Brulotti

Elogio dell’incendio

Anne Archet
 
Gli incendi — siano essi intenzionali o causati da fulmini — fanno parte da millenni di parecchi ecosistemi. Sappiamo che prima della colonizzazione europea, gli incendi controllati venivano usati da diversi popoli autoctoni per modificare in modo favorevole il proprio habitat. Tra i molti vantaggi, hanno contribuito a facilitare gli spostamenti eliminando i grossi arbusti, ad aumentare la fauna selvatica, a rendere più produttivi gli alberi da frutta e da noci.
Era una tattica di sussistenza perfezionata nel corso di generazioni.
Al colonizzatore giunto dall'Europa densa e sedentaria, gran parte di ciò che chiamiamo Nord America appariva come una natura selvaggia ed incontaminata, con grandi distese di terre vergini o appena toccate. In realtà l'intero continente era, in un certo senso, un vasto complesso di culture composto da un numero incredibile di habitat variegati sostenuti da pratiche diverse, fra cui il fuoco controllato che, su vasta scala, ha contribuito anche a stabilire e a mantenere i confini tra le praterie e le foreste.
Tutte le forme di vita hanno bisogno di un habitat, ma le città non lo sono. Sotto il pavé non c'è solo la spiaggia, ma anche il suolo della foresta, il potenziale giardino, il cumulo di fragole soffocate, l'estuario prosciugato, il ruscello deviato che porta i pesci. La città non è il luogo di tutto ciò che è avanzato, complesso e progressivo della storia umana, della libertà, della creatività e della coscienza di sé. È la tana della borghesia e dei governanti, un luogo di prigionieri spossessati, in cui sono onnipresenti apparati repressivi — a cominciare dall'orologio cittadino che permette di assicurarsi che le attività degli individui potenzialmente auto-organizzati, auto-diretti e liberamente creativi siano sincronizzate per l’interesse della borghesia, dell'efficienza economica e politica.
Immaginate di vivere in un mondo infernale dove non potete mangiare quando avete fame, dormire quando avete sonno, bere quando avete sete, pisciare quando ne avete bisogno, perché è uno strumento a dettare quando siete autorizzati a soddisfare questi bisogni fondamentali da animali quali siamo. Sto scherzando, non serve immaginarlo: viviamo in questo mondo in questo preciso momento. Ecco cos'è la civiltà capitalistica urbana: milioni di persone vengono strappate al proprio riposo e ai propri sogni da una sveglia, poi tutte vengono sincronizzate per seguire gli stessi schemi quotidiani in modo che l'economia possa prevalere sui singoli corpi, sui loro processi e sui loro desideri.
L'incendiario insurrezionalista che brucia una banca, la sede di una multinazionale o un commissariato diventa, man mano che quel gesto primordiale e profondamente onesto si compie e si manifesta, una persona al tempo stesso ecologica e spirituale. Si tratta di un atto per la comunità nella misura in cui si oppone al potere e all'ingiustizia e difende i propri amici e vicini. È un atto di smascheramento in quanto strappa il velo che nasconde il mostruoso ordine sociale che si cela dietro secoli di elitarismo, d’ingiustizia e di violenza.
Noi dobbiamo rifiutare, ri-naturalizzare o distruggere la città, luogo centrale del controllo autoritario e dell'ideologia che privilegia la proprietà sulla vita, la ricchezza accumulata da pochi sulle comunità basate sulla condivisione, i prigionieri obbedienti e deboli sugli individui forti e determinati.
Non c'è futuro se non smettiamo di adattarci al capitalismo e se non cominciamo ad adattarci alla natura. Ogni molotov lanciata porta un messaggio all'interno della bottiglia, che recita come segue: «Ne ho abbastanza di adattarmi al capitalismo, di adattarmi ad un mondo di padroni, di proprietari e di élite, al pensiero suprematista bianco, al cemento e ad orizzonti spogli di vita».
Esiste un legame fra l'ecologia e le sommosse, fra la creazione di uno spazio di guarigione e di rigenerazione e l'incendio dell'insurrezione.
L'attuale insurrezione americana è stata scatenata dagli afro-americani in risposta ad un mondo violentemente razzista da quattrocento anni. Affermare il contrario significherebbe cancellare la sofferenza e l'azione collettiva delle persone razzializzate. Non ho la pretesa che questa insurrezione provenga in realtà da un impulso ecologico. Ciò che voglio sottolineare è che noi siamo pur sempre animali umani e che in quanto tali, quando ci ribelliamo, lo facciamo anche contro le nostre condizioni di vita in quanto esseri potenzialmente liberi e viventi in habitat sani ma che sono attualmente prigionieri negli enormi campi di lavoro e nelle prigioni costituiti dalle città, molti di noi — in particolare le persone razzializzate, letteralmente in gabbia.
Quando si vuole costruire un rifugio oppure piantare delle zucche o del mais, quando si vuole costruire un deposito comunitario per le provviste o un arsenale per il proprio gruppo, si deve liberare un'area. Che si tratti di un campeggio stagionale per pratiche di sussistenza o per un eco-villaggio più sedentario, bisogna fare spazio. Distruggere i beni urbani durante le sommosse è la stessa cosa. È al tempo stesso un atto contro e un atto per. Come liberare la nostra immaginazione senza visualizzare nulla di specifico, ma intravedendo delle possibilità? Quando il terreno è interamente occupato dai piani e dagli interessi di pochi privilegiati, e lo è da tanto tempo, occorre liberare lo spazio, spesso con furia vendicatrice. La rigenerazione è impossibile senza morte. Gli incendi sono stati utilizzati per liberare aree per la produzione alimentare, per facilitare gli spostamenti e per altre pratiche di sussistenza. Anche gli incendi insurrezionali possono essere visti in questa ottica. Quale maniera migliore di affrontare la nostra alienazione di prigionieri spossessati, di esseri viventi senza libertà né habitat, che incendiare non solo le torri di guardia e le prigioni, ma anche tutto ciò che è relativo alla produzione alimentare sostenibile, all'acqua potabile locale, ad una foresta di rientro per gli uccelli?

Il capitalismo dà la priorità alle merci e alla proprietà privata a scapito della vita. L'ecologia favorisce la reciprocità e la vita rispetto alla proprietà privata e alle merci. Il saccheggio è allora un'azione contro un modo di produzione che cancella la vita e a favore di un altro che la privilegia. Il saccheggio su vasta scala è un mezzo per trasferire ricchezze. Una maniera di utilizzare immediatamente cose che sono comunque destinate alla discarica. Una comunità sana produrrebbe solo per necessità o per piacere, e tutto ciò che si trova in essa sarebbe condiviso liberamente, quindi il saccheggio di merci non è in realtà che un'azione diretta contro il capitalismo.

Man mano che il capitale cresce, la natura si riduce. Attaccare le merci è quindi un atto ecologico, poiché è vero anche il contrario. Allorché il capitale diminuisce, la natura guarisce. Più ci sono incendi e saccheggi, più c'è rifiuto — di lavorare, di accettare idee normative sulla razza e sul genere, di vivere negli spazi artificiali del commercio e dell'autorità politica — più la natura e gli animali umani hanno una possibilità di guarire e di rigenerarsi.

Le città si basano su un insieme di accordi violenti: tra proprietario e inquilino, tra ricco e povero, tra polizia e cittadino, tra bianchi e scuri, e così via. Al loro interno, la natura è stata violentemente distrutta. L'automobile domina tutti gli imperativi di concezione urbana. I cittadini sono alienati, atomizzati e ghettizzati. La stragrande maggioranza di loro sembrano amare le proprie catene; danno e ricevono ordini, trascorrono docilmente la vita a produrre e a consumare. Le città distruggono ecosistemi complessi e sani che possono accogliere un gran numero di forme di vita. Pertanto, la distruzione delle città e dei miti borghesi e razzisti del progresso che le sostengono e le giustificano, è un atto dalla parte della natura, del primato, dell'istinto di conservazione.

Le sommosse possono far cadere il velo e aiutare a mettere in evidenza il violento cemento che mantiene la forma della città così come gli effetti di quegli accordi sociali: polizia, leggi, gerarchia, potere politico, razzismo, sistemi di sorveglianza, logica militar-industriale, povertà, malattia mentale, ecosistemi distrutti... per non parlare del fatto che praticamente ogni città un tempo era il nido di un popolo anarchico che possedeva la saggezza ecologica di prendere decisioni intelligenti circa l’ubicazione dei propri insediamenti. Decolonizzare non significa solo pensare in modo diverso, ma anche vivere in modo diverso.

È salutare voler distruggere ciò che è brutto quando il potenziale di manifestazione della bellezza della natura è un ricordo inscritto nella nostra carne. Facciamo sì che l'era della conflagrazione generale sia finalmente arrivata.