Intempestivi

L’olocausto delle coscienze

«Il motivo per cui non risponderanno mai alla domanda: “Com’è possibile che sia accaduto?”, è che è una domanda mal posta. Data l’umanità, la domanda è: “Perché non accade più spesso?”»
(Hannah e le sue sorelle, 1986)
 

Se c’è una città dove l’appena trascorso 27 gennaio era facile capire scopo e significato delle iniziative organizzate ogni anno dalle istituzioni per commemorare la giornata della Memoria, ebbene quella città è Livorno. Per l’occasione, al Museo Fattori erano posti in bella mostra i documenti originali e il taccuino di memorie di Frida Misul, livornese sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz. Nell’immediato dopoguerra, Misul era una dei sette deportati ebrei italiani che misero nero su bianco le proprie vicissitudini nella Germania nazista; lei le raccontava nel suo libro intitolato Fra gli artigli del mostro nazista. Pubblicati nel 1946 (poi ampliati nel 1980), i suoi ricordi costituirono uno dei primi pugni nello stomaco della buona coscienza democratica, quella che proprio nell’estate di quell’anno concesse l’amnistia ai fascisti per grazia dello stalinista Togliatti. Non si può che rabbrividire davanti alle descrizioni riportate senza velleità letterarie da quella ragazza di 27 anni, scampata alla morte solo in virtù della sua bella voce; dalle condizioni del viaggio in Polonia stipati sui vagoni blindati:

«Ogni due giorni ci veniva distribuito un po’ di pane e di acqua. Eravamo al quinto giorno di viaggio e non ne potevamo più. Senza poter dormire né lavarsi si soffocava e ci auguravamo la morte che sarebbe stata la nostra liberatrice. Al sesto giorno il convoglio si fermò e credemmo di essere arrivati, invece la meta era ancora lontana. Ci fecero scendere per prendere un po’ d’aria e per poter soddisfare i nostri bisogni fisiologici; demmo sfogo così a tutto, dimenticando ogni vergogna, davanti ai tedeschi con il mitra puntato. Volevano che ci sbrigassimo e qualcuno, ridendo, mentre eravamo in certe posizioni, ci fotografava prendendo così delle belle foto che i fascisti delle Brigate Nere avrebbero conservato con orgoglio come testimonianza delle loro bravate, ridendo tanto da comprimersi la pancia. Poi alla svelta ci fecero risalire nel carro bestiame, ci rinchiusero di nuovo e il treno si rimise in moto»

all’accoglienza al loro arrivo ad Auschwitz:

«Era un inferno, ossia un passaggio nell'aldilà dopo atroci sofferenze. Immediatamente gli uomini vennero separati dalle donne e dai fanciulli, ordinarono loro di mettersi in fila ed in cammino e altrettanto fecero con noi che sfilavamo dinanzi a quelle canaglie. Alle mamme vennero subito strappati i bambini dalle braccia. Gettarono queste creature piangenti sul camion come fossero immondizia. Così, dopo tutta la selezione, rimanemmo 65 ragazze, tutte robuste. Ad un certo punto, prima di aspettare l’ordine per incamminarci di nuovo, un tedesco, per caso, vide che una delle ragazze teneva un grosso involto tra le braccia. Le fu intimato di far vedere che cosa c'era dentro e questa, tutta sconvolta e tremante, aprì uno scialle nero di lana e apparve una bella bambina di circa 6 mesi. La madre supplicò tanto il tedesco di non farle del male e chiese di andare dove sarebbe andata sua figlia per seguire lo stesso destino. Ma il tedesco con un grande sogghigno prese la povera creatura, le strappò i poveri stracci di dosso e poi, con grande sveltezza, la scosciò davanti agli occhi inorriditi della madre e di noi tutti. La povera donna non sopportando il grande dolore, cadde subito morta ai nostri piedi»

fino alla quotidianità dei campi di sterminio:

«E così era la nostra dura vita, dall'alba, cominciando sempre con l'appello, fino a sera, terminando con il medesimo. Una mattina delle tante ci portarono a 8 chilometri dal Campo, scortate dai tedeschi armati e da grossi cani. Il freddo era più intenso del solito, i nostri zoccoli di legno affondavano nella neve e ci impedivano di camminare svelte come volevano i carnefici, non sapevamo più come fare per poter far capire loro che era una cosa umanamente impossibile, ma questi non sentendo ragioni cominciarono a tirare legnate e la “iena bionda” (una Kapò tedesca), con un sorriso beffardo dette la via ai cani mastini lanciandoli contro di noi. Questi, affamati come erano, ci saltarono addosso ed una nostra povera amica di Fiume venne sgozzata e cadde in una pozza di sangue, molte erano le ferite gravi, io, per fortuna, ebbi solo un morso al braccio destro, così potei dare soccorso a quelle che erano maggiormente provate. Per noi quel giorno fu la marcia della morte, arrivammo a destinazione tutte contuse e inebetite dal dolore, nonostante tutto ciò fecero subito cominciare il lavoro di piccone per scavare delle trincee. Cominciò a piovere e i tedeschi, incuranti di noi andarono a ripararsi mentre i nostri poveri corpi rimasero per ore sotto l’acqua».

Sono pagine terribili, in cui è l’orrore ad assalire il lettore. L’orrore assoluto. Assoluto, perché ideato e progettato con meticolosità scientifica e su scala industriale. E poi, non certo imposto a popolazioni esotiche e selvagge, bensì a milioni di bianchi occidentali. I nazisti non sterminavano barbari al nobile fine di colonizzarli, sterminavano loro vicini di casa al fine di spazzarli via dalla faccia della terra. Ed è proprio l’indicibile ed incommensurabile assolutezza di questo orrore passato che ci sollecitano a ricordare, ma solo per meglio giustificare, tollerare e dimenticare la relatività di ogni altra forma di orrore presente.
Ebbene lo scorso 27 gennaio, a Livorno, c’è chi non ha potuto mettere piede al Museo Fattori. Si tratta della nipote di Frida Misul. Essendo priva dell'ignobile green-pass, non le è rimasto che fare un’amara constatazione: «non sarò ammessa a questo evento che commemora mia nonna perché non basta certificare che non ho il Covid e non metto in pericolo nessuno… semplicemente non ho il lasciapassare adatto». In quanto ebrea non avrà più nulla da temere dalle leggi razziali, certo, ma in quanto non-vaccinata è soggetta ai decreti sanitari. L’orrore sarà anche scomparso, ma l’accusa del sangue non è forse rimasta?
Che differenza fondamentale c’è, sostanziale e non formale, fra impedire di vivere e trucidare? Inutile chiederlo ai vari politici, giornalisti, medici, filosofi, giuristi... e giù, giù, fino all’ultimo piccolo Eichmann della democrazia, fino al più minuscolo cittadino kapò, a tutti coloro che si meravigliano e si indignano per le «strumentalizzazioni no-vax» della Shoah. Loro che tanto sogliono ricordare le sofferenze patite dagli ebrei, ci sembrano i primi a dimenticare le parole di Primo Levi:

«Non iniziò con le camere a gas. Non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio. Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita. E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, jugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali. Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle. Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione. Iniziò con le persone private dei loro beni, dei loro affetti, delle loro case, della loro dignità. Iniziò con la schedatura degli intellettuali. Iniziò con la ghettizzazione e con la deportazione. Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse “normale”».

Se oggi è diventato normale proibire di sbarcare il lunario e di avere una vita “sociale” a chi non ha il sangue scientificamente e legalmente stabilito, è perché c’è un altro Olocausto in corso: quello delle coscienze. «Il fascismo aveva funzionato soprattutto come anestetico, cioè privandoci della sensibilità», diceva Primo Levi. La democrazia funziona allo stesso modo, semplicemente fa ricorso a mezzi meno brutali e cruenti.

 

[13/02/22]