Fuoriporta

Now war is declared!

 

Perché questa raccolta di testi? Perché tutta questa carta e questo inchiostro?
Secondo le intenzioni di chi ha realizzato questa pubblicazione, si tratta di un condensato di contro-informazione e di analisi sulle sommosse che hanno scosso l’Inghilterra nel rovente agosto 2011. Scontri che assumono tutta la loro importanza nel cuore di coloro che non riescono più ad accettare questo miserabile quotidiano, che non vogliono più galleggiare in questo oceano di oppressione, che remano fino a riva con tutta la forza delle braccia per raggiungere altro. Un altro totalmente opposto a questo esistente che ci divora. Un altro impossibile da descrivere col vocabolario del presente. Un altro che considera lo Stato, il capitalismo, la società e l'esistente in generale, un ostacolo alla propria realizzazione. A dispetto delle frontiere e delle separazioni fatte dal potere, quelle rivolte ci hanno parlato direttamente. Le risate e le lacrime degli arrabbiati sono contagiose, sono uguali a quelle dei rivoltosi del novembre 2005 in Francia, degli  insorti del Maghreb e del Mashrek del 2011 o del dicembre 2008 in Grecia. Sono le stesse perché tutte dettate dal medesimo desiderio di libertà, poco importa il contesto specifico di ciascuno di quei sollevamenti, perché la guerra sociale ha ben poche frontiere, proprio come il dominio.    
 
Di fatto, l’Inghilterra degli ultimi anni si è lentamente (ri)trasformata in una polveriera pronta ad esplodere in qualsiasi momento. La contestazione è sempre meno imbrigliata nei recinti del cittadinismo inglese e, a poco a poco, per un numero crescente di persone la violenza non è più un tabù morale. Lo testimoniano, ad esempio, le rivolte «studentesche» della fine del 2010, nate col pretesto dell’aumento delle tasse scolastiche. Pur così abituati all’indolenza asettica delle aule universitarie, migliaia e migliaia di studenti hanno attaccato banche, edifici amministrativi, sbirri, monarchia, parlamento, appiccando diversi incendi, il tutto nella gioia immediata dell’istante emancipatore.   
Le misure economiche di austerità in Inghilterra appaiono banali conferme della visione del mondo di chi le concepisce. Quando non c’è più denaro, lo si va a cercare da chi già non ne ha, perpetuando la disuguaglianza per salvaguardare l'ordine di questa società gerarchica. Alla crescente povertà si accompagna quasi sempre una esigenza di sicurezza da parte dei ricchi e dei potenti, perché talvolta con la miseria arriva la collera. Risultato, l’Inghilterra è diventata una sorta di bunker video-sorvegliato.  
Ci sono già più di 10.000 telecamere nelle strade della sola Londra, e gli effettivi della polizia sono via via aumentati nel corso degli anni. Una polizia che ha progressivamente imposto la sua presenza nelle strade attraverso la brutalità, al punto che nelle ultime sommosse la sua arroganza è diventata uno dei principali argomenti dell’odio scatenatosi contro gli sbirri. La risposta immediata dello Stato è stata l’invio di 16.000 unità in più, per sedare le rivolte nella capitale. 
 
Altri testi di questa pubblicazione ripercorrono lo svolgimento delle rivolte scoppiate fra il 6 agosto 2011 e il 10 agosto 2011, prima in alcuni quartieri di Londra, poi nell’intera metropoli, per propagarsi infine ad altre grandi città industriali come Birmingham, Liverpool, Manchester e Bristol, ma anche Nottingham, Wolverhampton e West Bromwich.
Il primo ministro David Cameron, così come la ministra dell’Interno Theresa May, il sindaco di Londra Boris Johnson e il capo dell’opposizione Ed Miliband saranno costretti a rientrare di corsa dalle vacanze giungendo nella capitale lunedì 8 agosto. Cameron prende parte ad una riunione d’emergenza del Cobr (Cabinet Office Briefing Rooms – coordinamento di soccorsi allestito in Gran Bretagna in caso di catastrofe) e il 9 agosto, dalla scalinata dell'11 di Downing Street, si rivolge ai ribelli dichiarando che «se sono grandi abbastanza da commettere tali crimini, lo sono anche per essere puniti dalla legge». L’obiettivo delle autorità è chiaramente quello di uscire dal clima insurrezionale che si respira da qualche giorno, oltre che di frenare il fenomeno di diffusione delle violenze sul territorio. A tale scopo, viene richiamato tutto il personale addetto alla sicurezza. La Metropolitan Police annuncia la sua intenzione di fare uso di proiettili di gomma, in caso di necessità, per disperdere i facinorosi. In risposta alle sommosse, a partire dalla notte dell’8 agosto cominciano a formarsi comitati di autodifesa. Nel quartiere di Croydon, particolarmente toccato la notte precedente, vetrine e porte dei negozi vengono barricate a partire dalle 17 del 9 agosto. Nella notte fra il 9 e il 10 agosto, se la situazione sembra essersi calmata a Londra, scoppiano incidenti a Manchester, Salford, Liverpool, Wolverhampton, Nottingham, Leicester e Birmingham – dove tre uomini che fanno parte di un gruppo di autodifesa a guardia di una stazione di servizio e di alcuni negozi troveranno la morte che hanno cercato, per essersi posti militarmente a protezione della merce, investiti in pieno da un'automobile. Il 10 agosto, il primo ministro autorizza la polizia a utilizzare i cannoni ad acqua. L’11 agosto viene convocata una sessione straordinaria del Parlamento. 
 
Governo e media operano contemporaneamente sul terreno della repressione e su quello, più psicologico, della propaganda. I servizi dei giornali non sono che torrenti di odio e disprezzo nei confronti dei rivoltosi. Si tratterebbe di imbecilli, di criminali, di psicopatici, di delinquenti, di terroristi… tutte le definizioni sono buone per stigmatizzare questa gioventù arrabbiata. Molta attenzione sarà rivolta, dai media e dalla sinistra, al fatto che i rivoltosi abbiano attaccato anche «le proprie comunità». Ci riprovano con la storia della zappa sui piedi del novembre 2005. La propaganda del potere viene sostenuta dall’opposizione, da gran parte dell’estrema sinistra e occasionalmente da buona parte del movimento anarchico organizzato, per il quale queste sommosse non sarebbero opera di soggetti “coscienti”, ma di giovani disadattati avidi di merci. Insomma, un grande classico per parecchi rivoluzionari, sempre più inclini a sputare sulle rivolte – che appaiono loro troppo spontanee, troppo umane, troppo reali – piuttosto che a ribellarsi essi stessi.
Prendiamo il comunicato della North London Solidarity Federation [organizzazione anarco-sindacalista] la quale, senza che nessuno le abbia chiesto qualcosa, afferma di non poter «in alcun modo approvare gli attacchi contro lavoratori ed innocenti», riferendosi alla «devastazione dei trasporti pubblici, utilizzati principalmente dalle classi popolari». Premurandosi, a scanso di equivoci, di facilitare il lavoro della polizia – «noi non siamo in alcun modo implicati nelle sommosse e nei saccheggi» – finiscono col chiamare la gente ad organizzarsi contro le rivolte: «le persone devono unirsi per difendersi, quando tali violenze minacciano le loro case e le loro comunità». E fustigano la mancanza di direzione: «la legittima collera dei rivoltosi sarebbe molto più potente se indirizzata in modo collettivo e democratico». Un comunicato abbastanza sintomatico (che si affretterà ad approvare e sostenere la Cnt-Ait, per quanto sia stata una delle sole organizzazioni libertarie ad aver criticato il paternalismo delle altre sorelle dopo i moti francesi del 2005) del malessere della sinistra di fronte alla spontaneità di quanti non hanno letto i suoi ammuffiti libri polverosi. 
 
Nel contempo, un cittadinismo astioso troverà lo spazio di esprimersi pubblicamente, con la benedizione di una parte della popolazione, dei media e dei politici. Poi, allorché la situazione comincia a diventare più tranquilla, vengono organizzate alcune manifestazioni. I manifestanti sono armati di scope e secchi per «lavare le strade». Alcuni volontari partecipano alla gran pulizia del disordine generato dai rivoltosi, esibendo magliette e cartelli su cui si legge che i rivoltosi sono “canaglie” e scagliandosi violentemente contro le sommosse, come avviene nel quartiere londinese di Clapham. Lo schema di una dimostrazione che reclama sicurezza, allo scopo di rafforzare le possibilità di una guerra fra poveri, non è nuovo. Abbiamo potuto constatare questo tipo di strategia del potere nel quartiere di Belleville, a Parigi, con le manifestazioni «Sicurezza per tutti» costellate da linciaggi razzisti contro i «ladri». Un movimento cominciato con una campagna da Twitter intitolata graziosamente «Riot Clean-Up». L’aria che vi si respira è paciosa: si alza la scopa, si scandiscono slogan reazionari, si applaudono polizia e pompieri. Il sindaco di Londra Boris Johnson, presente a tali manifestazioni nauseabonde, ha sentito la folla che lo interpellava «Where’s your broom?» (dov’è la tua scopa?), prima che qualcuno gliene passasse una che lui ha simbolicamente mostrato in alto, ad uso e consumo delle telecamere. Una simile iniziativa è ovviamente manna dal cielo per il potere ed i suoi media, che non esiteranno a paragonarla al movimento di solidarietà creatosi in occasione dell'attacco tedesco nella seconda guerra mondiale, nel momento in cui la propaganda del potere inglese, come d'abitudine, cerca di identificare in senso razziale e comunitario le violenze. La qual cosa genererà una distinzione fra i rivoltosi, dalle origini assai varie, e le milizie dei negozianti, piuttosto “mono-etniche”. Un modello difficilmente importabile in Francia, malgrado le milizie di commercianti della «comunità asiatica» di Aubervilliers. 
 
Qualche mese dopo le sommosse, la polizia intensifica le sue spedizioni punitive nei quartieri poveri. Capita che circondi interi quartieri, allo scopo di effettuare il maggior numero possibile di perquisizioni, per portare più gente possibile davanti ai tribunali e poi in prigione. Solo a Londra, queste operazioni a tappeto porteranno a oltre 2000 arresti, con una media di circa cento al giorno dalla fine delle rivolte. Gli organi di informazione, avvisati anzitempo di questi rastrellamenti, arrivano sul posto per primi per produrre le loro immagini di propaganda. La polizia ha dichiarato di ricercare migliaia di persone coinvolte, a suo dire, nei disordini. In tutto il paese si stanno visionando 40.000 ore di registrazioni di videosorveglianza, un lavoro che non si concluderà prima di alcuni anni, secondo la polizia, la quale minaccia arresti anche in un lontano futuro.      
 
Ad ogni grossa operazione poliziesca, i media esaltano l’ "eroismo” degli sbirri, quelle bande di vigliacchi superarmati che s'introducono all'improvviso nelle case delle persone per sequestrarle durante il sonno. E dall'altra parte riversano un incessante fiume di veleno contro i protagonisti della rivolta. L’11 agosto, per esempio, una cinquantina di sbirri si scatena a Churchill Gardens Estate, un quartiere di Pimlico a Westminster. Un raid coperto dai grandi organi di informazione. Il Daily Telegraph intitolerà «I saccheggiatori d’Inghilterra hanno ricevuto una dose della loro stessa medicina», osando comparare l’incomparabile: la violenza istituzionale e quella degli oppressi. 
Lo stesso giorno, 120 sbirri effettuano una retata gigantesca a Lambeth, sfondando le porte e trascinando le persone per strada. Ci saranno più di cento retate di questo tipo in una sola giornata. Un gran numero di sbirri vestiti di nero, armati e mascherati, violano le abitazioni delle famiglie entrando da tutte le porte, svegliano i bambini prendendoli di mira con le pistole e li costringono ad uscire sul pianerottolo così come si trovano e sotto la minaccia di un'arma, mentre i loro appartamenti sono devastati da un tornado. 
 
A questa dura vendetta della società prendono parte tutte le istituzioni dello Stato. Alle famiglie delle persone sospettate di aver partecipato ai disordini vengono tolti i sussidi pubblici, mentre i tribunali fanno il loro lavoro di morte giorno e notte senza interruzione. I giudici ricevono direttive confidenziali che ingiungono loro di condannare sistematicamente a una pena detentiva qualsiasi forma di partecipazione, attiva o passiva, alle rivolte. Le prigioni si riempiono fino a scoppiare e viene persino avanzata la proposta di requisire imbarcazioni per farne delle prigioni temporanee. Nel frattempo, politici e media reclamano ed annunciano condanne pesanti. La polizia ed ogni sorta di milizia cittadina setacciano i «social network». Le immagini dei media, delle telecamere di sorveglianza e dei cellulari vengono esposte per strada, sui giornali ed in rete, così da permettere alla polizia di identificare le persone attraverso la delazione. Sulla facciata del centro commerciale Debenhams, a Londra, si invita la brava gente a denunciare i «ratti incappucciati». 
 
Si potrebbe citare l’esempio di Amed Pelle, a New Basford, gettato in prigione per due anni e nove mesi dopo un processo per direttissima per aver scritto su Facebook che per «ogni nero assassinato, ci sarà un milione di sbirri ammazzati», benché nulla consentisse al tribunale di sostenere che l’imputato aveva partecipato alle sommosse. Ancora più grave, altri due ragazzi vengono condannati a quattro anni di carcere per «organizzazione di rivolte su Facebook» (sic!), rivolte che non hanno nemmeno avuto luogo nel nord-ovest: si è trattato infatti di uno scherzo, ma la giustizia, si sa, non scherza affatto. Si potrebbero citare molti altri casi, come i sedici mesi di carcere presi per aver leccato un gelato rubato da qualcun altro. Il 12 agosto, il Daily Mail titola: «Dopo giorni interi a ricevere mattoni e cocktail molotov, è l’ora della vendetta».
 
Di fronte al gran numero di saccheggi (non impediti dalla polizia pur di evitare scontri diretti perdenti) e più in generale di fronte all’ampia diversità di pratiche sperimentate nel corso delle sommosse, ci saranno sempre fini palati, più o meno radicali, che si indigneranno per tale o tal’altra pratica, per gli eccessi o gli sbagli di questa o quell’altra “categoria” di rivoltosi. Sì, ci sono state case incendiate (per fortuna senza vittime); e sì, sicuramente c'è stata qualche deriva qua e là. 
Dobbiamo sbarazzarci dell'ottusa immagine dei movimenti di rivolta diffusa visti come una massa omogenea, coordinata, motivata dagli stessi fini. Quelle giornate di rivolta sono state molto caotiche, cosa che ha contribuito al mutismo della folla e all’assenza di portavoce o di rivendicazioni nei confronti del nemico. Di fatto, chiunque poteva parteciparvi, non c’era un buttafuori all’entrata, e nemmeno un'entrata. E non si può scagliare la propria putrida morale contro migliaia di rivoltosi per gli atti sconsiderati di qualcuno. 
Nei giornali inglesi ci viene detto che l’«opinione pubblica», di destra e di sinistra, attribuisce i disordini prima di tutto a cattiva educazione, a una cultura da bande di strada, a comportamenti criminali e ad un’insufficienza delle pene detentive, assai più che alle diseguaglianze sociali, alla disoccupazione o ai tagli della spesa pubblica. Secondo Peter Oborne, analista politico a capo del Daily Telegraph, le sommosse rivelano la «decadenza morale» della società britannica nel suo complesso, la cultura dell'accaparramento e dell’impunità. Ed Miliband, a capo dell’opposizione laburista, gli fa eco denunciando una «crisi di valori», mentre il primo ministro Cameron punta il dito sul «cedimento delle strutture familiari e l’eccessiva dipendenza dallo Stato». Nei giornali francesi ci parlano di «malessere sociale». I sociologi e i giornalisti progressisti ci ruttano in faccia le loro analisi socioculturali da quattro soldi sulla «composizione sociale» dei rivoltosi, gli psicologi ci rompono con il loro complesso di Edipo ed i recuperatori si divertono a ricoprire con le loro rancide ideologie la collera dei rivoltosi. Ce ne infischiamo di tutto questo circo democratico. A dirla tutta, ce ne fottiamo alla grande di sapere se queste sommosse siano più o meno “politiche”, se i ribelli siano più o meno “coscienti”. Ciò che ci interessa è che permettono a chi vi prende parte di intravedere un po’ della libertà e della gioia che si può ottenere nella distruzione e nello scontro con l’autorità, e di rendere questa esplosione auspicabile e contagiosa. 
In quanto ribelli, la nostra solidarietà va a tutti coloro che in quei giorni hanno combattuto la polizia e il regno del denaro, poiché ciò potrebbe accadere anche da noi, in Francia come altrove; una solidarietà che esprime complicità in primo luogo nei confronti dei “colpevoli”.     
 
 
[Ravage Éditions, ottobre 2011
introduzione alla raccolta Now war is declared,
Les émeutes anglaises d'août 2011