Brulotti

Anticaglie

“Gaie follie del dolore ridente” avrebbe dovuto essere il titolo del terzo volume postumo delle opere di Renzo Novatore, la cui pubblicazione era prevista inizialmente per la fine del 1924. Se i testi che dovevano comporlo (novelle e frammenti sparsi) sono andati poi probabilmente perduti durante un sequestro della polizia di frontiera, migliore sorte ha avuto il saggio che ne avrebbe fatto da introduzione. L’autore è Erinne Vivani, amico dell’anarchico ligure nonché assiduo collaboratore dei periodici individualisti dell’epoca.
Approfittiamo dell’occasione per comunicare che finalmente l’antologia novatoriana
  “Le rose, dove sono le rose?è di nuovo disponibile presso le edizioni Gratis.
 
***
Erinne Vivani
 
«Colui che cade ribellandosi a tutti ed a tutto, anche cadendo domina»
Renzo Novatore
 
In un fosco meriggio autunnale, cadeva, colpito da piombo regio, il compagno, l’amico, il fratello Renzo Novatore.
La funesta notizia mi pervenne fulmineamente la sera del 30 novembre u.s., per mezzo del seguente laconico biglietto: «Renzo Novatore non è più. È stato assassinato. Non è ancora identificato; quando lo sarà, parlate di lui sui giornali, facendolo rivivere in una protesta. Pensate anche di fare qualche cosa per la sua famiglia. Non so cosa dirvi, ho la testa in fiamme».
Tale notizia produsse nell’animo mio l’effetto di una pugnalata nel cuore.
Povero, caro, grande compagno!
Soltanto dopo quattro giorni la polizia riuscì a identificare la sua salma, e noi potemmo ricostruire il tragico fatto.
Il 29 novembre u.s. Renzo Novatore entrava, insieme con un compagno di viaggio, all’«Osteria della Salute», a Teglia, frazione di Rivarolo Ligure, per far colazione.
Nella stessa osteria, verso mezzogiorno, arrivarono il Maresciallo del RR. CC. Lupano e tre militi, tutti quanti in borghese, i quali chiesero da mangiare, manifestando il desiderio di spendere poco e fingendosi operai disoccupati.
I «bravi» avevano ricevuto l’incarico di dar la caccia all’uomo e studiavano il momento opportuno per gettarsi sulla preda e straziarla.
Ma ben triste e rischioso è il mestiere del birro!
Quando i nostri amici ebbero terminato di desinare, chiesero il conto per andarsene. Allora il maresciallo fece un cenno a’ suoi sgherri — come per dire «è l’ora» — e tutti e quattro si alzarono e, puntando le rivoltelle in petto ai ribelli, intimarono loro il fermo. Ma essi, come tante altre volte, urlarono in faccia al nemico il loro satanico e tragico «NO» e aprirono il fuoco.
La scena si svolse fulminea e raccapricciante. In men d’un minuto echeggiarono sinistramente più di venticinque colpi.
Dopo la furibonda battaglia giacevano al suolo esanimi Renzo Novatore e il maresciallo Lupano; e uno dei carabinieri, certo Corbella, era rimasto ferito gravemente.
Forse i militi speravano nella resa dei ribelli, ma s’ingannarono. Renzo — non parliamo dell’altro che non conosciamo — apparteneva alla razza fiera ed indomita di coloro che non si lasciano catturare vivi per essere poi trascinati e sepolti in una galera: egli apparteneva ad una razza superiore.
Se ciò avesse saputo l’incauto gallonato, avrebbe certo rinunciato alla sua spavalda impresa, che gli costò la vita.
Addosso al fratello caduto furono sequestrate due rivoltelle cariche, diversi caricatori di riserva, due bombe e una borsa di cartucce.
Ben altro che individualismo metafisico il suo, o filosofastri salariati del Neo Cristianesimo e della Riforma!
Il Lupano — da buon mercenario — cadde per la difesa di un regime, che è condannato dalla storia e dalla natura perché idiota e feroce; mentre il nostro Renzo cadde per la difesa della propria vita e della propria libertà.
Per il primo sparsero lacrime ipocrite i parassiti immondi, i gazzettieri prezzolati ed idioti, i ladri e le prostitute di alto bordo, ossia tutti i vampiri umani; per il secondo impallidirono ed ebbero l’animo lacerato i fratelli del dolore e della rivolta.
 
Renzo Novatore — pseudonimo di Ricieri Ferrari — nacque ad Arcola (provincia di Genova) nel 1890.
Egli nacque anarchico, e visse e morì anarchicamente, come ben pochi sanno fare.
Era un anarchico individualista, nichilista, iconoclasta, amoralista, illegalista nel vero e assoluto significato dei termini.
Aborriva tutti i partiti e tutte le sette, tutte le scuole e tutte le dottrine, le quali si equivalgono nel cloroformizzare il gregge con la lusinga della Terra promessa, del ritorno di una nuova Arcadia, della conquista del Paradiso terrestre e del Regno della cuccagna universale.
Tutte le teorie dei rassegnati e dei poveri di spirito, che parlano di un domani ingannevole, venivano da lui respinte con un grido di protesta e di ribellione:
«Domani!»
«Ma oggi?»
«Oggi non ci resta che urlare il tragico NO della negazione e della nostra rivolta».
Renzo Novatore era un volontarista e, come tale, voleva vivere intensamente e liberamente; e alla vita negativa, alla lenta agonia preferì la morte violenta e cadde da eroe colpito in petto.
«Il diritto alla vita non si mendica, ma si prende», ed egli non mendicò mai codesto diritto, come fanno i più, ma lo prese e lo tenne finché il tragico, inesorabile fato — a cui egli non credeva — lo travolse nel baratro, facendo scempio del suo corpo, non però del suo spirito.
Il suo spirito aleggia sopra di noi e dentro di noi; ci è monito e guida: esso c’innalzerà alle altezze sublimi del sole o ci trascinerà nell’abisso che pure amiamo.
Lo spirito del ribelle domina sempre. Sì, perché — come affermava il grande scomparso alla vigilia della sua tragica fine — «colui che cade ribellandosi a tutti ed a tutto, anche cadendo domina».
Egli amava la vita con le sue gioie, ma anche con le sue lotte, co’ suoi pericoli, co” suoi dolori, con le sue tragedie, perché era un forte che sfidava tutte le tempeste.
Il suo Anarchismo non consisteva nella vuota e rancida formula dei teorici o nella dottrinetta dei neofiti; per lui Anarchismo significava Pensiero ed Azione, Volontà, Forza, Violenza e Potenza, Arte e Bellezza, Libero istinto, Spiritualità e Passione, Lirismo e Tragedia.
Il suo Anarchismo non era il fine, ma il mezzo, non il divenire, ma il presente, non era statico, ma dinamico. Il suo fine era la vita completa, gagliarda, esuberante, degna d’essere vissuta e goduta.
Renzo Novatore fu l’artefice del suo Anarchismo, il difensore della sua libertà, per la quale tutto sacrificò spontaneamente, stoicamente, finanche la vita.
«Perché il ribelle — come egli esclamava — è colui che ha imparato il segreto del vivere e l’arte del morire».
La sua figura di anarchico illegalista rifulge e sarà ricordata finché vivrà sulla terra un solo ribelle.
Renzo Novatore si domandò: «L’Anarchismo dev’essere vissuto dagli anarchici, o semplicemente propagato con la pazienza dei rassegnati, dei martiri e dei santi?». E la risposta non gli fu difficile. Egli uscì dalla società dei bruti, s’innalzò sopra di essa, le sferrò colpi terribili, ogni ora, ogni momento, finché cadde.
Laddove divampava la lotta, egli accorreva, per la sua libertà, per la sua vita, sfidando i pericoli, il destino e la morte.
Egli fu un grande ribelle ed un espropriatore audace, come Ravachol, Duval, Bonnot e tanti altri dell’Anarchismo eroico.
Ravachol lasciò la testa nel paniere del boia, Duval fu cacciato in galera e torturato dagli aguzzini, Bonnot morì combattendo dopo aver fatto parlare di sé tutto il mondo; Renzo Novatore seguì la sorte di quest’ultimo.
Se le sue gesta non furono clamorose come quelle dell’anarchico francese — per ragioni che qui è inutile dire, ma che tutti possono comprendere — furono, però, non meno eroiche.
Qualcuno, non avendo la fortuna di conoscere Renzo Novatore, pretendeva che questi non fosse individualista, Unico, e scriveva: «È colpa mia se la natura non mi ha dato il genio fulgidissimo e strafottentemente simpatico di Oscar Wilde? È colpa mia se non mi ha dato il carattere ferreo ed i nervi di acciaio de l’epicamente eroico Bonnot? Ma io li comprendo questi Unici, e li ammiro e li invidio e giungo anche a dar loro il diritto di disprezzare tutto il genere umano, di deriderlo, di calpestarlo…».
Nel confessare al propria impotenza, credeva che tutti dovessero rasomigliare a lui. E continuava, rivolgendosi a Renzo e a tutti gl’individualisti: «Volete avere questo diritto, volete avere questo gusto, volete soddisfare questa vostra ambizione? Ebbene, fate qualche cosa di vostro; osate; osate e create, create, create…».
È convinto e persuaso ora il critico che Renzo abbia osato, dimostrando di possedere il carattere ferreo e i nervi d’acciaio de l’epicamente eroico Bonnot?
Ma perché parlano taluni, quando non sanno quel che si dicono? Pretendono forse che gli Unici vadano tutti a finire all’ergastolo o al capestro per offrire ai compagni la prova della loro unicità?
Secondo certi compagni, Renzo non sarebbe stato mai «Unico», se non fosse caduto. Non è vero, o amici della logica?
Per noi, però, egli fu grandemente, fieramente, gloriosamente «Unico».
Sarebbe interessante poter narrare tutti gli episodi della sua vita turbinosa di anarchico illegalista, ma ben arduo, anzi impossibile, sarebbe il compito.
Mi limiterò ad accennarne uno recentissimo.
Quando scoppiò in tutta Italia la bufera statale-fascista, egli, con un solo compagno al fianco, respinse a colpi di rivoltella una aggressione di camicie nere, e poi, a colpi di bombe, un attacco della polizia.
Oh, se gli incensati proletari si fossero comportati come lui!
Coloro che imprecano contro la violenza giudicandola inutile e nociva ai principii e ai fini anarchici sono in gravissimo errore, ammesso che siano addirittura in malafede.
Sarebbe forse inutile la violenza, se tutti gli anarchici inferissero alla società colpi terribili come quelli di Renzo Novatore? Io penso, invece, che essa sarebbe salutare, purificatrice.
Ma di questo avviso, purtroppo, non sono i nemici della violenza, i quali, per ingannare il tempo e gl’imbecilli, fanno delle classificazioni e delle sotto-classificazioni della parola incriminata e pericolosa e sputano sentenze contro i vidici dell’azione e dell’Anarchia.

Se grande — come uomo d’azione — era la figura del fratello caduto, bella era la sua figura di pensatore e d’artista.
Egli frequentò soltanto la prima classe elementare, perché, fin da allora, male si adattava agl’insegnamenti ufficiali impartiti con metodi dogmatici e alla disciplina di coloro che considerano i fanciulli come fossero delle cose, anziché dei piccoli uomini dotati di volontà e d’intelligenza.
Noto fra parentesi che il metodo d’insegnamento in Italia, dalla scuola elementare all’Università — fatte rarissime eccezioni — è dogmatico, non seconda la natura del discente, ma la opprime. Impone l’amore alla patria, al re, al papa, alla guerra, al fascismo.
Renzo Novatore fu un autodidatta e studiò con volontà ferrea, con tenacia indicibile, con fervente amore, passando intere notti sui libri, che furono i migliori amici di tutta la sua vita. E con l’intuizione e l’intelligenza pari alla volontà, riuscì a formarsi una cultura profonda e multilaterale.
Non abbandonò mai gli studi e nelle ore di tregua che gli concedeva la sua vita burrascosa, ricorreva ai libri che gli procuravano il più elevato, il più intimo godimento.
Egli aveva la mente del filosofo negatore e distruttore e l’anima ipersensibile del poeta passionale. Strano dualismo che lo faceva terribilmente soffrire e immensamente godere al tempo stesso.
Abbiamo detto che egli amava il dolore; dobbiamo aggiungere che lo amava intensamente, profondamente, perché era suo, tutto suo.
Studiò molto la filosofia nei libri e nella vita; studiò la poesia, quella poesia che è elevazione e compenetrazione degli spiriti superiori, non semplice rima e suono.
I suoi autori preferiti — per citarne pochissimi — erano Stirner, Nietzsche, Iblsen, Wilde, Baudelaire, ecc., ma non fu né stirneriano, né nietzschiano, né seguace di nessuno.
Se aveva alcuni punti di contatto con essi, alcune vedute eguali, non poteva seguirli in tutto e per tutto, perché aveva la sua anima, la sua originalità, la sua genialità.
L’individualista — lo affermai in altro scritto — non segue nessuna dottrina, né nessun uomo.
Renzo amava l’arte libera fine a se stessa, vale a dire l’arte per l’arte. Scrisse sui nostri giornali e sulle nostre riviste numerosissimi articoli, ottimi per la profondità e l’originalità del pensiero, per la vivacità e l’eleganza della forma, per l’audacia delle espressioni, per l’acutezza dell’osservazione e della critica, per la bellezza e la purezza delle immagini, per lo splendore e il fuoco della fantasia.
Egli fu uno scrittore allegorista e simbolista, e diede ai nervi a qualche critico norcino, che gli rimproverò la inutilità della sua arte fatta di simboli e di allegorie.
Ma egli rispose dichiarandosi grato per l’altissimo onore che gli si tributava nel giudicare inutile la sua arte, perché «solo ciò ch’è inutile è puro».
I moralisti ritengono inutile quella letteratura che non si prefigge uno scopo morale. Ma, o amici, è veramente inutile la bellezza?
La letteratura di Renzo Novatore non era forse utile allo spirito dell’autore e allo spirito di coloro che appartengono alla sua razza?
Egli, insieme con altri due compagni, fondò nel 1921 una rivista anarchica intitolata «Vertice».
Era una «rivista mensile d’Arte e di Bellezza» che morì dopo il primo numero per l’infuriare della reazione, unico vanto e gloria della monarchia di Savoia e de’ suoi satelliti.
La pubblicazione riscosse il plauso sincero di quanti ebbero il piacere di leggerla e di comprenderla. Ma è destino che le cose veramente belle non debbano aver vita duratura.
Se si fosse trattato di un mostriciattolo o di un aborto, tutto sarebbe andato diversamente: è chiaro e lampante.
Alcuni mesi or sono fu ripresa l’idea di una nuova rivista individualista dal titolo «Satanica», che sarebbe stata diretta da Renzo Novatore, da me e da un altro compagno; ma la reazione scoppiò più bieca e più feroce e infranse il nostro fulgidissimo sogno.
Renzo mi scriveva in tale occasione: «Il nostro sogno della rivista è ora infranto. Quando parla la dinamite, la penna tace».
Taccia pure la penna e taccia per sempre, e parli al dinamite un linguaggio nuovo!
Novatore sostenne interessanti e vivacissime polemiche sulle nostre pubblicazioni, in cui si distinse per l’elevatezza dei concetti e per la serenità dello spirito.
Quando però — senza alcuna ragione — fu aggredito da certi palloni gonfi di vento e di acido urico, da’ suoi «fratelli carogne» (frase memorabile con cui furono da lui bollati), i quali, per combatterlo, si servirono del vituperio più canagliesco e della calunnia più ripugnante, egli seppe rispondere per le rime, diede mano alla sferza e colpì spietatamente le piaghe cancrenose e fetide dei suoi vili persecutori e denigratori, che vennero inchiodato al muro della loro vergogna.

Un particolare. Nel dare comunicazione ai compagni individualisti della morte di Renzo, non feci il suo nome, perché non era stato ancora identificato dalla polizia. Io mi espressi così: «Il migliore dei nostri è caduto vittima della propria audacia…».
Ebbene, tutti quanti mi risposero di aver capito benissimo di chi si trattasse. Ciò dimostra in quale alta considerazione egli fosse tenuto da noi e quanto lo amassimo.

Ai primi dell’ottobre scorso, egli passò cinque o sei giorni con me. Poi ripartì verso l’ignoto, portando seco tutto il mio grande affetto, la parte migliore dell’animo.
Nel breve periodo trascorso insieme — periodo che costituisce il ricordo più caro e gentile di tutta la mia vita — io potei ammirare tutta la bellezza del suo cuore, tutta la nobiltà del suo intelletto.
Egli era davvero il migliore di noi e perciò cadde.

Il mostro della civiltà — sitibondo di sangue degli uomini liberi, forti e superiori — ghigna biecamente e ferocemente sulla fossa del fratello caduto, e già chiede imperiosamente nuove vittime per immolarle alla dea di tutte le nefandezze: la Morale. Ma i fratelli superstiti — i quali hanno scolpita nelle pupille la visione dell’agonia dell’eroe trafitto — spargono un fiore silvestre sulla sua tomba, affilano le armi del dolore e della vendetta e si ergono minacciosi, terribili ed implacabili come il Destino e la Morte.

dicembre 1922