Autopsia

L’anarchismo nello specchio di Maximilien Rubel

René Berthier

 

 

L’evoluzione del pensiero critico di Maximilien Rubel lo ha condotto a formulare l’ipotesi che Marx sia stato un teorico dell’anarchismo. È facile immaginare come quest’idea non abbia sollevato l’entusiasmo dei marxisti, né tanto meno quello degli anarchici. Il fatto è che le contrapposizioni fra Marx e gli anarchici della sua epoca furono tali che, se si accettasse l’idea di un Marx teorico dell’anarchismo, si sarebbe costretti a respingere dal “pantheon” anarchico tutti gli altri, cosa che evidentemente semplificherebbe il dibattito... rendendolo inutile.

Questa tesi pone inoltre un altro problema: lo “spazio” dei teorici anarchici è già largamente occupato da individui, alcuni dei quali contemporanei di Marx, che non hanno mai preso in considerazione una simile congettura e di cui si può dire, senza tema di smentita, che l’avrebbero scartata vigorosamente. Maximilien Rubel è dunque nella scomoda situazione di chi si trova solo contro tutti. Peggio, egli pone lo stesso Marx in tale scomoda posizione in quanto, avendo combattuto per tutta la vita contro gli anarchici — in particolare Proudhon e Bakunin —, l’autore del Capitale si troverebbe investito di un ruolo che egli stesso, i suoi avversari e i suoi partigiani avrebbero respinto, ma di cui Rubel si propone di dimostrare la fondatezza.

 

 

L’immagine dell’anarchismo nello specchio di Marx

 

Non essendo l’ipotesi di un Marx teorico dell’anarchismo un capriccio passeggero di Rubel, ci sembra necessario esaminare la questione più da vicino. Un esame giustificato in larga misura dalla qualità stessa di Maximilien Rubel, la cui vita e la cui opera furono consacrate alla rivoluzione e alla critica rivoluzionaria. Il rispetto dovuto al militante e all’intellettuale rivoluzionario non deve però renderci ciechi né dispensarci dall’esercitare una riflessione sulle sue tesi. Si tratta incontestabilmente del migliore omaggio che possiamo rendergli.

È un compito che presenta tuttavia una difficoltà metodologica. In effetti, si potrebbero considerare solo le affermazioni “anarchiche” che Maximilien Rubel attribuisce a Marx, esaminandole da un punto di vista critico. Ma ci si accorgerebbe che quanto ha detto Marx a questo proposito si riduce a ben poca cosa, e che la sostanza dell’argomentazione di Rubel poggia sull’ipotetico contenuto di un libro che Marx avrebbe avuto in mente, ma che non ha mai avuto il tempo di scrivere.

Questo primo approccio presenta l’inconveniente di eliminare... “l’anarchismo reale”, vale a dire il pensiero e l’azione di coloro che fino ad ora si aveva l’abitudine di considerare anarchici. Esiste una evidente contraddizione nel fatto che Marx si veda attribuire la qualità di anarchico, essendosi costantemente battuto contro gli anarchici, Bakunin in particolare... Ora, Marx ha fornito un corpus d’argomenti di cui occorre esaminare la pertinenza e che è stato ripreso senza modifiche dai suoi discepoli. Attraverso i suoi scritti, si può esaminare una rappresentazione dell’anarchismo a cui egli non aderisce affatto.

Oggi, a oltre un secolo di distanza, non sono molte le persone disposte a convenire che ciò che Marx sosteneva dell’anarchismo, soprattutto delle posizioni di Bakunin, fosse in buona fede. Non si tratta quindi di riprendere tale e quale l’argomentario di Marx per servirlo di nuovo, presentandolo come un'analisi delle idee di Bakunin. Una simile operazione ridicolizzerebbe chi vi si dedicasse. Eppure, è ciò che fa la quasi totalità degli autori marxisti dopo Marx. Ora, un esame sistematico di tutte le menzioni di Bakunin nella raccolta di articoli Marx critico del marxismo rivela che Rubel non è esente da un simile errore. È vero che Bakunin è lungi dall’essere la principale preoccupazione dell’autore, ma le numerose allusioni che egli ne fa sono rivelatrici delle fonti limitate cui Rubel ha attinto.

Si potrebbe allora porre la questione: l’immagine dell’anarchismo nello specchio di Marx, le deformazioni e i silenzi di Marx ripresi dai suoi discepoli, non dicono sul marxismo tanto quanto le opere e le pratiche dello stesso Marx?

Ci sembra impossibile eliminare dalla questione Marx era un teorico anarchico? i rapporti che Marx aveva con Bakunin. In larga misura, marxismo ed anarchismo si determinano e si definiscono l’uno in rapporto con l’altro.

Ma, anche qui, sorge una doppia difficoltà:

1) Il pericolo di uno scivolamento progressivo (ed inevitabile...) del dibattito Marx era anarchico? verso il dibattito Marx/Bakunin.

2) E la difficoltà di rimanere sereni, di resistere alla tentazione di finire nella polemica e abbandonare il terreno della riflessione.

Secondo Georges Haupt, il rifiuto di Marx «di intavolare una discussione dottrinale [con Bakunin] è anzitutto di ordine tattico. Tutto lo sforzo di Marx tende, in effetti, a minimizzare Bakunin, a negare ogni consistenza teorica al suo rivale. Egli rifiuta di riconoscere il sistema di pensiero di Bakunin, non perché ne neghi la consistenza, come afferma perentoriamente, ma in quanto cerca in questo modo di screditarlo e di ridurlo alla stregua del capo di una setta e di un cospiratore di vecchio stampo» (1).

Ci è parso che, quando affronta la questione del rapporto fra i due, Maximilien Rubel abbandoni troppo spesso il ruolo di ricercatore per assumere quello del partigiano: il fatto è che l’affermazione di Marx come teorico dell’anarchismo implica imperativamente l’eliminazione di Bakunin dal campo e invalida con ciò Rubel come pensatore dell’opera di Bakunin, come testimonia il suo articolo sul libro di Bakunin, Stato e anarchia, apparso nel "Dictionnaire des œuvres politiques".

La nostra ipotesi trova conferma nella constatazione che i numerosi punti in comune fra i due uomini (2) non vengono assolutamente rilevati da Rubel, troppo preoccupato a sottolineare le differenze, presentate in maniera tale da non poter suscitare che l’adesione del lettore all’idea dell'incomparabile superiorità di Marx in tutti gli ambiti. Ora, la constatazione di questi numerosi punti in comune avrebbe potuto servire allo scopo di Maximilien Rubel. Riconoscendo che la violenza della contrapposizione fra i due era dovuta alle identiche fondamenta del pensiero, Rubel avrebbe potuto, superando l’abituale livello aneddotico del dibattito così come si è mantenuto, trovare un punto d’appoggio considerevole alle sue ipotesi (formuliamo questa idea senza anticipare un giudizio sul risultato a cui Rubel sarebbe pervenuto, ovviamente...). Tuttavia, egli avrebbe dovuto “condividere”...

 

 

Dottrine legittimanti e miti fondatori

 

Marxismo ed anarchismo hanno subito la prova della realtà attraverso l’esperienza della Prima Internazionale. Successivamente i teorici hanno elaborato le dottrine legittimanti ed i miti fondatori dei rispettivi movimenti, e dato inizio a tutti gli approcci dogmatici del “dibattito” Marx/Bakunin. La realtà è molto più triviale. Né Marx né Bakunin rappresentavano granché.

Prendiamo le sezioni su cui Marx riteneva di poter fare affidamento, e che sono anche le sezioni che trovano in Marx una giustificazione della propria attività istituzionale.

– Gli operai inglesi si disinteressavano completamente dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT) ed i dirigenti sindacali utilizzavano l’Internazionale solo per ottenere la loro riforma elettorale. Dopo il congresso di La Haye, la nuova federazione inglese, nauseata dagli intrighi di Marx, si allineò alle posizioni della federazione giurassiana, bakuninista...

– L’AIT tedesca non fu mai molto rappresentativa. Lo sviluppo del partito socialdemocratico corrispose al declino dell’AIT in Germania. Le sezioni create da Becker vennero svuotate di sostanza. Il partito socialdemocratico, teoricamente affiliato, aveva con l’Internazionale un rapporto meramente platonico, a detta dello stesso Engels: «Non c’è mai stata autentica adesione, nemmeno da parte di persone isolate» (3).

Quattro mesi prima del congresso di La Haye che doveva interinare l’esclusione di Bakunin e James Guillaume, Engels scrisse una lettera pressante a Liebknecht: quante tessere avete distribuito? gli chiese: «Le 208 calcolate da Finck non sono mica tutto!». È quasi un vento di panico che soffia sotto la sua penna: «La cosa si fa seria, e dobbiamo sapere a che punto siamo altrimenti ci costringerete ad agire per conto nostro, considerando che il Partito operaio socialdemocratico è estraneo all’Internazionale e si comporta nei suoi confronti come una organizzazione neutra» (4). È difficile esprimere in maniera più chiara il totale disinteresse in cui si trovava la socialdemocrazia tedesca nei confronti dell’AIT.

– Quanto alla sezione ginevrina, era costituita dall’aristocrazia dei cittadini-operai dell’industria orologiera svizzera, occupata a concludere alleanze elettorali coi borghesi radicali (5): «invischiati nei compromessi elettorali coi radicali borghesi», come disse Bakunin.

Così, quando Marx decise di escludere gli anarchici, era singolarmente sprovvisto di buone carte, a parte il suo controllo sull’apparato dell’organizzazione. La situazione di Bakunin nell’Internazionale non era migliore, né era maggiore l’autorità reale che egli poteva esercitarvi. Allorché la sezione ginevrina dell’Alleanza si dissolse, non chiese nemmeno il parere di Bakunin, il che la dice lunga sulla “dittatura” che egli doveva esercitarvi.

I discorsi agiografici e dogmatici dei teorici, e di quelli che li ripetono fino alla nausea, sui gloriosi dirigenti del proletariato internazionale, hanno mascherato in modo efficace la realtà. Una volta riconosciuta la realtà nella sua crudezza, le teorie fatte al riguardo appaiono per quel che sono: menzogne.

Una lettura autentica della storia dell’AIT in quanto avvenimento fondatore del marxismo e dell’anarchismo reali sistemerebbe un po’ le cose, e rimetterebbe i “teorici” al loro posto. Franz Mehring è una delle rare persone ad avere colto la situazione con acume. Parlando dell’opposizione bakuniniana, dice: «Si capisce che la ragione per cui essa aveva preso il proprio nome da Bakunin, è perché credeva di trovare nelle sue idee la soluzione degli antagonismi e dei conflitti sociali di cui era il prodotto» (6), Si potrebbe dire esattamente la stessa cosa di Marx. Mehring non ha quindi un approccio ideologico alla questione (7), egli fa un’analisi in termini di classe, delle forze sociali contrapposte. Ora, sta proprio qui la chiave dei conflitti nell’AIT, cosa che Rubel non riuscirà a comprendere, offuscando la sua capacità di cogliere l'autentica posta in gioco. Bakunin e Marx non inventano niente, non fanno che teorizzare situazioni di cui sono i testimoni.

Il discorso fatto da Marx, volente o nolente, conforta le posizioni delle sezioni che possono raggiungere un miglioramento della loro situazione attraverso le elezioni. Le sezioni che non si aspettano nulla da un'azione elettorale propendono per Bakunin: gli operai stranieri di Ginevra, mal pagati, disprezzati, senza diritti politici; la gioventù italiana declassata e senza avvenire; i contadini dell’Andalusia e d’Italia affamati dai grandi proprietari; il proletariato miserabile d’Italia; gli operai dell’industria catalana ed i minatori del Borinage, in Belgio, due regioni dove esiste un proletariato concentrato e rivendicativo, ma i cui minimi accenni di sciopero vengono annegati nel sangue e che non possono ottenere alcuna riforma pacifica. Tutti costoro non trovano niente che possa aiutarli, sostenerli, nel discorso di Marx, tanto più che quando ci sono marxisti (ovvero: persone che preconizzano l’azione legale e si richiamano alla direzione dell’Internazionale), questi ultimi si adoperano a spezzare i movimenti rivendicativi.

Le osservazioni di Maximilien Rubel sulle posizioni di Bakunin riguardanti l’Italia sono particolarmente rivelatrici della sua incomprensione della realtà dei problemi che scuotevano l’Internazionale. Rubel infatti ironizza sul fatto che Marx... «avrebbe dovuto rinunciare ai principi fondamentali della propria teoria per accettare la tesi di Bakunin sulle possibilità di una rivoluzione sociale: queste sarebbero state maggiori in Italia che in Europa, per la semplice ragione che esiste da una parte "un vasto proletariato dotato di straordinaria intelligenza, ma in gran parte senza istruzione e profondamente misero, composto da due o tre milioni di operai che lavorano nelle città e nelle fabbriche, così come da piccoli artigiani" e, dall’altra parte, "venti milioni circa di contadini che non possiedono nulla"(8). E dopo aver sottolineato il vantaggio dell’assenza, in Italia, di un livello privilegiato di operai che beneficiano di alti salari, Bakunin passa al suo primo attacco contro il partito "avverso"», cioè Marx (9).

La semplice esposizione delle posizioni di Bakunin merita la confutazione; non c’è bisogno di soffermarsi, di fatto l'interesse di Rubel è su quanto Bakunin dice di Marx, e che in realtà non presenta alcun interesse. Si ha l’impressione che Rubel abbia aperto quella pagina di Stato e anarchia solo perché Marx vi è menzionato, mentre nella pagina precedente si trova il cuore dell’argomentazione di Bakunin, incomprensibile se ci si attiene a ciò che ne dice Rubel.

Ci sono in Italia, dice sostanzialmente Bakunin, tre milioni di operai ipersfruttati, miserabili, venti milioni di contadini senza terra, e — cosa che Rubel non menziona — transfughi del mondo borghese che hanno raggiunto la lotta per il socialismo, il cui aiuto è prezioso (a condizione che essi abbiano «in odio le aspirazioni della borghesia al potere», precisa ugualmente Bakunin). Il popolo (10) «dà loro la vita, la forza degli elementi e un campo d’azione; in compenso, esse gli apportano conoscenze positive, dei metodi di astrazione e di analisi, così come l’arte di organizzarsi e di costituire alleanze che, a loro volta, creano questa forza combattente cosciente senza la quale la vittoria è inconcepibile».

C’è qui tutta la visione strategia di Bakunin riguardo l’Italia, visione che diventa perfettamente coerente dal momento che si introducono i transfughi della borghesia che costituiscono il cemento della rivoluzione. Del resto, la situazione che descrive non ne evoca forse un’altra, quella della Russia del 1917 (11)?

L’analisi di Bakunin, così restituita, non si colloca affatto al di fuori dei principi fondamentali della teoria sociale di Marx, al contrario. Si potrebbe anzi dire che Bakunin fosse un “marxista” migliore di Rubel...

 

 

L’esperienza pratica della solidarietà

 

A partire dal 1866, un movimento di scioperi si estende amplificandosi in tutta Europa e la sua repressione spesso feroce non fa che accrescere l’influenza dell’Internazionale, creata appena due anni prima.

Gli scioperi, che fino ad allora erano stati occasionali, diventano vere e proprie lotte di classe, che permettono agli operai di fare l’esperienza pratica della solidarietà che talvolta arriva loro dall’estero.

– Sciopero dei lavoratori del bronzo parigini nel febbraio 1867, collette organizzate dall’AIT; sciopero dei tessitori e dei filatori di Roubaix, marzo 1867; sciopero del bacino minerario di Fuveau, di Gardanne, Auriol, La Bouilladisse, Gréasque, aprile 1867 - febbraio 1867, adesione dei minatori di Faveau all’AIT; l’essenzia dell’attività delle sezioni francesi a partire dal 1867 sarà il sostegno di questi scioperi e le azioni di solidarietà per spalleggiare gli scioperi all’estero.

– In Belgio, sciopero dei minatori di Charleroi, represso duramente dall’esercito e che provocherà un rafforzamento dell’AIT; sciopero dei tessitori di Verviers che vogliono tenere la loro cassa di sostegno nell’AIT; sciopero dei velai ad Anversa; l’AIT sosterrà gli scioperanti con fondi. Tutta la parte industrializzata del Belgio è raggiunta dall’AIT.

– A Ginevra, sciopero degli operai dell’edilizia, lanciato in un periodo favorevole di piena occupazione, ben condotto, che si conclude con successo. Solidarietà internazionale efficace. Un delegato al congresso dell’AIT a Bruxelles dichiarerà: «I borghesi, sebbene questa sia una repubblica, sono stati peggiori che altrove, ma gli operai hanno tenuto duro. Prima dello sciopero non c’erano che due sezioni, ora ce ne sono ventiquattro a Ginevra con 4.000 iscritti».

Questi avvenimenti possono essere messi a paragone con la constatazione fatta da Mehring: ovunque la strategia di Marx veniva messa in pratica, l’AIT scompariva: «Laddove si creava un partito nazionale, l’Internazionale si spostava» (p. 533). Era esattamente questo il pericolo che Bakunin non aveva smesso di denunciare.

L’AIT raccomanda spesso moderazione, ma è spinta a condurre lotte sempre più numerose e violente. La sua sola esistenza, sostenuta da qualche successo iniziale, crea un fenomeno di trascinamento, un effetto cumulativo. La violenza stessa della repressione spinge gli operai ad organizzarsi. Ad ogni intervento dell’esercito, i riformisti perdono terreno e, a poco a poco, l’Internazionale si radicalizza; questa radicalizzazione, bisogna precisarlo, non è il risultato di un dibattito ideologico ma dell’esperienza sia delle lotte sia della pratica della solidarietà internazionale sul campo.

Esiste quindi indubbiamente una spaccatura nel movimento operaio internazionale di cui l’opposizione Marx/Bakunin non è la causa ma l’espressione. Non si sottolinerà mai abbastanza il fatto che la teoria anarchica formulata da Bakunin fra il 1868 e la sua morte nel 1876 è basata interamente sull’osservazione che egli fa delle lotte operaie di quel periodo.

Così come quando, venticinque anni dopo, nel 1895, Engels scriverà: «L’ironia della storia mette tutti i significati sotto sopra. Noi, i “rivoluzionari”, i “facitori di disordini”, prosperiamo molto meglio con i mezzi legali che con i mezzi illegali e il caos» (12), si ha l’impressione che egli si trovi nell’esatta continuità di posizioni della direzione marxiana dell’AIT, malgrado qualche frecciata lanciata nell’occasione contro i feticisti del legalismo. Quattro anni più tardi, tuttavia, nella sua critica al programma di Erfurt, allorché le due principali rivendicazioni del 1848 sono realizzate — l’unità nazionale ed il regime rappresentativo — Engels constata con stizza che «il governo possiede ogni potere esecutivo, e le camere non hanno nemmeno il potere di rifiutare le imposte [...]. Il timore di un rinnovamento della legge contro i socialisti paralizza l’azione della socialdemocrazia», dice ancora, confermando l’opinione di Bakunin secondo cui le forme democratiche offrono ben poche garanzie al popolo (13).

L’originalità dell’analisi bakuniniana è di aver mostrato che, nel suo periodo costitutivo, il movimento operaio non poteva sperare nulla dalla subordinazione della propria azione alla rivendicazione della democrazia rappresentativa, perché doveva affrontare la violenza statale; e nel periodo di stabilizzazione, quando la rivendicazione veniva accordata, le classi dominanti e lo Stato avevano i mezzi per impedire che l’utilizzo delle istituzioni rappresentative rimettesse in causa i loro interessi. Bakunin ha infatti affermato che i democratici più ardenti restano dei borghesi, e che basterebbe una «affermazione seria, non solo a parole, delle rivendicazioni o degli istinti socialisti da parte del popolo perché essi si gettino immediatamente nel campo della reazione più nera e più insensata», suffragio universale o meno. La storia gli ha dato ragione.

 

 

Il malinteso sullo «statalismo» di Marx

 

Ci si può rammaricare del fatto che Rubel, nella sua cura di mettere in rilievo le divergenze fra Bakunin e Marx, non abbia saputo ritracciarne la genesi, che in parte poggia, come abbiamo visto, sul sostegno dato loro da frazioni diverse della classe operaia europea, ma anche per buona parte su un malinteso.

Lo statalismo che Bakunin rimprovera a Marx è essenzialmente quello di Lassalle (14). Si tocca qui un punto storico dei rapporti fra Marx e la socialdemocrazia tedesca. Marx, in effetti, aveva preso le distanze da Lassalle solo tardivamente per diverse ragioni: perché aveva bisogno di lui per farsi pubblicare, perché riceveva da lui denaro in prestito e perché pensava che, malgrado tutto, Lassalle contribuisse a diffondere le sue idee in Germania. D’altronde, Marx riteneva di poter fare affidamento sulla socialdemocrazia tedesca nella sua politica in seno all’AIT.

Questa situazione ha contribuito ad alimentare contemporaneamente l’idea di una convergenza di vedute fra Marx e Lassalle e quella dell’approvazione senza riserve di Marx verso la politica della socialdemocrazia. Bakunin non poteva ovviamente conoscere le violente critiche contro la socialdemocrazia tedesca che Marx sviluppava nella sua corrispondenza.

Che due avversari politici si lancino accuse accompagnandole con numerosi epiteti, fa parte del gioco. Il ricercatore, un secolo più tardi, non è tenuto a prendere alla lettera queste accuse, cioè a rientrare nel gioco degli avversari. Sarebbe convenuto, al di là dell’aneddoto o della presa di posizione partigiana, situare il fondamento teorico delle divergenze. Nel caso di Bakunin e Marx, la prima questione che conviene porre, sistematicamente, è: sono davvero così in disaccordo?

Al posto di un approccio ideologico consistente nel prendere in considerazione solo ciò che i protagonisti hanno detto di se stessi e del rispettivo rivale, e nel prendere le loro dichiarazioni per oro colato senza alcun esame critico, un approccio storico avrebbe permesso di sfrondare una buona parte di contrapposizioni.

L’affermazione di Maximilien Rubel riguardo “l’anarchismo” di Marx può suscitare di primo acchito un rifiuto violento (15) che la lettura dell’articolo sul libro di Bakunin, Stato e anarchia, nel "Dictionnaire des œuvres politiques" non ha attenuato. In effetti, il lettore che ha letto l’opera di Bakunin ne trae l’impressione che Rubel non abbia considerato che i passaggi in cui il rivoluzionario russo parla di Marx (16). Si giunge quindi a interrogarsi circa l’opportunità di affidare a Rubel il compito di scrivere, su un’opera di Bakunin, un articolo che finisce evocando il grande progetto non realizzato da... Marx, il che la dice lunga sul soggetto che viene realmente trattato (il nome di Bakunin viene menzionato 53 volte, quello di Marx 47 [senza contare le citazioni e le note]).

Benché, ancora oggi, il nostro disaccordo con Maximilien Rubel non si sia sostanzialmente modificato, conviene forse superare il problema e porre altre questioni, forse più pertinenti; non più: Marx è un teorico dell’anarchismo?, ma: Perché diavolo Rubel vuole ad ogni costo fare di Marx un teorico dell’anarchismo?

– Poiché insomma, se l’obiettivo di Rubel è di promuovere l’anarchismo, perché si appella a Marx per fare questo? E soprattutto, perché si appella a Marx escludendo ogni altro? Perché non fa opera creatrice (17), elaborando una dottrina originale fondata su una sintesi di Marx, Proudhon e Bakunin, anche se questi ultimi due autori non hanno detto che asinerie?

– E se il suo obiettivo è di ristabilire il pensiero di Marx liberandolo da ogni accusa di statalismo, c'era bisogno di arrivare fino al punto di farne un teorico dell’anarchismo?

Può darsi che non avremo mai risposta a queste domande, ma vale forse la pena di porle, non foss’altro che per superare lo stadio dell’approccio superficiale delle relazioni tumultuose fra anarchismo e marxismo.

 

 

Le basi razionali dell’utopia anarchica

 

Marx è stato dunque il primo «a gettare le basi razionali dell’utopia anarchica e a definirne uno dei progetti di realizzazione». Questa affermazione di Rubel implica senza ambiguità che gli autori contemporanei di Marx come Proudhon e Bakunin, tradizionalmente indicati come anarchici, siano scartati dallo statuto di teorici a pieno titolo e relegati «nel migliore dei casi» in quello di precursori.

La tesi di Rubel si fonda sull’ipotetico contenuto di un libro che Marx non ha scritto, ma che aveva in cantiere: «il "Libro" sullo Stato previsto nel piano dell’Economia, ma non scritto, non poteva che contenere la teoria della società liberata dallo Stato, la società anarchica» (18).

Tutta l’impalcatura si basa su un'ipotesi che nulla permette di verificare: questo libro non scritto non poteva che contenere, etc., il che vale a dire che Maximilien Rubel non ne sa niente, ma lo suppone, a meno che non sia in grado di produrre un documento dove Marx dice esplicitamente: Ho in progetto un libro sullo Stato nel quale svilupperò la teoria della società anarchica.

Pare che Maximilien Rubel non abbia granché da produrre, poiché riconosce che la via anarchica seguita da Marx è implicita, cioè non formulata: in altre parole, deve essere dedotta dalla sua opera.

Se il marxismo reale non ha seguito questa via anarchica implicita nel pensiero di Marx, è perché alcuni «discepoli poco scrupolosi hanno invocato certe attitudini del maestro per mettere la sua opera al servizio di dottrine e di azioni che ne rappresentano la più completa negazione». Il «socialismo realizzato», secondo l’espressione di Maximilien Rubel, è uno snaturamento del pensiero di Marx.

Si potrebbero analizzare queste affermazioni alla luce del materialismo storico: un uomo elabora le basi razionali e un progetto di realizzazione di società anarchica. Queste basi e questo progetto sono implicite, poiché elaborate in un libro che è rimasto «non scritto». Sfortunatamente il maestro ha avuto «certe attitudini personali» apparentemente contestabili, di cui si ignorano i dettagli, che hanno incitato «discepoli poco scrupolosi» a mettere la sua opera «al servizio di dottrine e di azioni che ne rappresentano la più completa negazione». Si apprende che Marx «non sempre ha cercato nel corso della sua attività politica di armonizzare i fini e i mezzi del comunismo anarchico. Ma anche se a volte ha fallito come militante, non cessa per questo di essere il teorico dell’anarchismo». Queste affermazioni sono molto oscure per chi non conosce i dettagli della storia dell’esclusione, da parte di Marx e del suo entourage, della quasi totalità del movimento operaio internazionale dall’AIT (19). Si nota comunque un leggero sospetto di cattiva coscienza. Il lettore poco al corrente crede di indovinare che Marx ha fatto qualcosa di esecrabile, ma questo non deve essere poi così grave perché non intacca la validità normativa del suo insegnamento.

Sembra dunque che il destino del socialismo realizzato, eufemismo per indicare lo stalinismo e tutte le successive varianti del comunismo, sia legato a qualche discepolo poco scrupoloso che non ha compreso la via anarchica implicita contenuta nel pensiero di Marx. In termini di materialismo storico, un simile approccio al problema si chiama idealismo. Maximilien Rubel applica alla storia del marxismo il metodo combattuto dal marxismo.

Quanto all’anarchismo, ha sofferto meno la perversione costituita dall’applicazione concreta poiché, «non avendo creato una teoria vera e propria della prassi rivoluzionaria, ha potuto evitare la corruzione politica e ideologica» (20). È fare troppo onore all’anarchismo: la partecipazione degli anarchici al governo del fronte popolare in Spagna non potrebbe quindi essere classificata sotto la rubrica corruzione politica e ideologica.

La storia sembra qui venire percepita come un fenomeno esclusivamente ideologico: un fenomeno storico può esistere solo se è stato teorizzato, altrimenti non esiste.

Ciò che conferisce a Marx la qualità di «teorico più conseguente dell’anarchismo», scrive Maximilien Rubel, è che «l’avvento della comunità liberata dallo sfruttamento economico, politico e ideologico dell’uomo da parte dell’uomo è concepito non in funzione di comportamenti individuali, moralmente esemplari, ma come azione riformatrice e rivoluzionaria della "immensa maggioranza" costituita in classe sociale ed in partito politico» (21).

In compenso, l’anarchismo reale (cioè non quello di Rubel) sembra limitarsi «al solo gesto individuale di rivolta» (22).

Pezzi interi di storia del movimento operaio internazionale vengono così eliminati. Limitare l’anarchismo «al solo gesto individuale di rivolta» occulta alcune pagine significative della storia del movimento operaio internazionale, certo poco trattate nelle opere che si collocano nella linea dell’ortodossia elaborata da questi «discepoli poco scrupolosi» di Marx evocati da Rubel.

Centinaia di migliaia di anarcosindacalisti e di anarchici sono stati uccisi fra le due guerre e in tutti i continenti: essi non erano spinti dal solo gesto «individuale di rivolta» e ignoravano di non aver «creato una teoria vera e propria della prassi rivoluzionaria». È vero che il movimento anarco-sindacalista aveva avuto altro da fare, poiché aveva dovuto affrontare simultaneamente la borghesia internazionale, il fascismo, il nazismo e lo stalinismo.

 

 

Riferimenti espliciti alla società senza Stato

 

Di cosa è fatto l’anarchismo di Marx, in cosa egli ha gettato «le basi razionali dell’utopia anarchica» ed in cosa ne ha definito «il progetto di realizzazione»? Si sa che grazie a Marx l’anarchismo si è arricchito «di una dimensione nuova, quella della comprensione dialettica del movimento operaio visto come autoliberazione etica inglobante l’intera umanità» (tranne forse le «nazioni reazionarie» rilevate da Engels). Non perderemo tempo a tentar di comprendere cosa sia la comprensione dialettica del movimento operaio, né l’autoliberazione etica inglobante l’intera umanità. Ci accontenteremo di cercare di trovare i riferimenti espliciti alla società senza Stato che Marx ha fatto nella propria opera.

Certamente ci sono nell’autore del Capitale delle critiche allo Stato, ma la critica dello Stato di per sé non qualifica l’anarchismo.

Ci sono testi in cui Marx fa una critica radicale a un determinato tipo di Stato, ma la critica allo Stato in quanto tale resta assai limitata.

– Nel primo volume, Économie, delle Opere di Marx delle edizioni de La Pléiade fissate e annotate da Maximilien Rubel, si trovano 7 riferimenti all’abolizione dello Stato, tre dei quali sono note di Rubel.

– Nel secondo volume, Économie, ci sono 4 riferimenti, tre dei quali nelle note.

– Nel volume Œuvres philosophiques ci sono: un riferimento di Marx all’abolizione dello Stato, due note di Maximilien Rubel e un passaggio nell’introduzione in cui Maximilien Rubel ci dice che la «visione di una società non politica» in Marx si è espressa attraverso la rivendicazione della democrazia rappresentativa, vale a dire... il parlamentarismo.

– Nel primo volume, Œuvres politiques, nell'appendice, una frase di un testo del 1850 definisce succintamente, ma esattamente, il senso dell’abolizione dello Stato: «L’abolizione dello Stato non ha senso che per i comunisti, come conseguenza necessaria dell’abolizione delle classi, con le quali sparisce automaticamente il bisogno di potere organizzato da una classe di fiaccare le altri classi». (p. 1078)

La rubrica Abolizione dello Stato dell’indice delle idee rinvia ad un passaggio (p. 634) dove si tratta del «rovesciamento del potere dello Stato esistente», il che non potrebbe inserirsi in una prospettiva anarchica. Gli altri riferimenti all’anarchismo o all’abolizione dello Stato sono contenuti sia nell’introduzione di Maximilien Rubel sia nelle note.

Su oltre 6.000 pagine ci sono quindi 7 riferimenti diretti di Marx all’abolizione dello Stato (di cui uno di Engels, fra l’altro), in termini vaghi, e che costituiscono un materiale ben misero per concludere che Marx è un teorico dell’anarchismo.

C'è da stupirsi che un autore che avrebbe voluto — almeno così pare — fare sullo Stato ciò che aveva fatto sul Capitale, non abbia disseminato la sua opera di indicazioni più numerose sulla società senza Stato. Ora, si tratta comunque di un concetto determinante della teoria anarchica che, se avesse costituito una preoccupazione maggiore in Marx, avrebbe dovuto essere sufficientemente presente nella sua opera, così da non poter essere occultata dai diversi partiti che si rifanno al suo insegnamento.

Il passaggio più preciso citato da Rubel su questa questione è estratto da Le pretese scissioni nell’Internazionale:

«Con anarchia tutti i socialisti intendono questo: una volta raggiunto lo scopo del movimento proletario, l’abolizione delle classi, il potere dello Stato, che serve a mantenere la grande maggioranza produttrice sotto il giogo di una piccola minoranza, scompare e le funzioni di governo si trasformano in semplici funzioni amministrative».

Questa frase di Marx è troppo vaga, troppo generica e troppo isolata nella sua opera perché possa essere considerata come un’adesione all’anarchismo. E, soprattutto, non è un esplicito progetto politico nella misura in cui rinvia l’abolizione dello Stato ad un avvenire indeterminato e lontano.

Il documento che potrebbe accreditare nella maniera più convincente la tesi di un Marx anarchico è L’Indirizzo sulla guerra civile in Francia redatto a nome del Consiglio generale dell’AIT all’indomani della Comune di Parigi, e che costituisce un importante punto di contrasto fra marxisti ed anarchici.

Secondo Maximilien Rubel, si tratta di un testo «che sarà agli occhi di Bakunin un rinnegamento delle convinzioni “stataliste-autoritarie”» di Marx (23). Bakunin dirà in effetti che si tratta di un «grottesco travestimento» del pensiero di Marx.

Non avendo mai esitato a riconoscere i punti di accordo che poteva avere con Marx, è sorprendente che Bakunin rifiuti a Marx il diritto di essere d’accordo con lui sull’analisi della Comune. Dovremo quindi esaminare la questione per tentare di comprendere questo rifiuto e decidere se sia giustificato.

In effetti quel libro è spesso citato come una tipica espressione del pensiero politico di Marx, mentre affronta questo avvenimento da un punto di vista federalista, vale a dire in netta contrapposizione con le sue idee. I testi di Marx che precedono il libro non lasciano intravedere nulla di questa idea e i testi successivi non ne fanno mai allusione: il Manifesto si accontenta di dire che la prima tappa della rivoluzione operaia è la conquista del regime democratico, cioè il suffragio universale, cosa confermata da Engels nella prefazione alle Lotte di classe in Francia. Il Manifesto non dice da nessuna parte come la conquista della democrazia potrebbe assicurare al proletariato l’egemonia politica; Engels afferma semplicemente nel suo progetto di Catechismo che il suffragio uiniversale assicurerà direttamente il dominio della classe operaia nei paesi dove quest’ultima è maggioritaria.

Bakunin non fu il solo a percepire il contrasto fra le precedenti posizioni di Marx e quelle che questi difende durante la Comune. Il suo biografo, Franz Mehring, nota anch’egli che La guerra civile in Francia è difficilmente conciliabile con il Manifesto e che Marx vi sviluppa un punto di vista vicino a quello di Bakunin: «Per quanto brillanti fossero queste analisi», dice infatti Mehring, «non sono meno in contraddizione con le idee difese da Marx ed Engels da un quarto di secolo e avanzate già nel Manifesto comunista [...] Gli elogi che l’Indirizzo del Consiglio generale rivolgeva alla Comune di Parigi per aver iniziato a distruggere radicalmente lo Stato parassita erano difficilmente conciliabili con quest’ultima concezione [...] Si capisce bene che i partigiani di Bakunin abbiano potuto facilmente utilizzare a modo loro l’Indirizzo del Consiglio generale. Lo stesso Bakunin trovava buffo che Marx, le cui idee erano state completamente messe sottosopra dalla Comune, fosse costretto, contro ogni logica, [lo sottolineo] a fargli tanto di cappello e ad adottare il suo programma ed i suoi obiettivi» (24).

A Mehring non passa per la testa che Marx non fosse uomo che agiva contro ogni logica. Non è nostro scopo fare la genesi dei voltafaccia di Marx fra l’inizio della guerra e la repressione della Comune, ma ci sembra utile "decriptare” brevemente, per Mehring, ciò che a lui sembrava andare contro ogni logica.

– Marx approva la guerra perché una vittoria prussiana condurrà a vantaggi strategici per il movimento operaio tedesco, alla costituzione di una Germania unificata e centralizzata. Lettera di Marx ad Engels del 20 luglio 1870: «I francesi hanno bisogno di essere caricati di legnate. Se i prussiani risultano vittoriosi, la concentrazione del potere dello Stato sarà utile all’unità della classe operaia tedesca».

– Una vittoria tedesca assicurerà la preponderanza della classe operaia tedesca. Lettera di Marx ad Engels del 20 luglio 1870: «La preponderanza tedesca, inoltre, sposterà il centro di gravità del movimento operaio europeo dalla Francia in Germania. Basta confrontare soltanto il movimento dei due paesi dal 1866 ad oggi, per rilevare che la classe operaia tedesca è superiore a quella francese, tanto dal punto di vista teorico che da quello dell’organizzazione. La superiorità, sulla scena mondiale, del proletariato tedesco sul quello francese costituirebbe nel contempo la superiorità della nostra teoria su quella di Proudhon».

– I lavoratori francesi non dovevano muoversi, perché un eventuale sollevamento vittorioso ed una sconfitta tedesca avrebbe ritardato l’unità nazionale tedesca: «La Germania — dice — sarebbe spacciata per anni, anzi per secoli. Non sarebbe più questione di un movimento  operaio indipendente in Germania, la rivendicazione dell’esistenza nazionale assorbirebbe allora tutte le energie» (ibid). Engels a Marx, 15 agosto 1870: «Sarebbe assurdo [...] fare dell’antibismarckismo il principio direttivo unico della nostra politica. Innanzitutto fino ad ora — e specialmente nel 1866 — Bismarck non ha compiuto una parte del nostro lavoro, a modo suo e senza volerlo, ma comunque compiendolo?».

– Per giustificare queste posizioni, bisogna accreditare l’idea di una guerra di difesa per i tedeschi. Marx ad Engels, 17 agosto 1870: «La guerra è diventata nazionale». Kugelmann da parte sua è accusato di «non capire niente di dialettica» perché aveva affermato che la guerra da parte tedesca era diventata offensiva (25).

– Il 4 settembre 1870, l’impero francese si incrudisce; la sezione francese dell’AIT lancia un appello internazionalista chiedendo ai lavoratori tedeschi di abbandonare l’invasione. La socialdemocrazia tedesca risponde favorevolmente, i suoi dirigenti sono immediatamente arrestati. Marx definisce «ridicolo» l’appello lanciato dagli operai francesi. Questo appello, dice, ha «provocato fra gli operai inglesi lo scherno e la rabbia».

– Engels scrive il 12 settembre: «Se si potesse avere qualche influenza a Parigi, bisognerebbe impedire agli operai di darsi da fare fino alla pace». I lavoratori francesi devono approfittare dell’occasione per costituirsi in partito ed operare nell’ambito delle istituzioni della repubblica. Il 9 settembre, il Consiglio generale dell’AIT pubblica un manifesto che raccomanda agli operai francesi: 1) di non rovesciare il governo; 2) di adempiere al loro dovere civico (cioè votare); 3) di non lasciarsi trascinare dai ricordi del 1792. Gli operai, dice l’Indirizzo, «non devono ripetere il passato ma costruire l’avvenire. Calmi e risoluti, che approfittino della libertà repubblicana per lavorare alla propria organizzazione di classe».

Ecco in quali disposizioni di spirito si trovavano Marx e Engels alla vigilia della Comune, disposizioni senz'altro attestate dalla loro corrispondenza.

La teoria della guerra di difesa non poteva essere sostenuta all’infinito. L’opinione rivoluzionaria unanime e la resistenza delle masse parigine contribuiranno a modificare il punto di vista di Marx ed Engels. Solo allorché Blanqui dichiara che tutto è perduto, Marx riprenderà a sua volta l’argomento della guerra rivoluzionaria, cinque mesi più tardi. Allora il ruolo involontariamente progressista di Bismarck diminuisce mentre si accresce la gloria degli operai parigini vilipesi sei mesi prima. La guerra civile in Francia è l’espressione di questo cambiamento di prospettiva. Ormai, afferma Marx, «la guerra nazionale è una pura mistificazione dei governi destinata a ritardare la lotta di classe». Così, la lotta di classe riprende il suo posto come motore della storia; non viene più chiesto agli operai francesi di «adempiere al loro dovere civico» né di astenersi dal rovesciare il governo.

Dopo la Comune, Marx è andato in direzione degli avvenimenti perché contava di allineare alla sua causa i comunardi esiliati a Londra. Vedendo che la cosa non funzionava, il 9 novembre 1871 scriverà al suo amico Sorge una lettera stizzita: «Ecco cosa ci ho guadagnato ad aver perso quasi cinque mesi a lavorare per i rifugiati, e per aver salvato il loro onore con la pubblicazione de La guerra civile in Francia»!!! Bakunin, che evidentemente ignorava questa lettera, ha tutte le ragioni a sostenere che il libro era un «grottesco travestimento» di Marx operato sul suo stesso pensiero (26).

L’approccio ideologico dell’avvenimento consiste nel negare la realtà, nel considerare solo il contenuto dell’Indirizzo sulla guerra civile in Francia, senza tener conto del contesto né dei documenti esistenti al di fuori dei proclami di principio, e ad integrarlo in un corpo dottrinario che si vorrebbe far passare per verità storica.

L’approccio critico della storia delle idee politiche consiste nel ricollocarle nel loro contesto e nel confrontarle con le idee dell’epoca e con i documenti disponibili; consiste anche nel non considerare come oro colato né ciò che un autore dice né le motivazioni che lo spingono a farlo. Consiste nel mettere a confronto ciò che l’autore proclama pubblicamente, ovvero ciò che vuole che si creda, e ciò che afferma in privato. È ciò che Rubel non fa mai quando si tratta di Marx. L’Indirizzo è per lui un documento il cui contenuto costituisce la verità in sé, e che non potrebbe essere messo in discussione.

Per avere un’idea di ciò che i fondatori del «socialismo scientifico» pensavano davvero dell’abolizione dello Stato, conviene rifarsi a ciò che dice Engels in una lettera a Cafiero, scritta nella stessa epoca in cui Marx redigeva La guerra civile in Francia. Vero è che, secondo Rubel, bisogna fare un distinguo fra i due uomini.

Engels appare spesso il gaffeur della coppia, quello che dice esplicitamente le cose che dovrebbero restare sottintese (la nozione di popolo controrivoluzionario, il terrorismo cieco contro gli slavi, etc). Eppure queste gaffe non sono mai state contestate da Marx. Ecco cosa scrive Engels: «Per quanto riguarda l’abolizione dello Stato, è una vecchia frase filosofica tedesca che abbiamo usato parecchio quando eravamo dei pivelli» (27).

 

 

Classe operaia e «negazione creatrice»

 

Se Sulle pretese scissioni definisce l’anarchismo dal punto di vista dei fini nel movimento proletario, occorre precisare che l’anarchismo si definisce anche dal punto di vista dei mezzi. Esso non si limita all’aspirazione ad un obiettivo lontano. Implica una teoria dell’organizzazione e alcune grandi linee strategiche.

Se una politica si giudica per il suo fine, si giudica anche per i mezzi che si dà per pervenirvi. Quando Maximilien Rubel fa del suffragio universale, ancora ieri strumento di inganno, un mezzo di emancipazione, esce completamente dall’ambito di riferimento dell’anarchismo. Ugualmente l’anarchismo non riconosce alcuna validità normativa ad acrobazie dialettiche che affermano che il proletariato «si aliena politicamente solo per trionfare sulla politica e conquista il potere dello Stato solo per utilizzarlo contro la minoranza prima dominante. [...] La conquista del potere politico è un atto “borghese” per natura; si tramuta in azione proletaria solo per la finalità rivoluzionaria che le conferiscono gli autori di tale sconvolgimento» (28).

Si potrebbe pensare che, se la conquista del potere politico è un atto borghese per natura, nessuna finalità rivoluzionaria potrà trasformarlo in azione proletaria. Viceversa, è l’azione proletaria che si troverà in tal modo trasformata in azione borghese. Maximilien Rubel ha posto troppo a lungo l’accento sul problema della prassi rivoluzionaria, per non rendersi conto che la prassi è inseparabile dallo scopo da ottenere e che entrambi si determinano (dialetticamente) l’un l’altro.

Preconizzare che la classe operaia assuma «il progetto dialettico di una negazione creatrice» e corra «il rischio dell’alienazione politica al fine di rendere la politica superflua», non rientra in un progetto anarchico. Per Bakunin, la sola negazione creatrice è la distruzione dello Stato e la sua sostituzione con strutture di classe del proletariato. Impegnarsi «per di più volontariamente» in un processo di auto-alienazione non sembrava a Bakunin il miglior mezzo per pervenire all’autoliberazione.

Sembra che Rubel confondi la teoria dello Stato con l’anarchismo. È incontestabile che nell’opera di Marx ci sia un progetto lontano di estinzione dello Stato che è implicito nella sua teoria dell’abolizione delle classi sociali. Lo Stato, schematicamente definito come strumento di repressione al servizio di una classe dominante, svanisce con la scomparsa delle classi e dei loro antagonismi. Questo argomento non fa di per sé del marxismo una teoria anarchica, così come si definisce l’anarchismo, contrariamente all’idea di scomparsa dello Stato come finalità lontana, come un movimento che considera la distruzione dello Stato un processo che inizia con la rivoluzione stessa.

Lo Stato non garantisce solamente i privilegi della classe dominante, è uno strumento di creazione permanente di privilegi, ed in questo senso genera la classe dominante. Non esistono classi senza Stato, afferma Bakunin.

D’altronde, l’antistatalismo da solo non potrebbe definire l’anarchismo. In uno scritto di gioventù, Denaro, Stato, Proletariato, datato 1844, Marx si lascia andare a dichiarazioni sinceramente antistataliste: «L’esistenza dello Stato e l’esistenza della schiavitù sono indissociabili» (29) [ si tratta della schiavitù della società civile]. Maximilien Rubel, in una nota a pagina 1588, dichiara un po’ frettolosamente che «questo aforisma esprime il credo anarchico di Marx in maniera che non potrebbe essere più categorica». Una simile affermazione antistatalista non può, agli occhi di Maximilien Rubel, che porre fermamente Marx in prima fila fra i pensatori anarchici. E, rispondendo in anticipo all’obiezione secondo cui tutta l’ulteriore prassi di Marx smentisce totalmente questa afferemazione più anarchica del naturale, Maximilien Rubel precisa: «Le sue ulteriori dichiarazioni quanto alla necessità, per la classe operaia, di "conquistare" il potere politico, quindi di assicurarsi la direzione degli affari di Stato, cioè di esercitare in quanto classe ed in quanto "immensa maggioranza" la propria "dittatura" sulla minoranza borghese legalmente spossessata dei suoi privilegi economici e politici, non contraddicono in nulla il postulato iniziale della finalità anarchica del movimento operaio» (30).

Il che è un modo per dire che una prassi totalmente extra-anarchica non contraddice in nulla il postulato iniziale anarchico.

Disgraziatamente, enunciando i termini della contraddizione, Maximilien Rubel non la risolve.

In un’altra nota nella stessa pagina, sottolinea che, malgrado il carattere antipolitico (che assimila forse all’anarchismo) dei suoi scritti del periodo parigino, Marx si adatterà più tardi ad «una politica operaia abbastanza conforme al principio che si ritrova qui condannato», il che è come minimo un eufemismo.

Anche in questo caso, la contraddizione non sembra distogliere Maximilien Rubel dalla sua idea. In compenso, si stupisce che gli epigoni di Marx non abbiano compreso che quest’ultimo era anarchico, malgrado il minimo numero di passaggi in cui si rivelerebbe tale, e malgrado una pratica politica totalmente antianarchica: «In quanto ideologia politica, il marxismo degli epigoni si nutrirà di questa ambiguità facilitata dall’assenza del "Libro sullo Stato"» (31).

Lo stesso Maximilien Rubel sembra consapevole del carattere poco convincente dell’anarchismo di Marx così come dovrebbe apparire dalla sua opera scritta. Così, il pezzo principale della sua argomentazione si trova in questo Libro sullo Stato che Marx aveva in cantiere. Rimasto non scritto, questo Libro, ricordiamolo, «non poteva contenere che la teoria della società liberata dallo Stato, la società anarchica» (32).

Il piano dell’Economia che Marx voleva scrivere non ha potuto essere redatto che per un sesto, dice Rubel: «La critica dello Stato di cui si era riservato l’esclusiva [sic] non è stata nemmeno iniziata, a meno che non si prendano in considerazione i lavori sparsi, soprattutto storici, in cui Marx ha gettato le fondamenta di una teoria dell’anarchia» (33).

Così, a dispetto di una strategia politica, di una prassi di cui lo stesso Maximilien Rubel dice che è contraria ai principi enunciati, Marx avrebbe scritto, «se avesse avuto il tempo», una teoria anarchica dello Stato e della sua abolizione. Gli eredi di Marx che successivamente hanno costruito un capitalismo di Stato poco conforme alle professioni di fede anarchica, si sono «nutriti» di questa ambiguità, causata proprio dall’assenza del Libro sullo Stato. In altri termini, sembra credere Maximilien Rubel, se Marx avesse avuto il tempo di scrivere questo Libro, la sua opera non avrebbe avuto questa «ambiguità» (che Rubel sottolinea più volte); e la sua qualità di anarchico sarebbe stata messa in luce e con ciò, probabilmente, i destini del movimento internazionale sarebbero stati differenti. Posizione quanto mai idealista.

La chiave del problema del destino del marxismo — e della sua snaturazione — si trova di conseguenza in questo Libro non scritto, la cui assenza ha fatto piombare il marxismo nell’orrore concentrazionario.

Per restituire all’opera di Marx (e non più al marxismo, concetto che Maximilien Rubel rifiuta) il suo autentico significato anarchico, bisogna dunque partire da ciò che esiste (a dire il vero non molto), dai «lavori sparsi» di cui Maximilien Rubel si propone in qualità di esegeta.

Gli anarchici potrebbero legittimamente domandare a Maximilien Rubel se non ci sia una grossa contraddizione nel riaffermare il postulato del materialismo storico, che fonda l'incomparabile superiorità del marxismo sull’anarchismo, per poi spiegare la deviazione dell’opera di Marx attraverso la sola assenza di un libro mai scritto.

Se ci si attiene in realtà ai postulati del materialismo storico, la pubblicazione del Libro sullo Stato non avrebbe cambiato granché; gli epigoni, rappresentanti di forze sociali che si sarebbero sviluppate in ogni caso, avrebbero preso da Marx (o altrove) ciò che era loro necessario per giustificare la propria politica e avrebbero lasciato il resto. Ciò non toglie che sia comunque nell’opera di Marx — considerevole, anche senza il Libro sullo Stato — che le deformazioni burocratiche e totalitarie del movimento operaio hanno trovato il loro fondamento teorico.

Se Marx fosse stato anarchico, avrebbe scritto il suo Libro sullo Stato.

Si potrebbe aggiungere, più volgarmente: se Marx fosse stato un teorico dell’anarchismo, si saprebbe...

 

 

Conclusione

 

L’atteggiamento di Rubel consiste nell’affermare il carattere anarchico del progetto di Marx, affermazione che implica il rifiuto generale del contributo degli autori anarchici, anche se sul dettaglio egli riconosce la validità occasionale di qualcuna delle loro teorie.

In nessun momento c’è il tentativo di fare una sintesi dell’apporto di questi autori con il pensiero di Marx, che sembra essere considerato un «blocco d’acciaio», per riprendere i termini di Lenin; quest’ultimo pensava che nulla potesse venir tolto dal pensiero di Marx, Rubel pensa che nulla possa venir aggiunto.

Respingendo ogni validità normativa all’anarchismo "reale", Rubel si priva di carte considerevoli. Handicappato dal suo approccio essenzialmente ideologico al problema, egli non vede gli evidenti punti di collegamento esistenti fra Marx e Bakunin (e pure Proudhon), che avrebbero potuto contribuire all’elaborazione di un’opera originale.

Come pensatore rivoluzionario originale, Rubel ha fallito — ma forse non era questa la sua intenzione. Rimane un notevole esegeta del pensiero di Marx.

 

 

Note

 

1 Bakunin, Combats et débats, Institut d’études slaves, 1979.

2 Non è qui il caso di entrare nei dettagli di una simile questione. Il lettore potrà consulatre la mia opera Bakounine politique — révolution en Europe centrale, Ed. du Monde Libertaire.

3 Marx-Engels, La socialdemocrazia tedesca.

4 La socialdemocrazia tedesca.

5 «E quando la circolare [si tratta del testo polemico redatto da Marx per il Consiglio generale: Le pretese scissioni nell’Internazionale] accusava il "giovane Guillaume" di aver tacciato gli "operai di fabbrica" genovesi come schifosi borghesi, ometteva puramente e semplicemente di dire che il termine "operai di fabbrica" indicava a Ginevra un livello di operai privilegiati, ben remunerati, che lavoravano nelle industrie del lusso e che avevano stretto un patto elettorale più o meno dubbio con alcuni partiti borghesi», Franz Mehring, in Karl Marx, storia della sua vita.

6 Franz Mehring, Karl Marx, storia della sua vita.

7 Per approccio ideologico intendiamo quello che consiste nel considerare di primo grado le idee di un  autore su un soggetto, senza esame critico. Così, La guerra civile in Francia sarebbe un libro di storia sulla Comune, da prendere come tale, e contenente la verità su quell'evento, e non un libro che espone le opinioni di Marx sulla questione, in un dato momento e per determinate ragioni.

8 Stato e anarchia, in Bakunin, Opere complete, vol. IV, p. 24.

9 Dictionnaire des œuvres politiques, p. 52.

10 Il concetto di popolo in Bakunin include il proletariato, i contadini poveri e la piccola borghesia povera.

11 In una lettera a Liebknecht dell'8 aprile 1870, Bakunin fa notare che la maggioranza degli studenti russi si trova nella situazione di «non aver assolutamente nessuna carriera, nessun mezzo assicurato di esistenza davanti a sé, ciò che fa sì che essa sia innanzitutto rivoluzionaria per posizione, ed è la maniera più seria e più reale, secondo me, di essere rivoluzionari». È significativo che siano questi stessi intellettuali piccolo borghesi a costituire la stragrande maggioranza dei quadri del partito bolscevico, trent’anni più tardi...

12 Introduzione a Le lotte di classe in Francia.

13 Critica del programma d’Enfurt.

14 La critica di Bakunin dello statalismo di Marx ricopre due realtà che non è nostra intenzione qui sviluppare: la strategia della conquista del potere di Stato attraverso le elezioni e la concezione statale del comunismo.

15 È la reazione che ho avuto pubblicando nel 1985 un testo polemico su “Informations et réflexions libertaires” (ott.-nov. 1985), Rubel, Marx et Bakounine.

16 Stato e anarchia è una sintesi delle idee di Bakunin sulla storia e la politica degli Stati europei, la loro formazione e la loro prospettiva evolutiva nell’ambito di una strategia del movimento operaio. Il soggetto principale non è Marx, checché ne pensi Rubel, ma la Germania e la Russia. Si tratta in effetti di una riflessione sul rispettivo ruolo della Germania e della Russia nella storia europea e sul loro statuto di «centro della reazione» in Europa. Il fatto che Bakunin pensi — argomentandolo — che la Germania con la costituzione dell’unità nazionale abbia acquisito questo statuto di centro della reazione, si riassume in Rubel nell’accusa di germanofobia, il che evidentemente elimina l’analisi delle spiegazioni di Bakunin.

17 Il lettore potrà fare riferimento con utilità all’opera di Claude Berger, Marx, l’association, l’anti-Lénine (Petite bibliothèque payot, 1974), che è una riflessione originale sul tema dell’associazione in Marx in quanto teoria e pratica dell’autoemancipazione del proletariato. La sua prospettiva va nella stessa direzione di quella di Rubel, ma mai egli prova il bisogno di fare di Marx un teorico dell’anarchismo.

18 “Marx teorico dell’anarchismo”, in Marx critico del marxismo, p. 92.

19 Bakunin aveva previsto che, dopo la propria esclusione dall’AIT, al congresso di La Haye, la stessa sorte sarebbe toccata a tutti gli oppositori. Accorgendosi di essere stati manipolati da un congresso truccato, le risoluzioni votate a questo congresso vennero sconfessate, tra il 15 settembre 1872 ed il 14 febbraio 1873, dai giurassiani, i francesi, i belgi, gli spagnoli, gli italiani, gli americani, gli inglesi, gli olandesi. Vedendo ciò, il nuovo consiglio generale trasferito a … New York! pubblica il 26 gennaio 1873 una risoluzione che dichiara che tutti coloro che non riconoscono le risoluzioni del congresso di La Haye «si pongono al di fuori dell’Associazione internazionale dei lavoratori e cessano di farne parte». Dire quindi che Marx e i suoi prossimi hanno insomma escluso dall’AIT la quasi totalità del proletariato internazionale non è un abuso di linguaggio! L’argomento «Si è escluso lui stesso» servirà molto in seguito…

20 “Marx teorico dell’anarchismo”, in Marx critico del marxismo, p. 97.

21 Marx, Œuvres, La Pléiade, vol. III, note di Rubel, p. 1735.

22 Marx critico del marxismo, postfazione, p. 430.

23 Dictionnaire des œuvres politiques, p. 56.

24 Franz Mehring, Karl Marx, Storia della sua vita.

25 L’accusa di non capire nulla della dialettica costituisce l’ultima confutazione del marxismo di fronte ad un argomento inconfutabile. Anche Lenin la userà, specialmente contro Bucharin, che egli indica come il miglior teorico del partito, ma che non ha compreso la dialettica. Il che fa sognare sul livello teorico dei dirigenti bolscevichi…

26 Stato e rivoluzione riveste nella mitologia leninista lo stesso ruolo de La guerra civile in Francia. È una curiosità del destino il fatto che Marx come Lenin, messi a confronto con una rivoluzione, siano stati costretti ad operare una deformazione buffa del loro pensiero (temporaneamente, è vero) nel senso della storia…

27 Lettera a Cafiero, 1 luglio 1871.

28 Rubel, Marx critico del marxismo, p. 105.

29 Marx, Œuvres, La Pléiade, vol. III, p. 409.

30 Marx, Œuvres, La Pléiade, vol. III, p. 1588, nota di Maximilien Rubel.

31 Marx, Œuvres, La Pléiade, vol. III, p. 1588, nota di Maximilien Rubel.

32 Marx critico del marxismo, p. 92.

33 «Piano e metodo dell’ "economia"», Marx critico del marxismo, p. 119.

 

 

 
[da Anticommunisme et anarchisme (2000), pp. 18-38 

Éditions du Monde libertaire - Paris 

Éditions Alternative Libertaire - Bruxelles]