Brulotti

Contro l’equivoco

Luigi Galleani
 
La nostra critica inesorabile al regime borghese, agli istinti sociali che lo presidiano, ai partiti politici che più o meno palesemente ne favoriscono la conservazione, ne secondano lo sviluppo, ne consolidano il dominio e la fortuna, ci schiera ogni giorno di fronte al cosiddetto partito socialista.
E l’urto è sempre violento.
Dalle sterili brughiere dell’azione politica, elettorale e parlamentare — in cui si perde, si illude e, quel che è peggio, illude di poter conseguire miglioramenti graduali efficaci e sensibili — noi vorremmo sospingerli all’opera feconda di demolizione e di rivolta in cui devono svilupparsi, esercitarsi, maturarsi alle imminenti vigilie la coscienza e l’audacia delle masse, a prevenire che la nuova rivoluzione, la rivoluzione sociale per cui sulle rovine della proprietà individuale e dello Stato dovrà realizzarsi, opera di lavoratori, l’emancipazione dei lavoratori del mondo, non sia, tra scrupoli superstiziosi ed indugi pusillanimi, soffocata, come la Comune, nel sangue; non sia tra gli intrighi deviata dalla sua meta radiosa, e scroccata ancora una volta nell’ebbrezza delle prime vittorie da fraudolenti oligarchie di nuovi sfruttatori, di nuovi dominatori.
Ed è compito aspro.
V’è di mezzo un trentennio infausto di esperimenti legalitari e parlamentari il quale non ha conchiuso, è vero, che ad una disperata constatazione di vacuità e di impotenza — ormai universalmente confessate — ma si è iniziato con una serie disastrosa di compromessi, di transazioni, di rinunzie che hanno favorito l’intrusione nella compagine del partito — originalmente e fondamentalmente proletaria, di classe — di una legione impudente, spregiudicata, temeraria di arrivisti famelici, di arruffoni bacati, di borghesi in licenza, i quali, posti all’aspirazione semplicista della canaglia affamata di pane, assetata di luce e di libertà e di giustizia, il bavaglio delle formule astruse e la sordina dei bisticci pseudo-scientifici, l’hanno riaggiogata alla vecchia frode del suffragio universale, l’hanno ricondotta a ritroso di mezzo secolo, a ritroso della vecchia Internazionale, al 1848, alla religione dello Stato, alla fede nella legge, al culto dell’ordine, dell’ordine borghese che consacra la spogliazione dei lavoratori, la loro schiavitù, la loro miseria come una ineluttabile fatalità storica che irride alle improntitudini, alle velleità insurrezionali, alle rivolte, efficacissime dove e quando si tratti di una rivoluzione politica che espropri, a favore della borghesia, l’aristocrazia ed il clero ma, peggio che grottesche, sciagurate, laddove si voglia espropriare la borghesia a beneficio di tutti.
E del partito socialista hanno fatto una confraternita mortificata dalle penitenze, macerata dalle vigilie, castigata dalla disciplina, presidiata dal sillabo, rintuzzata dai concili, vigilata dalle scomuniche, chiusa ad ogni alito di libero esame, ad ogni fremito gagliardo di vita, ad ogni generoso anelito di rivolta od anche semplicemente d’azione.
V’è da meravigliarsi se la regola ha oggi evirato, sifilizzato la grande massa del partito scongiurando così ogni prossimo pericolo di ribellione, di scisma d’indipendenza?
Se fate astrazione da qualche povero capraio, da qualche inerte femminuccia, cristallizzati nella tradizione, segregati dal mondo che si muove e lotta e vive, non v’è cattolico al dì d’oggi che non dubiti dell’esistenza di dio, non v’è, per certo, un solo prete che vi creda, non uno; eppure i preti seguitano a magnificare dal pergamo l’onnipotenza e la bontà della provvidenza divina aleggiante benefica sulla scelleraggine umana incorreggibile, e l’armento, pur certo di non avere sulla coscienza l’ombra di una scelleratezza, continua cinicamente a picchiarsi il petto, a stralunare gli occhi verso il padre, il figliolo e lo spirito santo a cui non si confida più, in cui non crede più, in cui non spera più.
Così, se fate astrazione da qualche infelice, afflitto d’irrimediabile atrofia cerebrale o rimasto a mezza strada tra le bertoldinesche barzellette di Oddino Morgari, non v’è oggi socialista che non senta per la lotta legalitaria del suo partito e per l’azione parlamentare dei suoi apostoli medagliettati, la più cordiale e più profonda diffidenza; certo non v’è candidato o deputato socialista che creda sinceramente di strappare dal parlamento un sollievo al proletariato, una sanzione morale qualsiasi alla sua fede ed al suo ideale; neanche uno.
E l’elettore socialista a cui lo Stato ruba per la caserma e pel fratricidio le braccia feconde del figliolo, a cui i pubblici poteri satollano di piombo la ventraia bolsa, lo dice senza ambagi nelle sue ore tristi e sconsolate; «non è per di lì che si possa passare mai!», e lo dice il candidato a cui non torni il conto dell’urne, a cui non sorrida neanche un ballottaggio di consolazione: «è inutile, il terreno delle lotte ideali non può essere una fiera od un bordello!». Ed il deputato i cui progetti passano a dormir sonni secolari in archivio, le cui interpellanze sdegnose non suscitano che i lazzi, non vellicano che il cinismo di un’eccellenza concussionaria o ladra, lo ripete nei crocchi degli intimi ghignando, come ghignavano incontrandosi gli Auguri per le vie dì Roma.
Con tutto questo ogni quattro anni, regolarmente, il candidato suona a raccolta intorno al programma minimo del partito, magnifica come Dulcamara i suoi specifici parlamentari, conta le vittorie e le conquiste dell’annata, scioglie un inno all’onnipotenza dell’arma civile ed al sovrano diritto di suffragio onde è investito il compagno elettore.
Questi, pur assaporando ad ogni passo, ad ogni digiuno, ad ogni colpo di vanga, l’ironia amara della sua strombazzata sovranità, porta all’urna il suo libero suffragio, e se ha presso di sé un compagno in cui creda, un galantuomo a cui affiderebbe e l’anima e i figlioli, se lo leva d’attorno, lo strappa alla lotta feconda e viva d’ogni giorno, al gesto ed all’opera sacra della seminagione, della redenzione, e lo manda lassù a portarvi una protesta che nessuno ascolterà più, a chiedervi una tutela in cui non spera più, a sollecitarvi una legge in cui non crede, in cui non ha creduto mai.
Come nella chiesa: la stessa educazione porta gli stessi frutti. Si comincia, per l’onore ed il buon nome dell’Ordine, per carità o per disciplina di partito, a velare debolezze, transazioni, bassezze ed a scusarle ed a legittimarle, a solidarizzare poi colle prevaricazioni e colle menzogne; e si finisce col non poter rompere più la cerchia avvolgente delle complicità recidive e specifiche che sulla mala via si sono accumulate, fino a dovere, per disciplina di partito, rivendicare come benemerenze avventurate le transazioni sordide, come impeti di fierezza le rinunce bastarde, fino a dover impugnare la verità conosciuta, fino a sbandierare, come l’orifiamma della verità e della giustizia, la menzogna e la frode.
E questo abbrutimento e quest’abiezione della disciplina di partito, dell’educazione e dell’organizzazione autoritaria sono così profondi nel partito socialista, ed è così avviluppata e così fitta la trama delle complicità settarie ordite tra compromessi ed intrighi d’ogni specie, che ad onta del profondo ed intimo disagio, ond’è pervasa la massa dei gregari, ad onta del profondo ed intimo dissidio, per cui i migliori — coloro che vedono e comprendono e nel socialismo credono ancora — sentono di non avere da un pezzo più nulla di comune coi pastori che frodano, né colla massa pecorona che ne zavorra le frodi, nessuno si muove, nessuno protesta, nessuno al giogo, alla vergogna ed alla frode si ribella in nome della verità, in nome della sincerità, in nome della propria coscienza.
Gli è che da un pezzo verità, sincerità e coscienza, nell’azione collettiva del partito socialista internazionale, sono un pio desiderio e la più squallida delle utopie.
— Ma la corrente rivoluzionaria?
— La corrente rivoluzionaria? Noi abbiamo la certezza di poter offrire al prossimo numero la prova che nelle questioni più gravi e più urgenti imposte dagli eventi alla preoccupazione del partito socialista, Rivoluzionari e Riformisti sono i fratelli siamesi dell’equivoco e del raggiro; che in nome della riforme gli uni, in nome del verbalismo rivoluzionario gli altri, hanno concordemente asservito e concordemente aggiogano l’aspirazione proletaria alle fraudolenti allucinazioni del superato radicalismo borghese da cui hanno ereditato l’empirica devozione delle forme politiche esteriori, l’olimpico disdegno dei problemi economici sostanziali alla cui soluzione è imprescindibilmente legata l’ascensione delle masse verso la libertà, verso la redenzione.
 
 
[Cronaca Sovversiva, anno III, n. 45, 18 novembre 1905]