Papiri

Sterpaglia

Per una sfida senza ricorso
 
La preminenza del «distanziamento sociale» nella discussione odierna, sia questa in forma mediatica, scientifica o informale, non potrebbe essere tale senza l’apparato tecnologico di cui oggi disponiamo. Si è quasi tentati di pensare che fuori da questa contingenza, da questo reticolato di infrastrutture molecolari e terminali digitali, ci saremmo forse accontentati del concetto di accortezza – non troppo dissimile dalla cautela che si è soliti adottare quando ci rapportiamo con persone che non sono in salute. Ma sappiamo che non è così, che nel passato le malattie virali sono sempre state accompagnate da specifiche ordinanze di potere: divieto di uscire in determinati orari, divieto di varcare determinati confini, prescrizioni sui comportamenti domestici, sulla dieta, sugli incontri e via dicendo.
Quello che probabilmente non si sarebbe potuto verificare è l’accreditamento dell’idea che si possa vivere bene anche così: confinati geograficamente, recisi da alcuni legami, dipendenti in tutto e per tutto (dal bisogno più materiale alla velleità più immateriale) dalle autorità e dal mercato. Un’estensione smisurata dell’accettazione positiva dell’oppressione impensabile al di fuori dell’attuale industria tecnologica, la quale dietro l’incanto di un sorriso scambiato tra amiche in webcam organizza l’assalto alla possibilità di sorridere gratuitamente alla vita.
Che la libertà risulti inconciliabile tanto con l’invasione dei nuovi dispositivi tecnologici quanto con l’ambiente economico che li rende possibili non può però diventare l’espediente per dimenticarsi che il corpo, l’affetto e l’amore non sono state libere configurazioni del desiderio anche quando per godere del sorriso di un’amica lontana non restava altro che incamminarsi lungo territori inospitali. Saffo canta i dolori del mondo in un tempo in cui il grado di tecnologia disponibile non era nient’altro che la disposizione arbitraria del corpo umano; mentre Artaud è proprio contro l’anatomia del corpo,contro la dislocazione degli organi incastonati al suo interno, che non smetterà di lottare.
La realtà non ci sta dinanzi per essere sacrificata in nome della tecnica o sacralizzata in nome della natura, essa ci circonda come una sfida, la cui scommessa non risiede nel vincerla o nell’essere vinti da essa, ma nel piacere di non darla vinta a nessuno.