Brulotti

Lucidità

J. S.

 

Quello che il presidente della repubblica stava per comunicare, addio, addio, ci vediamo, era già noto a tutti, ma è comprensibile che le persone fossero curiose di vedere come se la sarebbe cavata. Ecco dunque il discorso completo, cui mancano solo, per insormontabile impossibilità di trascrizione, il tremore della voce, la compunzione del gesto, l’acquetta occasionale di una lacrima a stento trattenuta.
Vi parlo con il cuore in mano, vi parlo squassato dal dolore di un allontanamento incomprensibile, come un padre abbandonato dai figli che ha tanto amato, smarriti, perplessi, loro ed io, di fronte a un susseguirsi di alcuni avvenimenti insoliti che sono venuti a spezzare la sublime armonia familiare. E non dite che siamo stati noi, che sono stato io, che è stato il governo della nazione, nonché i deputati eletti, che ci siamo separati dal popolo. Certo, ci siamo ritirati stamattina all’alba in un’altra città che da ora sarà la capitale del paese, certo, abbiamo decretato per questa che è stata la capitale e non lo è più un rigoroso stato d’assedio che, per forza di cose, renderà seriamente difficile il funzionamento equilibrato di un agglomerato urbano di tale importanza e di queste dimensioni fisiche e sociali, certo, ora vi ritrovate accerchiati, circondati, confinati entro il perimetro della città, senza poterne uscire, e se tenterete di farlo, subirete le conseguenze di una immediata risposta armata, ma quello che non potrete mai dire è che la colpa ce l’abbiano questi cui la volontà popolare, liberamente espressa in successive, pacifiche e leali contestazioni democratiche, ha affidato i destini della nazione perché la difendessimo da tutti i pericoli interni ed esterni. Siete voi, sì, soltanto voi, i colpevoli, siete voi, sì che ignominiosamente avete disertato dal concerto nazionale per seguire il cammino contorto della sovversione, della indisciplina, della più perversa e diabolica sfida al potere legittimo dello stato di cui si abbia memoria in tutta la storia delle nazioni. Non lamentatevi di noi, lamentatevi piuttosto di voi stessi, non di questi che pure parlano attraverso la mia voce, di questi che, mi riferisco al governo, più di una volta vi hanno chiesto, che dico, vi hanno supplicato e implorato di emendare la vostra maliziosa ostinazione, il cui senso ultimo, malgrado gli ingenti sforzi di investigazione messi in moto dalle autorità dello stato, ancora oggi, disgraziatamente, continua a essere impenetrabile. Per secoli e secoli siete stati la mente del paese e l’orgoglio della nazione, per secoli e secoli, in frangente di crisi nazionale, di pena collettiva, il nostro popolo si è abituato a volgere lo sguardo verso questo borgo, verso queste colline, sapendo che da qui gli sarebbe giunto il rimedio, la parola di conforto, la rotta giusta per il futuro. Avete tradito la memoria dei vostri antenati, ecco la dura verità che tormenterà per tutta l’eternità la vostra coscienza, furono essi a erigere, pietra su pietra, l’altare della patria, voi avete deciso di distruggerlo, che la vergogna ricada dunque su di voi. Con tutta la mia anima, voglio credere che la vostra follia sarà transitoria, che non perdurerà, voglio pensare che domani, un domani che prego i cieli non si faccia attendere troppo, il pentimento penetrerà dolcemente nei vostri cuori e voi tornerete a riconciliarvi con la comunità nazionale, radice di radici, e con la legalità, rientrando, come il figliuol prodigo, nella casa paterna. Ora siete una città senza legge. Non avrete un governo a imporvi ciò che dovete e ciò che non dovete fare, come dovete e come non dovete comportarvi, le strade saranno vostre, vi appartengono, usatele come vi aggrada, nessuna autorità vi si presenterà a sbarrarvi il passo e a darvi buon consiglio, ma pure badate bene a ciò che vi dico, nessuna autorità verrà a proteggervi da ladri, stupratori e assassini, sarà questa la vostra libertà, godetevela. Forse immaginate, illusoriamente, che, abbandonati al vostro arbitrio e ai vostri liberi capricci, sarete capaci di organizzare meglio e meglio difendere le vostre vite di quanto avevamo fatto noi a favore loro coi sistemi antichi e con le antiche leggi. Terribile equivoco, il vostro. Più prima che poi sarete obbligati a prendere dei capi che vi governino, a meno che non saranno loro a irrompere bestialmente dal caos inevitabile in cui sprofonderete, e a imporvi la loro legge. Allora vi renderete conto della dimensione tragica del vostro errore. Forse finirete per ribellarvi come al tempo delle costrizioni autoritarie, come nell’ominoso tempo delle dittature, ma non fatevi illusioni, sarete repressi con altrettanta violenza, e non sarete chiamati a votare perché elezioni non ce ne saranno, o forse, sì, ci saranno, ma non saranno libere, pulite e oneste come quelle che avete disprezzato, e sarà così sino al giorno in cui le forze armate che, insieme a me e al governo della nazione, oggi hanno deciso di abbandonarvi al destino che avete scelto, dovranno tornare per liberarvi dai mostri da voi stessi generati. Tutta la vostra sofferenza sarà stata inutile, vana tutta la vostra ostinazione, e allora capirete, troppo tardi, che i diritti lo sono integralmente solo nelle parole con cui siano stati enunciati e nel pezzo di carta al quale siano stati consegnati, vuoi che esso sia una costituzione, una legge o un regolamento, capirete, voglia il cielo convinti, che la loro applicazione smisurata, sconsiderata, rivoluzionerebbe la società più solidamente costituita, capirete, insomma, che il semplice senso comune ci ordina di considerarli un mero simbolo di quello che potrebbe essere, se lo fosse, e mai come sua effettiva e possibile realtà.

[2004]