzia di tutti.

 

Necessità di un anti-programma

Attraverso le mille propagande del socialismo — «critico», «utopico» o «scientifico» che sia — ogni uomo viene invitato a porsi la seguente domanda: «Quali vorresti che siano le circostanze esterne del tuo sviluppo?». E la risposta assume la forma del rifiuto, del desiderio o dell'affermazione, ma sempre platonica e gratuita: «Vorrei che le circostanze fossero queste» — oppure «pretendo che siano necessariamente queste». «Ne voglio altre rispetto a quelle che sono ora, qui in particolare». «Vorrei un altro mondo, un universo differente, dove le mie aspirazioni siano soddisfatte». Così ciascuno esce mentalmente fuori dalle condizioni in cui si pone la sua esistenza, e di conseguenza il suo pensiero, la sua volontà e la sua azione.
Il «socialismo» assume così il carattere di una evasione — di un’alienazione — di una mistica religiosa — di un nuovo oppio dei popoli. E quando si vuole realizzare il sogno dell'altro mondo, c’è sempre una Chiesa a manifestarsi, a profetizzare, a dettar legge, a formulare imperativi universali, a pretendere di monopolizzare, ad arbitrare, ad escludere, e ad opporre un programma politico ad altri fantasmi dello stesso genere.
L'individualismo rivoluzionario rifiuta di prendere come base ed ipotesi un mondo «altro», un mondo che si presume adeguato all'individuo in quanto tale. Si rivolge direttamente ad ognuno nella sua condizione attuale, e gli domanda: «Cosa vuoi diventare?». «Cosa vuoi fare?». E ancora: «Cosa aspetti per iniziare?».
Il «socialismo» assomiglia alle fantasticherie di un bambino che vorrebbe avere un altro padre, un'altra madre, un'altra casa, scuola, famiglia, occupazione o pensione, un'altra lingua o patria: progetta, inutilmente, a posteriori, di cambiare le condizioni di partenza della sua esistenza, di modificare il passato, di supporre una situazione omogenea alla sua essenza. Nel contempo, vorrebbe restare ciò che questa situazione lo ha reso oggettivamente; non subire più, non crescere più, non lottare più. Si accetta così com'è e rifiuta il mondo. Sogna un mondo che lo accetti così com'è, e in realtà vorrebbe morire.
La contraddizione insita in tutto il pensiero socialista è la seguente. Esso proietta la condizione definitiva di qualsiasi cosa: vuole realizzarsi in un mondo dove non potrebbe vivere. Ed ogni socialista fugge il più delle volte davanti alla realizzazione vitale immediata dei propri desideri, per costruire un mondo in cui non potrebbe vivere, o in cui si realizzi almeno il suo sogno di circostanze «non esterne», il suo sogno di contraddizioni «risolte», il suo sogno di un avvenire già passato. Il socialista è «amico del popolo». In astratto, nel futuro e nell'altrove, egli reputa abbastanza soddisfacente per il popolo, per gli «sventurati» — in genere per altri — una sicurezza, una fraternità, una unanimità da caserma o da cimitero; condizione gregaria che non accetterebbe neanche un istante per sé — a meno di rinunciare contemporaneamente al suo divenire attivo e particolare, qui e ora, alla sua stessa opera, alla sua vita; perché è in questo che consiste soprattutto il «sacrificio» socialista.
L'individualista rivoluzionario è «nemico del popolo». È partigiano dello sviluppo di ciascuno, contro l'inerzia di tutti. Rivendica l'individualità rivoluzionaria per gli altri come per se stesso. Rifiuta qualsiasi programma politico: esige da se stesso e da ciascuno l'elaborazione di un progetto personale.
È programma politico quello che presuppone per la propria realizzazione l'esistenza di una «volontà comune» sempre fittizia, di un «concorso spontaneo di circostanze» sempre ipotetiche. Ad esempio il maestro del villaggio, quando traccia un nuovo piano di istruzione pubblica da realizzare da parte di una qualsiasi entità sociale, fa un programma politico; ma quando, sulla base dei mezzi concreti a sua disposizione, della sua esperienza pratica, delle capacità che si riconosce — e della propria rivoluzione interiore — traccia una nuova linea di condotta, un ambito privato, un'opera diretta da compiere nella sua stessa classe, fa un progetto personale.
Il progetto personale non esclude gli altri: ma ne presuppone il concorso, la resistenza, l’esitazione, la risposta, la reazione personale all'esempio dato. Al contrario, è il ​​programma politico ad escludere gli altri: esso presuppone di avere a che fare solo con esecutori docili, o con avversari impotenti.
È vero che il programma politico tiene conto degli altri, in quanto è spesso un compromesso inconciliabile, un'illusione, dove le volontà si annoiano o si perdono.
Il socialismo nella sua forma riformista o rivoluzionaria è quasi sempre una fuga alquanto vile davanti al progetto personale. Ma d'altra parte il «progetto» di un estraneo all'idea di una riforma o di una rivoluzione possibile è quasi sempre limitato, egoista e meschino: è una scelta dell'arrivismo e del conformismo sociale che non merita d'esser chiamato progetto personale.
È individualista rivoluzionario colui che, fermamente impegnato nell'elaborazione di un progetto privato, misura le condizioni e le conseguenze immediate dell'avventura, e da lì si eleva verso visio più generali sul mondo e sulla società. L'individualista rivoluzionario è, innanzitutto, l’individuo di una esperienza vitale da cui trae insegnamenti partendo da se stesso e dal suo ambiente. Prende dai libri solo ciò che chiarisce la propria scoperta.
Attribuisce poco valore alle speculazioni astratte. Rifiuta inesorabilmente qualsiasi programma che «suppone il problema risolto». Constata che quasi tutti i teorici implicitamente reintroducono dalla finestra tutta l'ipotesi che hanno
esplicitamente buttato fuori dalla porta. Ad esempio:
Il materialista-determinista non crede nella forza propria delle idee e proclama fanaticamente in modo assoluto la sua, come se le idee-forza guidassero il mondo.
Il socialismo «libertario» scaccia col nome di Stato la finzione dell'univolontarismo politico, per ricondurla subito col nome di proletariato, società senza classi, popolo lavoratore, rivoluzione sociale, ecc. L'ateismo «anti-teologico» fa una prima conferenza su L'inesistenza di Dio; pretende di dimostrare ai credenti l'impossibilità di credere e professa una fede scientista e determinista. Il pacifista mostra che la guerra è assurda, che nessuno vuole la guerra. Poi predica la guerra alla guerra, recluta i combattenti della pace, preconizza il disfattismo insurrezionale, il sabotaggio, ecc.
L'anticapitalista denuncia i trust privati, i monopoli commerciali i cui fragili edifici si basano tutti su di un potere politico — e li sostituisce con trust e monopoli pubblici, nazionali, sindacali, sociali e globali, che incorpora in una dittatura politica di cemento armato.
L'individualista sostenitore di ambienti liberi di vita in comune respinge la promiscuità e l'isolamento imposti dalla famiglia legale, dal lavoro, dalla caserma, ecc. ecc., e si appresta ad organizzare un’associazione di egoismi ancor più irrespirabile e che riassume tutte le costrizioni immaginabili.
Tutto ciò tende a dimostrare che i programmi non sono in grado di fare nessun passo in avanti, nemmeno fra le nuvole, rispetto ad un'esperienza consapevolmente vissuta e direttamente generalizzata degli individui attualmente vivi.
Noi affermiamo che i programmi sono tutti fallaci prospettive, che dal punto di vista individuale non corrispondono a nulla di concreto. La più bella utopia del mondo può offrire solo quello che ha; è sempre una blanda schematizzazione di una qualche realtà ben nota, spesso consunta. Un disegno politico è uno sputo in aria, che può cadere dal cielo solo sotto forma di restrizioni, regressioni e frustrazioni varie. Intorno a queste brutture, a queste mostruosità minacciose — tutte sostenibili, purtroppo, giacché l'oppressione dell'uomo è infinita — la cristallizzazione passionale depone, è vero, i suoi diamanti di sogno. La «rivoluzione futura» è un sogno ammirevole, tanto più bello e vicino quanto fuori portata, tanto più «nostro» quanto estraneo a tutte le vicissitudini della vita. «Domani si raderà gratis» è l'insegna di mille botteghe d'illusioni in cui si spacciano biglietti circolari per il paese della cuccagna.
Noi proclamiamo vivacemente che nulla è gratuito, che nulla sarà mai gratuito, che tutto si paga con un qualche sforzo; che tutto ciò che va conquistato e difeso, deve esserlo da noi stessi e a nostre spese; che non c'è altra eredità umana se non quella del contadino della favola: «Lavorate, faticate, che tesoro immancabile è il lavoro».
È ancora necessario lavorare fin d'ora a qualcosa che ne valga la pena.
Ed è a questo che invitiamo i lettori di questi «materiali per un manifesto individualista rivoluzionario».
Nella stessa rubrica, pubblicheremo altri contributi, nati da riflessioni, esperienze, progetti personali elaborati da ciascuno.
E terminiamo con il testamento di un precursore (1) :

«No, nessun Partito  — Vivere o morire.
  No, nessuna tesi — Vincere o perdere.
  No, neanche esserlo
  Tutto ha diritto alla verità»

 
J. P. Aubrée, George Boningue, Mireille Dufour, Georges Glaser, Georgette Kocher, Edmond Mazur,
André Prunier, Dora Ris, Jean-Jacques Rousset, Bernardo Tailly
 
(1)   Marinus Van der Lubbe. Poesia scritta prima della sua esecuzione e intitolata Lavoro!
 
 

[Bulletin du Cercle libertaire des étudiants, anno I, n. 3, 15 giugno 1949]