Brulotti

Per farla finita col concetto di popolo

Paul Braun
 
La settimana scorsa, durante una manifestazione ad Havre contro lo svolgimento del vertice del G8, si sono potuti vedere no-global brandire lo slogan «i popoli, non la finanza». È davvero triste vedere persone che si iscrivono in un'idea di emancipazione proclamare motti così insulsi. Per loro, si tratta di fare riferimento in maniera positiva all'idea di popolo, e di opporgli il male che sarebbe la finanza, il buon popolo contro i cattivi banchieri — due non-sensi in una sola frase.
Anzitutto, il buon popolo: nella sua origine latina, il concetto di popolo indica l'insieme di cittadini di una città, ovvero coloro che possiedono diritti. Nella storia moderna, il termine popolo è inseparabile da quello di nazione o di territorio. Per questo motivo di solito viene seguito da un aggettivo, il popolo francese, americano, spagnolo, ecc... In funzione della cultura politica, esso viene associato piuttosto all'idea di nazione — è il caso in Francia con il diritto di suolo — oppure a quella dell'etnia — come  in Germania con il diritto di sangue. Ciò spiega del resto anche il motivo per cui oggi in Germania siano in genere gli ambienti di estrema destra ad utilizzare in maniera positiva il riferimento al Volk (popolo). Verso la fine del XIX secolo nacque in Germania quello che si chiamava movimento «völkisch», che definiva l'appartenenza ad un popolo attraverso la discendenza (di sangue). Preconizzava un ritorno alla natura, una identificazione delle persone con il loro territorio e con il loro paese (in senso geografico) e da ciò faceva derivare un'identità nazionale. Questa identità, sedicente tedesca, si manifestava nella musica, nelle belle arti e successivamente anche nella politica. Il seguito della storia è noto: i nazisti si sono assai nutriti del movimento völkisch ed hanno messo in atto il dominio e lo sradicamento di coloro che erano definiti come non tedeschi.
Un altro problema è che concetti quali popolo e nazione funzionano sempre logicamente anche per esclusione: se adempio ai criteri di adesione (nazionalità, etnia, luogo di nascita...), posso farne parte; se non adempio a questi criteri, ne sono escluso. Oggi in Francia ad esempio, se ci si attiene alla definizione del dizionario Petit Robert, un senza-documenti non fa parte del popolo perché gli occorrerebbe «avere in comune un certo numero di valori e di istituzioni».
A titolo puramente personale, chiunque può constatare che in una prospettiva di emancipazione è ridicolo voler attaccarsi all'idea di popolo. Io sono uno straniero che vive da quasi trent'anni in Francia, a quale popolo dovrei sentire di appartenere? Questi tentativi di definizioni identitarie sono grotteschi. La sola possibilità è criticare radicalmente questi concetti del tutto reali che sono popolo, Stato e nazione. Allo stesso modo bisogna smontare la falsa opposizione fra politica ed economia, fra Stato e mercato, così come fra pianificazione e concorrenza.
Mi risponderete che i no-global che parlano di popolo vogliono intendere il popolo del basso, per farla breve voi ed io contro di loro, il vero popolo insomma. Questa è l'argomentazione più semplicista della lotta di classe che inizia davvero a puzzare di muffa, ed è strano che provenga da persone che pretendono di non fare politica o di farla diversamente, e che riprendono questa litania argomentativa degna della bell'epoca del Partito Comunista. Alla fine si è trovato il nuovo soggetto rivoluzionario.
Ma veniamo alla seconda parte dello slogan ostentato: la finanza. In una critica parziale della società attuale è la finanza ad essere assimilata al male. Essa, nella figura emblematica del banchiere, sarebbe responsabile della globalizzazione dell'economia, della povertà nel mondo e delle guerre nel pianeta. Ah! Questa visione è proprio comoda: permette di trovare qualche colpevole, di rinnovare senza sosta i fantasmi della cospirazione e soprattutto di non rimettere in discussione il capitalismo così come le sue istituzioni, che sono la politica e lo Stato. È chiaro che oggi l'ammontare delle transazioni finanziarie supera largamente la produzione materiale, ma la colpa di ciò non è da ricercare dal lato di qualche banchiere e speculatore di certo poco frequentabile. Se il denaro viene investito così tanto nella speculazione, è perché il settore produttivo non garantisce più abbastanza plusvalenza per un sistema che si fa beffe di ogni significato e conosce solo la crescita. In quest'ottica, non vi è un ritorno indietro possibile verso un capitalismo più ragionevole, meglio gestito. È la follia ed il carattere distruttore della socializzazione capitalista nel suo insieme che bisogna superare, senza limitarsi alla sua ultima metamorfosi che è la bolla speculativa. Perciò, è già importante criticare concetti quali popolo e nazione, riconoscendo che essi fanno parte del problema e non della soluzione.
 
[12/7/2011]