Intempestivi

Alta tensione ovunque

 

Come (purtroppo) spesso accade, sono gli avvenimenti più drammatici quelli in grado di scuotere gli individui e di far perdere loro la pazienza. Si ha un bel ragionare su quanto accade in giro per il mondo, mostrare le cause istituzionali delle nefandezze che infestano la vita di ciascuno di noi, suggerire possibili punti di frattura. Tutto viene assorbito e metabolizzato, e intanto... Ma poi, ecco che un poliziotto greco uccide un ragazzo, un ambulante tunisino si dà fuoco per protesta, un ribelle valsusino precipita da un traliccio. Tutto cambia. L’imprevisto incendia il panorama, ciò che fino a un attimo prima era una ipotesi-fantasma diventa realtà.
Abbiamo sempre pensato e sostenuto che la lotta contro il Tav non fosse una questione specifica di una piccola vallata piemontese. Che i tempi e gli strumenti di questa lotta non fossero solo quelli decretati da assemblee locali in cui i vari racket politici — di qualsiasi colore, foss’anche il nero dell’anarchia — più o meno esplicitamente si contendono la rappresentatività del movimento. Che vada respinto ogni ricatto collettivista che mira ad accomunare ciò che deve essere diversificato. Che il centralismo è una tara, non una opportunità. Riprendendo una intuizione già sviluppata negli anni 80 nel corso delle lotte antinucleari, persistiamo a ritenere che sia necessario decentrare la lotta e polverizzarla nel territorio. Che se il Tav è ovunque, non è affatto necessario correre in Valsusa e mostrarsi adeguati alla situazione che là si è venuta a creare (e poco importa se oggi come oggi solo in quella vallata i nemici di questo mondo possono prendersi le loro belle soddisfazioni). Che il solo modo per dare aria a quella lotta è quello di farla uscire da quella valle, portarla altrove. Non chiamare a raccolta per stringere un nodo, ma sollecitare a disseminarsi per tessere una rete informale.
Ebbene, da 48 ore non sono più i sentieri della Maddalena ad essere invasi dagli oppositori della devastazione di Stato, ma un po’ tutta Italia. E non vi sono obiettivi univoci, né metodi uniformi. Non è più la (brontolante) adesione collettiva alle direttive di un ceto politico, è il ribollire delle coscienze individuali di fronte al corpo martoriato di un compagno su un letto d’ospedale a mettere oggi in movimento. C’è chi presidia prefetture e chi blocca binari, chi occupa facoltà e chi neutralizza pedaggi autostradali, chi sospende il lavoro e chi dà fuoco a un macchinario. Il dispiegarsi di una miriade di sfumature, anche contrapposte, ma senza alcuna sintesi. E sono ancora tante le possibilità di intervento da scoprire, inventare e sperimentare. Da soli o in compagnia, di giorno o di notte, oggi o domani. Per essere all’altezza di se stessi, non di quanto stabilito da altri.
Anche questa è alta tensione.
 
 
[29/2/12]