Brulotti

Rifiuti

Nel mese di maggio [2008] il presunto rapimento di una bambina per mano di una Rom sedicenne, doverosamente pompato dai media, accende gli animi a Ponticelli, quartiere della periferia napoletana. I residenti insorgono e attaccano a più riprese il campo nomadi, incendiandolo col lancio di bottiglie molotov; gli abitanti del campo sono costretti a lasciare le loro abitazioni scortati dalla polizia.
Nello stesso periodo, i residenti di numerosi quartieri napoletani pongono fine, a modo loro, alla cosiddetta “emergenza rifiuti”, appiccando il fuoco ai mucchi di spazzatura ammassati per le strade. Il fuoco è la costante delle due storie, ma non è l’unica.
In un caso si incendia la spazzatura, gli scarti dei prodotti che la società mercantile ci impone di consumare, una società che trasforma tutto in merce ed attribuisce a ogni cosa un valore d’acquisto. Nell’altro caso si incendia la “spazzatura sociale”, gli scarti umani che la società dello sfruttamento tende ad escludere e per cui non c’è spazio al suo interno, perché anch’essi sono lo scarto di una merce, la merce umana, il cui valore d’acquisto è dato dalla loro forza lavoro: quella che serve la si compra, il resto si butta. È un discorso vecchio, se pensiamo che i Rom sono passati dai camini dei forni crematori così come la spazzatura passa dai camini degli inceneritori.
Mercantilismo e razzismo si manifestano per quello che sono, cioè le due facce di una stessa medaglia. L’uno è conseguenza dell’altro e contemporaneamente si compenetrano e si completano a vicenda. Comprendere questa banalità può aiutarci a capire che le responsabilità dell’insicurezza in cui versano le nostre esistenze non sono nostre o del nostro vicino di casa e non si trovano laddove ci vogliono far credere. La responsabilità della spazzatura per strada non è attribuibile all’opposizione della gente verso discariche ed inceneritori, né alla mancanza di una corretta raccolta differenziata - semplice foglia di fico per mascherare le nudità di un sistema -, ma ad uno stile di vita che ci viene imposto e di cui non possiamo fare a meno all’interno di questo mondo; allo stesso modo, le nostre vite non sono insicure perché un luogo comune favorito dal Potere vuole che gli zingari rubino i bambini o perché chiedono l’elemosina per strada e vivono di espedienti, ma perché condizioni di vita e di lavoro infami e precarie spingono una fetta sempre maggiore di popolazione alla marginalità, costringendola a vivere di espedienti e ad accettare l’elemosina, tramite il ricatto di salari sempre più svalutati nel loro potere d’acquisto.
Non è il rimedio ad essere sbagliato, ma la diagnosi. Una volta che la malattia, e con essa l’untore, siano identificati con chiarezza, il fuoco, come cura, va benissimo.

 

[Da Lanterna n°1, foglio aperiodico di stimolazione cerebrale, giugno 2008]