Brulotti

La maniera da tenersi per non aver paura, quando la Peste tira giù ogni cosa

Etienne Binet
 
Composto nel 1628 in una Francia devastata dal flagello, l'opuscolo Sovrani et efficaci rimedi contro la peste e morte subitanea del padre gesuita Etienne Binet deraglia dai binari della letteratura spirituale dolorista. Lungi dal fare una mera apologia della sofferenza, Binet cerca piuttosto di risvegliare lo spirito del lettore all'opportunità scaturita dalle disgrazie dell'epoca. Un ottimismo radicale corre attraverso le sue pagine, ispirate da un certo candore nella fede. Non potendo Dio volere il male, la peste nella sua distruttiva implacabilità deve essere decifrata come un segno — un messaggio rivolto all'umanità al fine di rimetterla sulla via smarrita. Lo stralcio che presentiamo è tratto dall'edizione italiana, pubblicata nel 1656.
 
 
Io non vi dirò già, che siade mestieri starsene come stordito, e vivere alla balorda, o pure che poco rilievi il mettersi con temerità ne' pericoli. In nessun modo: molto meno che voi viviate senza buon governo, e senza prevalervi de' rimedi che ci ha donato Dio. Né condanno quelle tre parole in questa materia eccellentissime, cioè Cito, Longe, Tarde. Andate via subito in paese ben lontano, e non pensate a ritornare così presto, anzi siate degli ultimi, al ritorno. Ma io dico, che supposto che voi o non vogliate, o non possiate scansare il pericolo o l'apprensione, vi voglio suggerire maniere da vivere senza paura, e le ridurrò a tre capi, cioè alle ragioni, agli esempi e alle virtù.
Voi dite che tremate per la paura della peste. Per le prime mosse io ve la perdono, perché so che il sangue agghiaccia, il cuore si smarrisce, e scolora il volto, prima che la ragione si sollevi e si riscuota a far fronte a certe sorpresaglie improvvise. Alessandro il grande cominciava sempre le sue sattioni tremando tutte le membra, ma nel caldo della zuffa egli era un fulmine di guerra, che faceva tremare ogni cosa. Ma che tremi la vostra anima, la vostra virtù, la vostra ragione? O questo sì che ha del vergognoso. 
Bisogna che la paura uccida e schiacci la paura stessa, perché non ha cosa che vi renda più soggetto alla peste, che la paura di questo male. Ella è a guisa di un mastino poltrone, il quale fugge da chi lo seguita, e va dietro a chi lo fugge. Ma la magnanimità e il coraggio sono gli veri antidoti della peste. L'immaginazione ha questa possanza di alterare tutto il sangue, il timore spaventando l'immaginazione la mette nel pericolo di fare quell'impressione nel sangue, che vuol fare la stessa Peste.
Che cosa temete voi la morte, o la peste, o tutti due? E non avete voi rossore di temere quella a cui bravano li vostri lacché, di cui si menan beffe le servette, e si muoiono ad un tratto, li fanciulli stessi che la scherzano nel cataletto. È possibile che voi non abbiate altrettanto cuore quanto un villano, o mille donnicciuole, le quali neppure degnano mostrar paura.
Ma voi morirete, supponiamo, che così porti il caso; la scapperete voi co' vostri terrori s'ell'è giunta l'ora vostra? Tanti uomini da bene si muoiono, e sono altri uomini che voi non siete, mio caro amico, e che pensate esser voi? Ha gente tanto temeraria e sciocca il mondo, dice Seneca, che vorrebbe che Dio tracangiasse gli elementi, e mutasse le sue leggi, anzi che ella distorsi dalle sue fantasie.
Alla fine che sarà poi? Voi andarete là, dove sono tutti li vostri maggiori, e dove verranno tutti gli vostri discendenti, e quelli i quali ora stanno con esso noi, vi saranno ancor essi quanto prima, e forse prima di noi. Deve recare consolazione andare là dove va tutto il mondo. E non è già la lunga vita, o la morte agiata e dolce, che ci rende felici, ma è la buona vita e la buona morte? […]
Non è la morte, dite voi, ma la qualità della morte, che vi fa tremare. Deh, che è cosa ridicola, darete voi dunque legge a Dio, ch’egli faccia modo vostro, e risappia da voi in qual maniera vi piaccia il morire? Abbiate solamente cura che la vostra coscienza si trovi in buono stato, del resto ridetevi di voi medesimo. Io vorrei, diceva già un Imperatore, se ho da essere strangolato, che non fosse che un laccio di seta e d’oro; se impiccato, non seguisse che ad una trave d’avorio o d’argento; se precipitato, non avvenisse che sopra l’abbia d’oro; se annegato, che mi accadesse nell’acqua rosa. Qual vanità bestiale?
 
 
[Sovrani et efficaci rimedi contro la peste e morte subitanea, 1656]