Brulotti

Spavaldi schizofrenici

Intervista di Fritz J. Raddatz a Günther Anders

 

Colgo nell’insieme del suo lavoro una contraddizione molto complessa; questa contraddizione mi si presenta sotto tre elementi, a dire il vero difficilmente conciliabili. Da un lato dice: «Qualunque cosa si faccia, è sempre più o meno vano». Dall’altro lato, l’insieme dei suoi lavori non fa che presentare il contrario, ovvero di lottare contro questo «invano», per cambiare comunque qualcosa, creare una coscienza, combattere almeno l’analfabetismo mentale, ed anche quello morale. Arrivo al terzo punto, in cui lei dice da qualche parte che l’essere umano è, secondo la sua espressione, «contingente». Come può pretendere di collegare questi tre elementi contraddittori?
 
No, non direi che c'è contraddizione; tutt’al più c'è qualche contraddizione apparente. Se mi capita assai sovente di affermare, in maniera esagerata, che niente serve a niente, è di fatto per ragioni tattiche, cioè per oppormi a quegli uomini politici e a quei giornalisti da happy end che non temono di abbondare in ottimismo. La parola «speranza», attraverso Ernst Bloch, ha sfortunatamente assunto un carattere di solennità — per tutti, persino per i politici più reazionari. Naturalmente, di quello spesso volume che è Il principio speranza, hanno letto a malapena il titolo. Del resto la speranza non è affatto un principio, ma un’emozione giustificata. Se sono — per usare un’espressione triviale — molto «pessimista», è per lottare contro quest’ottimismo irradiante che si riscontra persino tra quanti sono al corrente della situazione nucleare. In fondo ciò che auspico — ma so che così domando molto alla media della gente, forse davvero troppo — è, in pratica, di fare degli sforzi come se non si sapesse che le nostre possibilità sono minime. Come a dire: mettere in pratica una schizofrenia morale.
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Ciò che afferma fa venire un brivido alla schiena e non dà certo voglia di andare poi a distrarsi. Nello stesso tempo mi chiedo — anzi, le chiedo: contro cosa vuole metterci ancora in guardia se è convinto che la catastrofe avrà luogo? Non vale nemmeno più la pena che ci metta in guardia.
 
È falso. Ho parlato in diverse occasioni — anche all’inizio di questa intervista, credo — della necessità attuale della schizofrenia. Intendo dire con ciò che quando agiamo non dobbiamo assolutamente lasciarci influenzare dalla disperazione delle nostre convinzioni. Le mie Tesi sul secolo dell’atomo, dettate agli studenti di Berlino nel 1959 dopo il mio ritorno da Hiroshima, terminavano così: «E se sono disperato, cosa volete che ci faccia?». Non è un «principio speranza». Tutt'al più un «principio spavalderia».
 
[marzo 1985]